A metà fra giornalismo e fotografia, Confine vuole essere non solo una scommessa editoriale, ma anche come documento storico che conterrà, per il futuro, il racconto di eventi che hanno segnato una comunità.
L’Austria green di Van Der Bellen ha minacciato di chiudere il Brennero con carri armati e truppe di terra (salvo poi fare dietro front). Ventimiglia torna al centro dell’attenzione pubblica e solo pochi giorni fa un’ondata di profughi si riversa, ancora, nelle acque del Mediterraneo. Dall’Unione Europea solo grugniti o silenzi. Intanto, a Como, che diversi mesi fa è stata rifugio e luogo di transito per molti profughi, si cerca di tenere vivo il ricordo di un’esperienza che ha interessato sì i locali, ma anche alimentato il dibattito sulla questione. In questo contesto si inserisce la realizzazione di questo libro-oggetto, un ibrido tra photobook e reportage: Confine.
Como, città di frontiera come molte altre, si ritrova a essere viatico verso la Svizzera. Per diversi mesi ha ospitato migranti in attesa di una destinazione. Giornalisti e fotografi della città hanno deciso di documentare quanto stava succedendo. A quasi un anno di distanza il risultato è un libro imbullonato 2.0, un memento mori che vuole realizzarsi attraverso crowdfunding su Kickstarter.
In soli due giorni, più di 2mila euro raccolti. Per saperne di più incontro Philip di Salvo, giornalista di Wired ed esperto di whistleblowing, il visual designer Giovanni Marchi e i due fotografi protagonisti del libro: Emanuele Amighetti e Mattia Vacca.
Philip di Salvo
“Il lavoro nasce dal bisogno di inserire Como in un discorso più ampio perché anche Como fa a tutti gli effetti parte della crisi dei migranti. Serve per ricordare a noi che qui ci viviamo e alla città che quella cosa è successa, e non è risolta. L’idea di un libro è connessa a questo discorso: un progetto di ampio respiro sui migranti, e abbiamo pensato che questo fosse il medium più adatto per combinare giornalismo e fotografia. La questione non è chiusa: è lo stato delle cose di quest’epoca caratterizzata dalle migrazioni. Cattura un preciso evento, ma lo scopo è mantenere il fatto vivo nel tempo.”
“Abbiamo scelto testi che facevano la cronaca dell’accaduto. Andrea Quadroni (giornalista de La Provincia nda) ha fatto un lavoro egregio con un pezzo riassuntivo e una cronologia degli eventi.”
“L’importante era sottolineare, anche attraverso la scrittura, la dimensione umana di tutta la faccenda. Spesso si considerano queste persone come semplici numeri.”
“Il crowdfunding risponde a due ragioni: sempre più lavori di questo tipo sono finanziati così, ma è sembrato anche naturale fare in questo modo perché il progetto è una narrazione collettiva: ognuno ha messo parte del proprio lavoro e chiedere alla gente, che è stata comunque coinvolta, di partecipare, finanziando il progetto, è sembrato naturale. Il lavoro non è solo un photobook è qualcosa di più, un ibrido.”
Giovanni Marchi
“Attraverso una grafica elementare siamo riusciti a mettere in maggiore risalto i contenuti, soprattutto fotograficamente parlando. Potendo lavorare in totale autonomia è risultato tutto molto più semplice, immediato. Abbiamo avuto più libertà d’azione, realizzando così un prodotto che va vissuto (alcune foto andranno viste ruotando il libro nda), non canonico.”
Anche per Mattia ed Emanuele il crowdfunding è l’unico mezzo in grado di poter lavorare in libertà, esprimendo così al meglio sé stessi attraverso il lavoro finito. Senza contare che, questo tipo di sponsorizzazione, avvicina sensibilmente il lettore, lo rende partecipante attivo al processo di realizzazione del progetto e, all’interno di un libro di questo tipo — il quale è eminentemente sociale — la partecipazione attiva della comunità risulta essenziale.
Emanuele Amighetti
“È stato strano, oltre che importante per me, lavorare a questo progetto. Sia perché è stato il mio primo progetto a lungo termine, sia perché quell’evento aveva un impatto molto forte sulla mia sensibilità. È chiaro che come fotografo frappongo un filtro tra me e ciò che succede, ma dietro il mezzo rimane la fragilità di un essere umano e, forse, solo con questa consapevolezza è possibile portare alla luce la verità di quello che si scatta. È successo qualcosa di incredibile e ho sentito il dovere di documentare questa cosa, data anche la dissonanza con l’ambiente borghese.”
Amighetti privilegia un aspetto dell’evento che non sta nel concreto. È come se elevasse il soggetto a una dimensione diversa, quasi onirica: si crea un contrasto forte ma armonico tra la realtà che ha visto e catturato e quello che riceve lo spettatore. “Il vero contesto, nelle mie fotografie, non è immediato. È un modo innocente per dire ‘questa cosa è talmente forte che è meglio mettersi in disparte, vi lascio solo la mia interpretazione di quello che accade. Il lavoro sulle mine in Kosovo, per esempio, segue questo processo.’”
Mattia Vacca
“Confine è un ibrido. È innovare il giornalismo, è cambiare le regole del gioco. Sono felice che le mie foto con un taglio fotogiornalistico più classico siano all’interno di questo progetto.”
“Io sono tre anni che non scatto nella mia città. In quel momento ero appena rientrato dalle vacanze e mi sono trovato questa issue in città, a casa. Documentare quella crisi è stata un’esigenza. Ho lavorato in autonomia, mi sono finanziato vendendo al Corriere della Sera e La Stampa alcune delle mie fotografie. È stato strano tornare in città a lavorare soprattutto in bianco e nero, creando un filtro così prepotente.”
Vacca ha lavorato anche, per tre anni, al famoso carnevale di Schignano, dal quale è uscito, sempre via crowdfunding, il meraviglioso A Winter’s Tale. Quello “è un long term project, molto diverso da ciò che scatto di solito. Di solito tendo ad entrare con più forza nella situazione. Voglio portare lo spettatore dentro la scena. Mi interessa la prossimità, e vorrei coniugare le due cose con questo nuovo lavoro: vecchio e nuovo. Tra Emanuele e me i riferimenti sono differenti. E questo lavoro è il contenuto perfetto perché essendo un ibrido riesce a conciliare entrambe le tendenze fotografiche.”
Confine si presenta dunque non solo come una scommessa editoriale, ma anche come documento storico che conterrà, per il futuro, il racconto di eventi che, in ogni caso, hanno segnato una comunità, un paese. E che si spera possa continuare a far riflettere non solo sul passato, ma anche su ciò che è prossimo a venire. In un tempo di transumanze umanitarie che lacerano ogni parte del pianeta, Como — come “Confine” geografico e spirituale — è pronta a ricordare all’uomo qual è il nostro senso nel mondo. Più che una lapide, sembra una bandiera.
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