Castell’Umberto: il paese del messinese che ha paura dei bambini migranti
Un paese di 3000 anime spaventate dall’arrivo di 30 migranti minorenni, una pagina particolarmente triste della Storia recente.
Un paese di 3000 anime spaventate dall’arrivo di 30 migranti minorenni, una pagina particolarmente triste della Storia recente.
Castell’Umberto è un paesino che fa comune nella Città metropolitana di Messina. Con buone probabilità non l’avete mai sentito nominare, lui, il suo sindaco, e le poco piú di 3000 anime che ospitano.
Ieri notte, Vincenzo Lionetto Civa, sindaco di Castell’Umberto e guardiano autonominato del messinese contro la pericolosa invasione da parte dei migranti, annuncia ai propri concittadini su Facebook che il prefetto di Messina, Francesca Ferrandino, ha inviato trenta “IMMIGRATI” (non è nemmeno il caps lock day) per essere ospitati presso l’hotel il Canguro, una struttura della zona in stato di abbandono.
Il sindaco, che appartiene a una lista civica ma che già un mese fa metteva in guardia dalla politica dello “PSEUDOBUONISMO” e che sembra e vantare vaghe simpatie trumpiste —
— si è schierato in prima fila, con la propria macchina e la propria fascia tricolore, per bloccare l’invasione dei trenta pericolosissimi migranti.
(Sì, ci si può fare una barzelletta bellissima, ma invece è tutto, solo, brutto.)
Alcuni dettagli, che potrebbero sfuggire a prima vista:
- Questi “IMMIGRATI” sono 30 migranti minorenni non accompagnati. Parole che si usano per descrivere gli esseri umani nelle loro condizioni, se italiani: bambini, ragazzini, per molti, orfani.
- La struttura, secondo il sindaco, sarebbe effettivamente inagibile.
Nella struttura mancano anche acqua e luce. Questa mattina, per almeno avere la seconda, la cooperativa di Palermo che si sta occupando del trasferimento dei ragazzi ha provato a portare un gruppo elettrogeno nella struttura, ma “i cittadini hanno bloccato le vie di accesso” racconta fiero il sindaco.
Intanto il paese, e lentamente il Paese, mentre la vicenda finisce sui rotocalchi nazionali, scatena il proprio razzismo sotto i post del sindaco, spiegando che no, “il nostro paese non può supportare queste persone” (30 bambini), “non si tratta di razzismo,” ma “li rispediremo noi appena arrivati al governo.” Le solite cose.
E qui arriva la fine della barzelletta: l’hotel il Canguro, secondo il capo di gabinetto della prefettura di Messina, intervistata ai microfoni di Repubblica, “Non è una struttura nel territorio di Castell’Umberto (…) da quello che ci risulta non ha problemi, comunque ovviamente altri particolari saranno approfonditi, dal punto di vista sanitario e dell’impiantistica ha i requisiti altrimenti la Prefettura non avrebbe consentito il trasferimento (…) certo non si può immaginare ospitalità senza corrente elettrica e acqua.”
Riassumendo, quindi: questa notte il sindaco di un paesino ha cercato di impedire l’accesso ad una struttura — forse fatiscente o no, fatto sta, dove delle persone dovevano andare — su territorio che non gli competeva. Oggi, un manipolo di civili ha sentito il bisogno di schierarsi per bloccare personale che aveva ricevuto commissione da parte del governo per fornire servizi — basilari, come la corrente elettrica.
Tutto questo in nome di cosa? Per fermare “l’invasione?” Quanti posti di lavoro porteranno via, 30 ragazzini in un hotel abbandonato? Quanto costeranno allo Stato? Ha senso farsi questa domanda, considerato di chi stiamo parlando? Dipende: dipende se li si considera “IMMIGRATI,” o se si fanno i conti con la realtà, che le persone che oggi sono state accolte da urli e schiamazzi razzisti sono soltanto trenta bambini e ragazzini, molti, orfani.
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