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Il futuro è iniziato dieci anni fa.

Il 29 giugno 2007 entrava in commercio il primo iPhone, un prodotto all’epoca da molti considerato letteralmente impossibile — almeno finché non l’hanno usato per la prima volta.

Si tratta, in qualche modo, di un anniversario forzato — il primo iPhone fu venduto in pochissimi mercati, e non in Italia, e non aveva ancora l’App Store, che si potrebbe giustamente considerare altrettanto o ancora piú importante per la storia dell’informatica, o forse dell’umanità.

Dell’umanità: perché è difficile pensare ad un prodotto piú trasformativo, che ha reimmaginato quello che era sostanzialmente un oggetto di lavoro — una macchina per mandare mail in mobilità — in un prodotto per le masse, che coniugasse lavoro, ma anche, soprattutto per i piú, distrazione e intrattenimento.

Si potrebbe qui aprire un lungo excursus sull’effetto dello smartphone sulla società, positivo o negativo che sia, ma ci sembra fuori luogo, libresco, e forse inutile: come dissertare sull’umidità dell’acqua.

Molto piú interessante è cogliere l’occasione per analizzare come Apple sia arrivata a quel prodotto che avrebbe cambiato il mondo, e come quel prodotto abbia influenzato anche Android, il sistema operativo che oggi muove i telefoni di due terzi del mondo.

[divider]Le origini[/divider]

Il progetto di iPhone non inizia nemmeno come telefono: inizia come tablet. Anzi, inizia ancora prima come vendetta personale.

La prima richiesta di indagare sulle possibilità di un tablet “con Safari” arriva da Steve Jobs in persona ai propri ricercatori. Una delle piú care amiche della moglie di Jobs, Laurene Powell, era a sua volta compagna di un generico “dipendente Microsoft” di cui nessuna ricostruzione offre il nome, anche se molti sussurri vogliono fosse un dipendente speciale, l’allora amministratore delegato Steve Ballmer.

Questo “dipendente” avrebbe annoiato Jobs senza tregua sulla carica rivoluzionaria dei progetti di tablet di Microsoft, che avrebbero cambiato il mondo. Si trattava di prodotti spessissimi, con schermi resistivi — ovvero su cui era necessario esercitare pressione per registrare input — che funzionavano decentemente soltanto usando pennine.

Jobs sarebbe tornato al lavoro dopo l’ennesima occasione sociale con la moglie e la famiglia del “dipendente Microsoft” e avrebbe chiamato furibondo Scott Forstall, allora responsabile dello sviluppo del sistema operativo dei Mac, e Jony Ive, leader iconico della squadra di designer di Apple.

Jobs ordina a Forstall e Ive di “far vedere a Microsoft” come si doveva fare: un tablet che si usasse esclusivamente, o principalmente, con le dita, e non con un pennino, con uno schermo che non richiedesse pressione — si chiamano capacitativi — e un sistema operativo con tasti e icone abbastanza grandi per poter usare un puntatore grande come un dito, invece della punta sottilissima del cursore del mouse.

[divider]Model 035[/divider]

In Apple dimostrazioni tecniche di funzionalità simili erano presenti, e già da anni un gruppo di ingegneri stava sviluppando prototipi di Mac con il touchscreen: alcuni direttamente sullo schermo del laptop, altri attraverso sistemi di proiezione. Ive chiede di concentrare i propri sforzi nella produzione di un prototipo solo schermo.

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Foto dagli atti del processo Apple/Samsung

Il risultato è il Model 035, un tablet spesso quanto un vecchio MacBook e avvolto dallo stesso policarbonato dei portatili di quegli anni — siamo nel 2002, otto anni prima della release dell’iPad, cinque prima del debutto dell’iPhone. Era a tutti gli effetti un portatile senza tastiera, e si scaldava come un portatile di quegli anni, come si può notare dalla stringa di ventole attorno a tutto lo schermo.

Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung

Mentre nei laboratori di Ive si continuava a lavorare per rendere il tablet utilizzabile senza essere culturisti, l’azienda si doveva occupare dell’iPod, di gran lunga il prodotto di maggior successo che aveva in quegli anni — e che da solo aveva salvato l’azienda.

Erano gli anni dell’avanzata del featurephone: telefoni che non erano smartphone — che all’epoca erano usati solo da uomini d’affari e nerd veri — ma che iniziavano ad avere funzionalità oltre la telefonia stretta: tra queste, sì, anche la riproduzione musicale.

Dopo il clamoroso fallimento del Rokr, un featurephone Motorola costruito in collaborazione con Cupertino che poteva sincronizzare la musica attraverso iTunes, in Apple si fa chiara l’idea che l’unica soluzione per portare il successo dell’iPod e di iTunes nella decade successiva era di sviluppare un telefono in casa.

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[divider]Di due telefoni facciamone uno[/divider]

Si imbarcano così due progetti paralleli, cercando di arrivare ad un prodotto da poter vendere al pubblico dell’iPod. Uno partiva proprio dal lettore mp3, e usava la ghiera cliccabile come punto focale della propria interfaccia, l’altro prevedeva l’apparentemente impossibile missione di ottimizzare il sistema operativo del Mac fino al punto di poterlo far funzionare su un processore da cellulare, e integrare le funzionalità ancora sperimentali del Model 035.

Sotto la guida di Tony Fadell, responsabile dell’iPod, iniziano i lavori per adattare l’interfaccia del lettore mp3 ad un telefono. Si trattava di un progetto molto meno ambizioso, piú basato nel contesto storico del momento: la ghiera cliccabile è un’interfaccia troppo rigida, ancora piú rigida delle tastiere e dei tasti presenti sui BlackBerry e i Palm del periodo. Non si trattava di uno smartphone, ma di un feature phone estremamente peculiare, basato sull’hardware dell’iPod nano.

Foto: Apple/United States Patent and Trademark Office
Foto: Apple/United States Patent and Trademark Office

Responsabile del sistema operativo del progetto era uno dei geni del software della casa, quel Matt Rogers che aveva supervisionato l’adattamento dell’interfaccia del telefono in già tantissimi altri casi: dallo scollare liste a, in questo caso, digitare messaggi. Che però francamente dubitiamo fosse utilizzabile.

Eventualmente, il progetto arriva a consegnare un prototipo piú o meno funzionante, il P1.

Una volta provato, per Jobs è chiaro: non è quello che vogliono fare, la ghiera dell’iPod telefono limita troppo gli usi. L’importanza di internet sul cellulare si stava facendo sempre piú evidente, e il team dietro P1 non aveva soluzioni per quello che sarebbe diventato, a guardare il progetto con gli occhi del 2017, l’uso principale di tutti i telefoni.

Jobs e Ive sapevano cosa bisognava fare: convertire la tecnologia sviluppata per il Model 035 e renderla abbastanza piccola da poterla usare in un telefono. Fadell era scettico: fino a quel momento nessuno era ancora riuscito a produrre un buon prodotto con touch screen, e sembrava impossibile snellire OS X — il sistema operativo del Mac — al punto da poterlo far funzionare su un processore da cellulare, all’epoca incredibilmente deboli.

[divider]Mettere un computer in un telefono[/divider]

I tre gruppi partono in quella che si delineava come una missione impossibile.

Fadell avrebbe lavorato alla prima interfaccia per il telefono, Forstall e i suoi avrebbero lavorato a rendere la “base” sottostante di OS X abbastanza leggera per il processore del primo iPhone, e Ive avrebbe guidato il lato hardware.

Si trattava di una missione impossibile quanto ambiziosa: nessuno dei partecipanti ignorava di avere il fulmine in bottiglia, e si lavorava a dei livelli di segretezza mai visti, nemmeno a Cupertino. Il team di Ive lavorava al design dell’hardware senza sapere che aspetto avrebbe assunto il sistema operativo, gli ingegneri erano tenuti completamente all’oscuro del progetto piú ampio a cui stavano lavorando, ai tanti designer, guidati dal veterano Richard Howarth, venivano dati brief criptici: “disegna un fulmine,” “disegna un rettangolo con una freccia che esca dal rettangolo,” “adatta l’icona di Safari ad un quadrato con i bordi arrotondati.” Nessuno avrebbe avuto una visione d’insieme del progetto per mesi.

Il progetto si fa sempre piú grande e continua a monopolizzare le risorse, economiche e umane, dell’azienda. Forstall organizza un piano intero del quartiere generale di Apple per il team di sviluppo. Il lavoro finisce per travolgere completamente la vita degli sviluppatori — “iPhone è responsabile di molti divorzi,” si legge nella ricostruzione di Brian Merchant — che di fatto si trovano a lavorare, mangiare, e dormire nel piano di Forstall, che presto assume il soprannome di “Purple Dorm.” Alla porta d’ingresso, chiusa per tutti i dipendenti che non stavano lavorando al progetto, un solo cartello, quello di Fight Club.

Nel frattempo Ive e il proprio team lavoravano agli stessi ritmi impossibili sull’hardware, un altro progetto che sembrava irrealizzabile. Ive e Jobs volevano un oggetto di materiali di qualità, e non di plastica, che potesse essere usato e abusato mantenendo l’aspetto di un prodotto “di lusso.”

I primi prototipi di iPhone rivelano tantissime delle paure di Ive e del team hardware, con bordi giganteschi attorno allo schermo.

Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung

Un’altra serie di prototipi, nome in codice “Sandwich” presentava un design molto piú familiare, che sarebbe poi sostanzialmente realizzato nella serie iPhone 4 e 4S.

Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung

I prototipi sandwich vennero presto scartati: c’era sempre piú paura di non riuscire a incastrare tutti i componenti del telefono case. Ad un certo punto, il prototipo diventa troppo spesso per il design squadrato, e viene messo sullo scaffale, insieme al progetto di fare un tablet con questa tecnologia.

Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung

Entrambi i design non passano il test dei piani alti dell’azienda — erano troppo grandi, troppo spessi, gli schermi circondati da troppe distrazioni. Ma i componenti erano quelli.

Apple aveva fatto il passo piú lungo della gamba: non ne sapeva abbastanza di design di antenne, di acustica, per il prodotto che voleva sviluppare.

Ive annuncia al proprio team che avrebbero ricominciato tutto da capo. Sarebbe stata la volta buona.

Foto dagli atti del processo Apple/Samsung
Foto dagli atti del processo Apple/Samsung

Ive torna sulle proprie carte e recupera un vecchio concept, quello dell’”infinity pool”: un telefono la cui faccia sostanzialmente nascondesse la presenza di schermo. Un vetro nero in cui “magicamente” apparisse uno screen. S

e le voci si riveleranno vere, sembra che l’iPhone di quest’anno sarà esattamente questo, terminando una lunghissima ricerca iniziata sì, quindici anni fa.

Rimaneva insoluto un problema: su due fronti — come usare questo telefono. Il sistema operativo procedeva, più o meno, ma era ancora lento, instabile, ci metteva secoli ad accendersi. Dall’altro lato, coprire tutto il fronte con uno schermo resistivo voleva dire che il fronte sarebbe stato “molle,” flessibile, presentando spesso deformazioni delle immagini.

https://youtu.be/-3gw1XddJuc?t=21m50s

Quando a gennaio 2007 Steve Jobs presenta il telefono sul palco di Macworld Expo, il prototipo ha uno schermo di plastica, e ogni azione è cronometrata e programmata: Jobs non stava usando il telefono, stava seguendo un percorso, passo dopo passo, con precisione chirurgica. Qualsiasi variazione da quel sentiero faceva crashare il telefono, che all’epoca impiegava più di due minuti a riaccendersi.

Il telefono sarebbe andato in vendita il 29 giugno 2007, e quegli ultimi mesi sarebbero stati drammatici. Jobs decide all’ultimo momento di voler usare vetro con finitura oleofobica al posto della plastica, aumentando sostanzialmente il costo di produzione del prodotto e l’interfaccia doveva rapidamente evolversi da prototipo a pronta all’uso quotidiano.

Il vetro, per quanto una corsa assurda, così all’ultimo minuto, era un’intuizione corretta: oggi nessuno telefono è in vendita con schermi di plastica e Corning, l’azienda che produce il Gorilla Glass attraverso cui state leggendo questo articolo, è diventata una potenza industriale dall’oggi al domani.

Il software presentava alcune delle innovazioni che oggi diamo per scontato: dal poter ingrandire gli elementi allargando lo spazio tra due dita — Apple lo chiamò pinch to zoom — fino alla struttura fondamentale delle applicazioni a minuzie di funzionamento: come la presenza, per ogni schermata, di una sola lista da scorrere. Durante la presentazione, per qualche secondo, si può vedere una slide in cui il telefono presentava lo schermo diviso in due, nella parte superiore la lista delle mail ricevute, nella parte inferiore un messaggio aperto. Si trattava di un adattamento fedelissimo del funzionamento del programma per computer, una struttura, però, che sui 3,5 pollici di quel telefono era semplicemente inutilizzabile.

[divider]iPad e il futuro dei computer[/divider]

Tre anni dopo, grazie al lavoro svolto per produrre e poi iterare su iPhone OS, nasceva iPad, il progetto che, con il Model 035, aveva dato origine a tutto. Ancora oggi, con il mercato dei tablet in apparente crisi, Apple continua a lavorare febbrilmente sul sistema operativo del proprio tablet, costruendo quello che, in definitiva, era il sogno di Steve Jobs, un computer per chi i computer non li sa usare.

https://www.youtube.com/watch?v=UR5ODc5Wbbo

La storia che raccontiamo oggi, però, ci è arrivata solo per vie traverse. I dipendenti Apple soffrono di mutismo aziendale, e solo i fuori usciti parlano — e saltuariamente — del processo di sviluppo dei prodotti di Cupertino. Se le recenti interviste a Scott Forstall rivelano molti interessanti retroscena, Fadell sembra invece sostanzialmente incattivito dall’esperienza, e non sembra essere una fonte affidabile.

L’altra fonte è, come dicevamo, il processo battaglia totale tra Apple e Samsung attorno ai brevetti apparentemente infranti dall’azienda coreana nella produzione dei primi due modelli di Samsung Galaxy. Si tratta di una delle pagine più grigie della storia della tecnologia recente — i brevetti sono un concetto antistorico nel mercato inarrestabile della tecnologia contemporanea — ma che ha certamente aiutato a fare chiarezza sulle vicende che hanno portato alla creazione di un prodotto che, nel bene o nel male, ha completamente cambiato il mondo.


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