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Pod zemljom è un progetto di Martina Scalini, Mario Blaconà, Valerio Casanova e Gabriele Camilli, realizzato grazie a FuoriRotta. Dal 25 agosto all’8 settembre, un viaggio attraverso i Balcani lungo i sentieri dimenticati delle mine antiuomo, tra i fantasmi della memoria dell’ex-Jugoslavia. Qui tutte le puntate.


Klobučak, Croazia, 28 agosto

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Da Brescia abbiamo preso la strada per i Balcani, una tirata di macchina che ci ha costretti a una pausa pranzo per ricaricare le energie. Ci siamo fermati a Duino, una città sul mare vicino Trieste. Qui abbiamo visitato il castello, un posto di strani incontri della Storia, che parla di Freud, Rilke, Marie Bonaparte e della Prima guerra mondiale. Ai suoi piedi c’è un bunker scavato nella roccia carsica e nella torre del castello uno strano museo sulle borracce da guerra, dal Giappone alla Russia.

Ripartiamo presto, la città è costosa e noi abbiamo fretta. I territori hanno iniziato a cambiare quasi subito: oltre i confini ci sono lunghe distese di vegetazione e tutte le stelle sono sopra di noi — in Slovenia raramente si incontrano lampioni per le strade, e tutto attorno è verde di piante. Abbiamo passato a Stranice la notte, una località dai toni austriaci e ortodossi, che secondo Google Maps si trova esattamente al centro delle terre slovene.

Il giorno dopo siamo andati in Croazia, al cuore della domanda che abbiamo in testa da quando siamo partiti: come si vive in prossimità di un campo minato?

A Sisak, al limitare di un bosco minato, ci siamo spaventati. Non c’era nessun cartello a segnalarlo, eppure noi sapevamo che lì c’erano delle mine ancora attive.

“Don’t go into the wood,” non andate nel bosco, ci ha detto una ragazza a cui abbiamo chiesto informazioni. La stessa frase l’ha ripetuta un altro signore poco dopo. Noi non ci siamo andati.

Intrappolati nella difficoltà del momento abbiamo continuato a chiedere, finché non abbiamo incontrato Duško, un carpentiere croato che vive in una casa di campagna a qualche metro dall’entrata del gigantesco bosco dell’area di Kotar–Stari Gaj. Duško parla bene l’inglese, ci confida che l’ha imparato giocando a World of Warcraft e produce ottimi liquori fatti in casa: riesce ad autoprodurre quasi tutto ciò che mangia e beve, comprese le salsicce.

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Ci racconta della sua vita, di cosa significa crescere da adolescente durante la guerra, mostrandoci i fori provocati dalle granate sulla facciata della casa, e ci parla di alcuni suoi vicini di casa che hanno trovato la morte in quei boschi vicini, uccisi dall’esplosione delle mine.

Ci parla delle grida che ogni tanto ha sentito provenire dal fitto degli alberi, di gente che si è addentrata per cercare terra da coltivare a grano e ne è invece uscita senza una gamba. Ci parla di un uomo che là ha perso la parte del corpo dal busto in giù e mentre la polizia è andata per salvarlo, lui pregava di dargli la loro pistola per farla finita direttamente lì. “It’s a sad story” continua a dire, ma non può permettersi di cedere, Ripete che bisogna essere forti. Noi, forse un po’ impreparati emotivamente a quelle storie, gli chiediamo perché sia successo tutto questo, perché là si trovino le mine. “Human stupidity,” risponde lui.

Sorride, ci fa conoscere la sua famiglia e ci offre i suoi liquori.

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