Tutti i partiti dovrebbero avere uno strumento come Rousseau
Il nuovo “sistema operativo” del Movimento 5 Stelle fa acqua da tutte le parti, ma le altre forze politiche non hanno strumenti migliori da offrire, e questo è un problema. […]
Il nuovo “sistema operativo” del Movimento 5 Stelle fa acqua da tutte le parti, ma le altre forze politiche non hanno strumenti migliori da offrire, e questo è un problema.
Due giorni fa Davide Casaleggio ha presentato a Roma la versione rinnovata di Rousseau, il “sistema operativo” del Movimento 5 Stelle — che non è un sistema operativo, ma la piattaforma online su cui gli iscritti possono discutere l’attività legislativa del Movimento, avanzare proposte, coordinare le iniziative locali e partecipare a votazioni.
Ad affiancarlo in conferenza stampa, tenuta nella sede della stampa estera, c’erano il deputato Danilo Toninelli e Enrica Sabatini, consigliera comunale a Pescara, presentata in quest’occasione come “referente comunicazione web.”
Rousseau era già online da aprile 2016, lanciato appena dopo la morte di Gianroberto, di cui viene considerato in un certo senso l’eredità tecnico-politica più importante. La novità principale, oltre alla rinnovata veste grafica e alle migliorie tecniche, è che ora Rousseau è navigabile per la prima volta anche dai non iscritti, anche se solo in modalità “ospite.” Con questa parziale apertura — fondamentale per permettere almeno un minimo di verifica sulla trasparenza e sulla serietà dei meccanismi decisionali del primo partito del Paese — Casaleggio jr. spera di spingere Rousseau fino al milione di iscritti entro il 2018.
Il portale è diviso nelle sezioni Lex Europa, Lex Parlamento, Sharing, (per la condivisione delle stesse proposte di legge tra diversi Comuni e Regioni), Call to Action (per l’attivismo sul territorio, ancora non attiva) e E-Learning (per la formazione). Una delle sezioni più interessanti, Lex Iscritti — dove i singoli attivisti possono fare le proprie proposte — purtroppo non è visibile in modalità ospite.
I primi passi del Rousseau 2.0 non stanno andando benissimo: il giorno stesso della presentazione il portale è stato hackerato, attraverso una vulnerabilità del sito che esponeva i dati personali degli utenti. L’Associazione Rousseau (presieduta da Casaleggio stesso) ha risposto dicendo che l’attacco è avvenuto in realtà sulla vecchia versione del sito, ma tempo un giorno e un altro hacker ha cominciato a pubblicare su Twitter alcuni dati sensibili rubati dalla piattaforma.
A differenza del primo attacco, che voleva semplicemente denunciare la vulnerabilità per permettere agli amministratori di Rousseau di ripararla, l’utente dietro l’account Twitter @r0gue_0 non sembra animato da intenzioni altrettanto benevole — anzi se la prende direttamente con l’altro hacker (nel frattempo sparito da Twitter), dice di essere dentro Rousseau “da mesi” e annuncia altre pubblicazioni in arrivo.
La sicurezza dei dati degli utenti e la certificazione delle votazioni restano insomma i due punti critici principali della piattaforma — e non sono problemi da poco, per uno strumento che nelle intenzioni del M5S dovrebbe rivoluzionare la politica e concretizzare l’ideale di democrazia diretta online, che da sempre fa parte dei sogni futuristici dei Casaleggio.
Sul secondo punto, Davide Casaleggio ha detto durante la presentazione che le votazioni saranno certificate da un ente terzo soltanto in alcuni casi, senza specificare quali, ipotecando gravemente la serietà e la validità delle future consultazioni online, che già finora non hanno mai brillato per trasparenza.
Ma nell’upgrade della piattaforma bisogna riconoscere un passo importante verso l’istituzionalizzazione dei meccanismi di funzionamento del Movimento 5 Stelle, lentamente emancipati dall’immagine del suo rumoroso fondatore. Grillo continua senz’altro ad esercitare una funzione importante di censura e indirizzo politico — come dimostra il caso recente di Marika Cassimatis alle elezioni comunali di Genova, o la sua frequente e inquietante presenza sugli spalti di Montecitorio. Ma che il suo nome, all’interno di Rousseau, sia visibile soltanto nel logo del partito, abbastanza piccolo da essere illeggibile, è un dato significativo, che fa il paio con la nascita — sempre ad aprile 2016 — de “Il Blog delle Stelle”, sito gemello del Blog di Beppe Grillo ma privo di pubblicità commerciali e almeno formalmente “ufficiale.” Il M5S insomma resta ancora un partito a gestione aziendale e padronale, ma non ci sono dubbi che Rousseau faccia parte di una strategia di lungo respiro per renderlo una macchina autonoma almeno dalla figura carismatica di Grillo — un passaggio inevitabile per permetterne la sopravvivenza nel tempo.
Lasciando da parte le dinamiche interne del M5S, e anche i problemi di vulnerabilità di Rousseau, la piattaforma merita di essere considerata in astratto per ciò che rappresenta nel quadro della prassi politica tradizionale: un tentativo di risposta alla crisi di partecipazione che ha investito tutte le democrazie occidentali, dissanguando i partiti di voti e di attivisti. Piaccia o non piaccia l’idea che ogni singola proposta politica sia sottoposta a farraginose consultazioni online, è ormai abbastanza naturale che, se esiste un modo per invertire il crollo della partecipazione, questo passi attraverso internet. Il fatto che una forza politica sotto molti aspetti discutibile come il Movimento 5 Stelle si sia intestato questa battaglia ha fatto perdere di vista la gravissima arretratezza della politica italiana in questo campo. Perché gli altri partiti non dovrebbero avere un portale online di comunicazione diretta con i propri militanti e simpatizzanti? Se l’unica risposta a Rousseau è Bob, l’indefinibile app di propaganda renziana lanciata pochi mesi fa, siamo messi davvero male.
Ormai più di un anno fa, in pieno shock post-Brexit, gli attivisti del Remain compilavano una petizione per chiedere un secondo referendum, firmata entro la fine dell’estate da più di 4 milioni di persone. Quello che in Italia faremmo soltanto su change.org, in Regno Unito si può fare attraverso un portale ufficiale del Parlamento, molto semplice da usare, che obbliga i parlamentari a prendere in considerazione le petizioni che superino le 100 mila firme. La proposta di un secondo referendum sulla Brexit è stata dibattuta (e respinta) dalla Camera dei Comuni il 5 settembre 2016.
In Italia sono stati fatti molti passi avanti dal punto di vista della trasparenza istituzionale — i siti web di Camera e Senato sono ben fatti e facili da consultare per seguire i lavori parlamentari, mentre un sito come Normattiva permette di orientarsi (più o meno) agevolmente nella giungla delle leggi italiane. Quello che ancora manca sono strumenti efficaci di partecipazione attiva, e i partiti potrebbero fare molto in questa direzione. Per il momento, però, sembrano interessati a sfruttare le potenzialità dei mezzi informatici soltanto per finalità di propaganda — e spesso molto maldestramente.
Dopo aver esultato per le fallacie tecniche di Rousseau, sarebbe bello che i partiti rivali del Movimento 5 Stelle lavorassero per offrire strumenti migliori, anche non improntati necessariamente all’ideologia acritica del “cittadino” come sovrano ultimo — anche questo è un errore: pensare che spingere per nuovi e migliori strumenti di partecipazione politica online significhi inevitabilmente inseguire una forma di democrazia disintermediata e liquida. Dalle infinite variazioni dei forum a programmi come LiquidFeedback — il primo software decisionale di questo genere, adottato dal Partito Pirata tedesco e inizialmente adocchiato anche dal Movimento 5 Stelle — le forme sono potenzialmente infinite.
Di certo, le forze politiche capaci di giocare d’anticipo su questo fronte avranno soltanto di che essere avvantaggiate, quando i meccanismi di partecipazione democratica online — speriamo pubblici e non proprietari, che si tratti di Mark Zuckerberg o della Casaleggio Associati — saranno uno standard nelle nostre società.
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