Perché 1000 rifugiati eritrei e etiopi sono rimasti per strada a Roma

Si tratta di uno sgombero di dimensioni gigantesche, come a Roma non se ne vedevano da anni.

Perché 1000 rifugiati eritrei e etiopi sono rimasti per strada a Roma

foto di Roberta Gialotti

Si tratta di uno sgombero di dimensioni gigantesche, come a Roma non se ne vedevano da anni.

Howt è una donna eritrea. Vive in Italia da 13 anni con permesso d’asilo politico. A causa della malattia cardiaca della figlia, Howt e la sua famiglia dovrebbero avere accesso ad un’abitazione popolare, ma non hanno mai ricevuto collocamento. Da cinque anni si era insediata in un palazzo abbandonato di piazza Indipendenza, vicino a stazione Termini, rendendola la propria casa. Oggi è in strada, mentre assiste allo sgombero dell’edificio.

Erano le sei di mattina di sabato, quando la polizia è arrivata armata di autobus dell’ATAC e ha iniziato a portare persone in questura. Perché nel palazzo di piazza Indipendenza non viveva solo Howt: ma più di mille occupanti, quasi tutti eritrei ed etiopi. All’occupazione massiccia è corrisposto il dispiego di forze della polizia, che si è presentata con cinquecento agenti che hanno circondato l’edificio.

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Si tratta di uno sgombero di dimensioni gigantesche, come a Roma non se ne vedevano da anni, e viene a meno di un mese da quello di Cinecittà, in via Quintavalle.


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“Molti non sapevano nemmeno dell’esistenza di questa occupazione, con 1200 persone e tanti bambini, che nel frattempo si erano inseriti e andavano a scuola,” ci racconta Sammy, dell’organizzazione umanitaria INTERSOS. In piazza Indipendenza ci avevano già provato, “ma la storia del degrado qui non ha mai attecchito — e avevano già fatto operazioni antiterrorismo, ma non hanno mai trovato niente. Adesso con l’appoggio dei Cinque Svastiche qua — perché i Cinque Stelle sono veramente reazionari, guarda, peggio che con Alemanno — sabato sono arrivati qui: sgombero, prese le persone e portate in maniera coatta via con il pullman dell’ATAC, nemmeno della polizia.”

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L’amministrazione comunale e la prefettura non hanno (solo ancora, speriamo) presentato nessuna alternativa alle tantissime famiglie che vivevano nel palazzo. Sembra sarà organizzata una “soluzione emergenziale” almeno per le famiglie con bambini. Ma cosa vuol dire emergenziale? Secondo Sammy, “una soluzione emergenziale non è una casa, è a stento un centro dove andare a dormire, dove alle sette di mattina ti cacciano. E comunque dura dai 60 ai 90 giorni, massimo.”

Secondo Askanews, inoltre, la rete di accoglienza romana è sprovvista di strutture in grado di accogliere famiglie. “Molte donne vengono messe di fronte alla scelta di migrare ancora, o di separarsi dai loro uomini per dare un tetto ai figli,” ha dichiarato all’agenzia di stampa una volontaria di Baobab Experience, erede di una delle principali esperienze di accoglienza capitoline. “Una scelta non solo inumana ma illogica, visto che lascia in strada, nella migliore delle ipotesi, centinaia di uomini aventi diritto, e nella peggiore, anche le loro mogli e i figli se non accettano di dividersi.”

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Alcuni dei rifugiati erano alloggiati nello stabile come risultato di una complessa vicenda che riguarda il tragico naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, in cui persero la vita più di 300 migranti — in larga parte eritrei. L’allora sindaco Ignazio Marino aveva offerto ospitalità ai sopravvissuti di quel disastro, nel centro d’accoglienza di Castelnuovo di Porto. Ma la condizioni di degrado del centro, all’epoca, non lo rendevano adatto a ricevere il centinaio di persone superstiti dal naufragio: molti profughi che avrebbero dovuto trovarvi rifugio finirono quindi per insediarsi nella palazzina di piazza Indipendenza.

Nel 2014 la regione aveva cercato di iniziare un processo di regolarizzazione per i rifugiati di piazza Indipendenza, ma prima che si potesse fare qualcosa è iniziata una vera stretta contro le occupazioni, senza nessun nuovo impegno di edilizia popolare, portando sempre più persone sulla strada. E le cose stanno per peggiorare, spiega Sammy: “Ci sono quattro o cinque occupazioni che siamo quasi certi che non arriveranno a settembre. Tutti quelli che lavorano nell’associazionismo sono pronti ad autunno caldo.”