Diaframma è la nostra rubrica–galleria di fotografia, fotogiornalismo e fotosintesi. Ogni settimana, una conversazione a quattr’occhi con un fotografo e un suo progetto che sveliamo giorno dopo giorno sul nostro profilo Instagram. Questa settimana Lorenzo Mini ci racconta del libro Colonie, edito da Danilo Montanari Editore.
Lorenzo, questo lavoro ha una genesi lunga ed è frutto di una collaborazione con un architetto. Come si è sviluppato negli anni il lavoro?
Ricordo di aver visto un articolo, all’interno di un settimanale, che parlava di una mostra sulle colonie marine e della persona che l’aveva ideata e promossa: l’architetto Massimo Bottini. Questo è stato il mio primo “incontro” con Massimo. Non è da sottovalutare il fatto che io viva da sempre a Cesenatico, dove, dal ventennio fascista in poi, si è assistito a una continua fioritura di decine e decine di colonie di vacanza, così come lungo tutta la costa romagnola, e questo ha influito sul mio interesse per tali strutture e tale fenomeno sociale.
Come hai iniziato?
Era il 2009 quando, in compagnia di un amico, ho fatto la mia prima esplorazione fotografica all’interno di una colonia abbandonata da pochi anni. Un’emozione fortissima: un misto di paura e stupore nel vedere, finalmente, un mondo solo immaginato e sconosciuto praticamente a chiunque. Le cucine, i refettori con tutti i tavoli e sedie, le camerate con tutti i letti in fila, gli ambulatori, le lavanderie e l’immancabile chiesa. Poco tempo dopo mi sono presentato a Massimo Bottini, ed è nata subito una collaborazione, tuttora in atto, che ha portato la mostra Colonie marine e il sottoscritto in giro per il Paese. In questi anni con Bottini abbiamo avuto numerosi incontri in cui ci si interrogava sulle strutture da documentare e il modo di espandere le informazioni da produrre per la mostra Colonie Marine: Ipotesi Per La Conoscenza E La Tutela Del Patrimonio Storico E Architettonico Del Moderno. In ogni sua edizione la mostra ha acquisito nuove immagini, prodotte dalle mie esplorazioni lungo la penisola, e di nuovi pannelli didattici sviluppati dall’architetto tramite le sue ricerche storiche. Ad oggi abbiamo esposto in varie città italiane tra le quali Genova, Senigallia, Terni, Cesenatico, Porto San Giorgio.
Il tema ha radici personali ed emozionali. Cosa vuol dire vivere o conoscere una struttura in funzione e poi fotografarla abbandonata?
Un flashback che mi ha accompagnato lungo questa esperienza esplorativa e che, tangibilmente, è stato il primo vero contatto con le colonie, è il ricordo, quasi onirico, di un giorno d’estate dei primi anni Ottanta, quando ho accompagnato mio cugino e mio zio (di Milano) a salutare un coetaneo ospite di una colonia estiva nella zona ponente a Cesenatico: “rinchiusi” in questi recinti, centinaia di bambini che, incuriositi, ci venivano a salutare; l’incontro si è svolto velocemente attraverso la cancellata, noi fuori e lui con tutti gli altri dentro. Avere sotto gli occhi quotidianamente queste strutture e averle viste, negli anni, vive e poi abbandonate, mi ha sempre affascinato e incuriosito. Quando poi ho iniziato a intraprendere la fotografia in maniera progettuale, è stato naturalmente questo il primo argomento a cui mi sono dedicato. Entrare in un edificio, un grande edificio, abbandonato, e avendolo visto in passato vivo e nel pieno della propria funzione, ha innescato in me un forte impatto emozionale, che mi ha seguito durante tutto lo sviluppo di questo progetto.
Le colonie hanno origine soprattutto dal periodo fascista. Cosa vuol dire rapportarsi con una opera di quel periodo? Le tue fotografie sono molto spesso frontali, centrali, in asse con il soggetto.
Giusto, il fenomeno delle colonie è nato nel periodo fascista e di quel periodo sono tra le strutture più imponenti e importanti sotto il profilo architettonico e concettuale, sia in termini di materiali usati sia in termini di costruzioni a misura di bambino. Il mio approccio con tali edifici è sempre stato un misto di ammirazione e stupore nel vedere grandi volumi costruiti a regola d’arte con le forme più svariate come idrovolanti, lettere alfabetiche oppure navi. Ho cercato di raffigurale in maniera più oggettiva possibile, in modo tale che risultasse immediato avvertirne la loro importanza e maestosità.
Nel testo dell’architetto Massimo Bottini all’interno del libro si legge: “Esse (le colonie, ndr) rappresentarono l’inizio del “mare per tutti”, ma prima di tutto per i figli degli italiani delle città che ogni estate le affollavano.” “Si inaugura uno stile di vita che si esprimerà al massimo a partire dalla fine degli anni Cinquanta e che trasformerà per sempre la Riviera.” È forte questa influenza?
Forse non tutti lo sanno ma le colonie sono state il primo fenomeno di massa di vacanze al mare, in un periodo in cui il mare era solo un privilegio dei ceti benestanti. Invece con il prolificare delle colonie, soprattutto quelle marine, ideate per l’elioterapia, si assiste a un vero e proprio esodo che dalle città industriali portava, con il treno, i bambini degli operai al mare. Un primo welfare di stato. In alcune fotografie e cartoline aeree d’epoca si può notare come le colonie fossero strutture isolate sul litorale nelle cui vicinanze si era costruita la ferrovia e viceversa. Oggi invece sono oasi in mezzo al deserto di cemento che la riminizzazione ha creato. Sempre Bottini dice: “Ottanta anni fa erano il pieno nel vuoto, oggi, per le dimensioni dell’area di rispetto che le circonda, costituiscono il vuoto nel pieno, la percezione è completamente ribaltata, il segno nel paesaggio è, nonostante la metamorfosi, ancora forte. Anche se immerse nella gelatina del costruito, riescono a mantenere un’area di rispetto che ancora le identifica e le fa emergere.”
Oggi come vengono utilizzate queste strutture? Si è aperto un dibattito?
Ad oggi la quasi totalità delle colonie di vacanza su tutto il territorio italiano è in stato di abbandono, tranne qualche raro caso di ristrutturazione e riutilizzo, e ancora più raro di utilizzo nella loro funzione primaria; un esempio tra tutti è la Colonia AGIP a Cesenatico, costruita negli anni Trenta e ancora oggi utilizzata per le vacanze dei bambini degli operai Eni. La crisi economica e le condizioni particolarmente avverse alla definizione di un progetto organico per il futuro, rischiano di aprire la strada a decisioni e scelte frettolose, smemorate e poco lungimiranti. Le colonie marine rappresentano una “genia architettonica” con un DNA condiviso per cui ripensarle e riqualificarle significa avere una visione del tutto. Esse sono da considerare alla stregua di un organismo vivente in cui tutte le parti interagiscono creando senso, è a partire da questa interazione nasce e si ridefinisce la loro vocazione.
Dalla quarta di copertina del libro, una filastrocca che
cantavano i bambini al momento del rientro verso Milano:
Caro bagnino, aprici il cancello,
che il tempo è bello, che il tempo è bello,
caro bagnino, aprici il cancello
che il tempo è bello e
noi vogliam partir.
Noi partiremo lunedì mattina alle ore otto, alle ore otto,
noi partiremo lunedì mattina, alle ore otto partirem di qua.
Arriveremo alla stazion centrale ad abbracciare, ad abbracciare
arriveremo alla stazion centrale ad abbracciare i nostri genitor.
Li abbracceremo e li stringeremo,
con tanta gioia con tanta gioia,
li abbracceremo e li stringeremo,
con tanta gioia nei nostri cuor…
Lorenzo Mini nasce a Rimini il 3 agosto 1973, vive e lavora a Cesenatico. Il suo progetto fotografico,in generale, è orientato verso la documentazione di particolari fenomeni socio culturalie paesaggistici, interpretati come specchio della modernità, attraverso i quali tenta dirappresentare e rendere evidenti le condizioni, a volte contraddittorie, del nostro tempo.Ha realizzato vari reportage e progetti, alcuni dei quali esposti in mostre personali ecollettive. Collabora spesso con riviste ed associazioni tra le quali “ITALIA NOSTRA” e“AIPAI” (associazione italiana per il patrimonio archeologico industriale).
Abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso. Potete sostenerci qui. Grazie ❤️