La deriva leghista del Pd non è iniziata ieri

In realtà, il Pd si sta collocando nel centrodestra da almeno un paio d’anni e su un’ampia gamma di questioni.

La deriva leghista del Pd non è iniziata ieri

Ieri pomeriggio, il Partito Democratico ha pubblicato un post che ha lasciato senza parole milioni di italiani che — bene o male — si ritengono di sinistra.

L’immagine, dopo qualche ora, è stata rimossa — forse, qualcuno nell’entourage del premier segretario PD si è reso conto di aver esagerato.

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A the Submarine ci siamo chiesti se fosse il caso di commentare questa ennesima scivolata a destra del Partito Democratico e soprattutto del suo segretario, di cui abbiamo già diffusamente parlato. La prima reazione, a leggere questa slide agghiacciante, è stata questa anche per noi: siamo rimasti senza parole.

Tuttavia, ci siamo convinti che questo fatto meritasse almeno un commento. E ce ne siamo convinti per un motivo: probabilmente — visti i tempi politici che corrono, non abbiamo il coraggio di scrivere sicuramente — è un punto di non ritorno per Renzi e per il suo partito.

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Lo sdoganamento della formula aiutiamoli a casa loro, le quattro paroline che la Lega e la destra in generale hanno sempre usato per affrontare la questione migratoria senza nemmeno ammettere di essere xenofobi, è senza precedenti nel centrosinistra italiano: e etichetta il PD — in modo definitivo, senza che possano esserci più dubbi a riguardo — come partito di centrodestra.

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In realtà, questa definizione si adattava più che bene al PD da almeno un paio d’anni e su un’ampia gamma di questioni. Quella economica, ad esempio, con il famigerato Jobs Act. O quella storica, con la sostanziale rinuncia all’antifascismo che abbiamo visto nello scorso 25 aprile. A livello sociale, però, almeno prima del referendum costituzionale del 4 dicembre, il PD e il governo da esso espresso erano sempre stati tra i meno criminali in Europa nella gestione della crisi migratoria.

Le cose sono cambiate quando a Palazzo Chigi è arrivato Paolo Gentiloni e, soprattutto, si è seduto sulla poltrona di Ministro dell’Interno Marco Minniti. Da quel momento, in modo piuttosto repentino, la politica migratoria del PD e del paese ha visto una stretta drammatica verso il razzismo e verso destra, ad esempio attraverso dichiarazioni come questa, che hanno ricevuto applausi dalle più bieche formazioni neofasciste.

Il passaggio fondamentale di questo avvitamento è stata l’approvazione del decreto Minniti-Orlando (nota per i militanti della supposta sinistra PD: Orlando è proprio il candidato alle primarie della supposta sinistra del partito). Il decreto è stato convertito in legge all’inizio di aprile, trovando una scarssissima opposizione, dentro e fuori dal Partito. Ed è impossibile pensare che qualcosa di così importante non sia stato redatto dietro l’ordine o la completa approvazione del segretario Matteo Renzi.

Da ieri pomeriggio, sui social network stanno fiorendo un sacco di meme che fanno cortesemente notare a Renzi e ai membri della sua corte — come il responsabile della comunicazione Francesco Nicodemo — il contrasto tra le posizioni del Partito di non molti anni fa e quelle attuali.

Ieri e oggi in due fotine (vedi a volte come passa la nausea, eh!) pic.twitter.com/vk1eepcwxP

— Alessandro Robecchi (@AlRobecchi) July 7, 2017

Il post è stato canzonato anche dalla Lega Nord, i cui responsabili della comunicazione oggi hanno avuto ben poco lavoro da fare, a quanto sembra.


È anche particolarmente azzeccato il commento allegato al post leghista: scegli l’originale. Renzi infatti si è lanciato a tutta velocità in un tunnel senza via d’uscita, anche se di certo non se ne rende conto.

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La sensazione, da fuori, è che stiamo assistendo a un esaurimento nervoso a scoppio ritardato. È difficile incastrare la citazione della slide — che Renzi può rimangiarsi fin che vuole, ma sembra sia in nero su bianco sul proprio libro dalle gomme sgonfie — in qualsiasi disegno politico. Sì, il governo Gentiloni ha rappresentato una drastica svolta a destra a livello umanitario, ma finora era mancato, per così dire, un manifesto. Oggi, il manifesto, che a tanti politici, sostenitori e fan del Partito democratico piaccia o meno, c’è. Ed è della peggior destra.

Sia chiaro, a prescindere dal discorso politico, di comunicazione politica, e ancora peggio, di utilità politica: si tratta di uno slogan mostruoso, letteralmente assassino, che potrebbe segnalare una svolta che ha il potenziale di portare alla morte migliaia di persone. Nell’ambito della conversazione politica si tratta di uno slittamento imperdonabile. Si scrive “aiutare a casa loro,” si legge “aiutare a morire.” Chiunque sposi queste posizioni, posizioni appunto anticipate da Gentiloni e Minniti, ha le mani sporche di sangue di innocenti.

Questa deriva politica assassina sembra riconducibile ad un problema di Renzi leader che abbiamo già analizzato a livello comunicativo in precedenza: la fondamentale confusione tra politica e potere.

A Renzi piace il potere, non la politica — ed è proprio questa sua virulenza che aveva negli anni scorsi fatto innamorare così tanti italiani: si trattava, per la prima volta in anni, di un nuovo leader politico plasmato dalla stessa materia di Silvio Berlusconi, qualcuno che potesse, in qualche modo superare la politica. Era questo, in sintesi, il sottotesto dell’espressione che voleva che “con Renzi si vince.” Con Renzi si smetteva di essere solo un partito di centrosinistra, e si sarebbe potuto combattere ad armi pari con la nuova destra populista del partito di Casaleggio e Grillo.

Tre domande sui migranti #RenziRispondi https://t.co/ApdDbWodIS
Il Pd non riesce a gestire questo problema, è un dato di fatto pic.twitter.com/LG4uaMXKD6

— MoVimento 5 Stelle (@Mov5Stelle) July 7, 2017

Ma in politica c’è anche la politica, e il dato di fatto è che le idee politiche di Matteo Renzi sono state, fin dall’inizio, impopolari quando non attivamente odiate dall’elettorato di riferimento del partito. Ricordiamo: Renzi era quello smaccatamente a favore dell’agenda Monti, quella per cui la sola complicità ha portato alla sconfitta elettorale del Pd.

Con l’eccezione dell’exploit alle europee, spiegabile appunto attraverso la dirompenza carismatica di Renzi come leader, Renzi è sempre stato di destra, e ha sempre perso.

Queste settimane, dalla sconfitta clamorosa — no, non è stata una non-vittoria, è stata una sconfitta clamorosa — alle amministrative, fino alla pubblicazione dell’estratto del libro dove appare la famigerata frase condivisa sui social network, costituiscono un punto di svolta fondamentale: Renzi ha finalmente capito che non vince. E senza vincere non può tornare al potere. E allora, è disposto a qualsiasi cosa.

Segni di debolezza, di fragilità, sono diventati particolarmente vistosi dalla sconfitta al referendum, con l’incapacità di rimanere nel retroguardia causando la scissione nel partito, con l’incapacità di aiutare il proprio partito durante le successive elezioni, con l’incapacità di cambiare — che non è dire cose diverse, è mostrare crescita, umana, politica.

Se si vuole mantenere il Partito democratico nel contesto del centrosinistra, che vuol dire prendere i voti degli elettori di centrosinistra — che sono di centrosinistra, non del Pd — qualcuno dentro il partito deve attivarsi immediatamente per il superamento di Renzi e delle sue impopolari politiche di destra. I danni sono stati incommensurabili, per il discorso politico, per il paese stesso, e presto in termini di vite umane.

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