Pod zemljom è un progetto di Martina Scalini, Mario Blaconà, Valerio Casanova e Gabriele Camilli. Dal 25 agosto all’8 settembre, un viaggio attraverso i Balcani lungo i sentieri dimenticati delle mine antiuomo, tra i fantasmi della memoria dell’ex-Jugoslavia.
Molti credono che il dolore ci riporti a una dimensione privata, ci confini nella solitudine e, in questo senso, sia depoliticizzante. Ma io credo che il dolore dia vita a un senso complesso di comunità politica.
—Judith Butler
Siamo quattro viaggiatori a bordo di una vecchia Rav4 blu elettrico. La macchina da fuori sembra spaziosa, ma in realtà ci ha costretti a una prima prova cruciale ancor prima di partire: la rinuncia. Mario non porterà i suoi dvd e i Topolino che lo aiutano ad addormentarsi meglio la sera. Martina sta considerando l’idea di fare a meno dei vestiti in favore dei libri, dice che le servono tutti, anche se poi nemmeno avrà tempo di leggerli. Valerio sta scrivendo una poesia di addio alla sua chitarra, promettendole che porterà con sé una sua foto. E poi c’è Gabriele, l’unico ad aver superato a pieni voti la prova del materialismo, ma di nascosto capita di vederlo piangere per l’asta del fantacalcio a cui non potrà partecipare.
La nostra storia inizia con la vittoria di un bando, quello di FuoriRotta, che ha deciso di adottare il nostro progetto di viaggio Podzemljem – lungo il sentiero delle mine, finanziandoci parte dell’impresa. Dopo una campagna di crowdfunding e un’estate di preparativi ora possiamo dirci pronti a partire alla volta dei Balcani, dove staremo nei prossimi 16 giorni.
https://www.youtube.com/watch?v=c8beyJSMBWE
Podzemjlem significa sottosuolo, sia in Serbia, sia in Croazia, sia in Bosnia.
L’idea da cui siamo partiti è semplice: non tutte le vite umane sono percepite con lo stesso peso, non tutte le morti causano lo stesso senso di perdita e spesso questo dipende da pochi ma determinanti fattori, come la posizione geografica o l’inclusione di un gruppo di potere a discapito di un altro.
I luoghi in cui andremo sono vicinissimi all’Italia (e in alcuni casi fanno parte dell’Unione Europea), eppure le persone che ci vivono sono ancora considerate in qualche modo distanti, come altro da noi. Quello che cercheremo di fare sarà tracciare una linea di congiunzione con questi territori, attraversati da un recente passato di guerra e di perdita.
Negli anni ’90 la mina antiuomo rappresentava il Made in Italy nel mercato delle armi tanto quanto la pizza in quello del cibo e la Ferrari in quello delle auto.
A condurci lungo il nostro cammino saranno proprio quelle armi, messe al bando dalla Convenzione di Ottawa ormai vent’anni fa, che però rimangono ancora inesplose sotto molti terreni mai bonificati dell’ex-Jugoslavia.
Partiamo da Castenedolo, vicino Brescia, sede della fabbrica Valsella, accusata nel 1991 di aver venduto nove milioni di mine antiuomo all’Iraq via Singapore. Qui ci incontreremo con Franca Faita, ex operaia dell’azienda, che anni fa decise di ribellarsi a questa produzione di morte dopo aver parlato con Gino Strada:
“Cara Franca, queste mine stanno provocando tantissime vittime civili, che con la guerra non c’entrano, non c’entrano nulla con la difesa del territorio. La famosa Valmara 69 è quella più bastarda: ce ne sono a migliaia in tutto il mondo…”
Da quel giorno Franca non ha più smesso di lottare contro la produzione di mine antiuomo, e lo fa anche oggi, nonostante la Valsella non ne produca più, perché per Franca è diventata una presa di coscienza da cui non si è più liberata.
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Dopo Brescia andremo in Slovenia, Croazia, Bosnia e Serbia, tutte nazioni indipendenti che fino a venti anni fa costituivano il grande blocco jugoslavo, e che ora rimangono in pace grazie a una fragile armonia, retta dalla paura che un’altra guerra possa esplodere da un momento all’altro, ma anche dalla voglia di tornare come si era prima.
Le persone che incontreremo spesso vivono vicino a campi ancora a rischio di mine, sopravvivono ogni giorno a una crisi economica che in ex Jugoslavia è ancora più forte che da noi e tentano di ritrovare l’equilibrio di un’identità collettiva.
Queste terre sono anche luoghi bellissimi e pieni di vita e ciascuno di noi rincorre il suo piccolo sogno personale, fatto di poco.
Martina non vede l’ora di visitare la piccolissima Breza, dove viveva e lavorava l’operaio Alija Sirotanovic, il cui volto si trovava sulla banconota da dieci dinari. Esempio di umiltà e eroe nazionale. Gabriele vuole scoprire Belgrado camminando, tutti gli dicono che servono tre giorni per vederla tutta, ma lui ci proverà in mezza giornata. Mario vorrebbe percorrere le strade jugoslave sotto un cielo nuvoloso, per rivivere le tinte neutre del blocco sovietico guidato da Tito. Valerio invece sogna di stare in un pub di Sarajevo a sorseggiare una Sarajevsko Pivo, con una fetta di pasta sfoglia con ripieno di noci e miele.
Seguite i nostri reportage su the Submarine.
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