Con Okja Netflix cambia il modo di pensare le sue produzioni

Okja è un film sui generis, che difficilmente sarebbe potuto nascere in un contesto chiuso e tradizionalista come quello degli studios di Hollywood.

Con Okja Netflix cambia il modo di pensare le sue produzioni

Okja è un film sui generis, che difficilmente sarebbe potuto nascere in un contesto chiuso e tradizionalista come quello degli studios di Hollywood, e conferma l’audacia creativa del colosso dello streaming.

Con l’uscita del film Okja – del regista coreano Bong Joon-ho – si conclude la lunga scaramuccia tra Netflix e il festival del cinema di Cannes. I due colossi avevano incrociato le corna riguardo ai metodi di distribuzione nelle sale e su internet imposte dalla normativa francese, Netflix aveva puntato i piedi, privilegiando la sola uscita del film sul servizio di streaming senza aspettare i tre anni richiesti dalla legge.

Di tutto questo gran parlare però, esclusa l’élite di critici festivalieri e qualche timida recensione, il grande pubblico non sapeva esattamente cosa aspettarsi da Okja e soprattutto quale impatto avrebbe avuto sul mondo di Netflix. Oggi il film di Bong Joon-ho è finalmente disponibile sul portale e ci può dire molte cose su come Netflix stia cambiando il proprio approccio produttivo.

Negli ultimi mesi le manovre di Netflix avevano fatto capire che la società era alla ricerca di un rinnovamento: la già citata sfida mediatica con il festival francese, la cancellazione di serie più o meno popolari come The Get Down e Sense8 e infine lo slancio verso produzioni cinematografiche più vicine al sistema hollywoodiano che a quello televisivo — Netflix entra in una fase di maturazione, metodi e contenuti seguono. Secondo il suo fondatore Reed Hastings, Netflix ha avuto finora troppe serie di successo, “dobbiamo prendere più rischi, bisogna tentare cose più pazze. In generale però dovremmo avere anche una percentuale di annullamento più elevata.” Ecco dunque spostare l’attenzione dalla serialità ai film, sottolineando così la capacità – produttiva e creativa – della società nel competere con la rivale Hollywood, senza necessariamente seguirne le regole.

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Okja è infatti un film sui generis, che difficilmente sarebbe potuto nascere in un contesto chiuso e tradizionalista come quello degli studios. Bong Joon-ho mescola all’interno del film moltissimi generi, rendendolo difficile da categorizzare e incasellare (l’algoritmo di Netflix lo inserisce tra le commedie e le avventure, ma non basta): la storia è quella di Mija, giovane contadina legata sin da piccola al maiale geneticamente modificato Okja, creato nei laboratori della Mirando Corporation per rivoluzionare l’industria alimentare. Quando Okja viene prelevata dalla fattoria per essere trasportata in America, Mija sarà disposta a qualsiasi cosa per riportarla a casa.

Al di là dell’evidente critica contro l’economia agroalimentare, il film è un inno al multiculturalismo che solo Netflix per sua natura avrebbe potuto azzardare — i dialoghi, per esempio, si compongono per la maggior parte in lingua coreana, con un’attenzione particolare alla traduzione diegetica (un po’ alla Tarantino di Inglourious Basterds).

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“Non c’è nessun meccanismo oggi per fare un film come Okja, fuori dal nostro contesto nessuno studio avrebbe accettato tale rischio per un regista coreano e un film che a mala pena ha qualche parola in inglese. E a mio avviso, mentre ciò può sembrare rischioso, mettendolo nelle mani del regista Bong Joon-ho è stata una sicurezza,” ha dichiarato al Telegraph Ted Sarandos, responsabile dei contenuti di Netflix.

“Non c’è nessun meccanismo oggi per fare un film come Okja, fuori dal nostro contesto nessuno studio avrebbe accettato tale rischio.”

Tutti gli elementi che per una produzione tradizionale sarebbero stati inammissibili, diventano il cavallo da battaglia di Netflix, abbracciando così la possibilità di distinguersi per intraprendenza artistica e libertà creativa. Era stato lo stesso regista coreano a sottolineare le ottime condizioni lavorative fornite dall’azienda: “Mi hanno concesso totale libertà, in termini di casting, riprese ed editing. Nessuna pressione, non c’era nessuna restrizione da parte loro. È stata un’ottima esperienza.” Per un regista che ha dovuto combattere per lasciare venti minuti di girato nel suo precedente film Snowpiercer, la situazione deve essere stata sicuramente una boccata di aria fresca.

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Ed è proprio su queste dinamiche che la compagnia di Los Gatos combatte la sua nuova battaglia, nel tentativo di far capire a esuli dello studio system che Netflix potrebbe diventare la loro nuova casa. Jonathan Friedland, responsabile della comunicazione di Netflix ha sottolineato la grande opportunità che questo comporta per il servizio di streaming: “Se si guarda ai lavori degli studi cinematografici americani sono abbastanza orientati verso i non-rischi. Ci sono invece progetti rischiosi o diversi da ciò con cui la gente è a proprio agio che non stanno trovando una casa, il che ha aperto una straordinaria opportunità per noi di inserirci e provare a realizzarli.”

Come scrive Kaitlyn Tiffany su The Verge, Okja, oltre ad essere un ottimo film, diventa un chiaro messaggio per il doppio pubblico di Netflix. “Per gli spettatori, è un film divertente. Per registi e addetti ai lavori, è una dichiarazione d’intenti difficile da ignorare.”

E se per caso il cambio di rotta con Okja – la migliore produzione cinematografica originale uscita fino ad ora – dovesse tardare ad arrivare, Netflix ha già in cantiere altri 30 film pronti per essere distribuiti in una sala virtuale che ormai conta più di 100 milioni di spettatori.


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