Lazza, preludio di un grande talento

Ci siamo fatti raccontare da Lazza come si fa a rialzarsi ogni volta che il traguardo sembra allontanarsi e cosa significa dire “Ce l’ho fatta.”

Lazza, preludio di un grande talento

Il quartiere Sarpi, dove abbiamo incontrato Lazza, è un mondo strano: quartiere centrale e Chinatown milanese; gentrificato, ma con la fisionomia di un quartiere popolare. L’habitat naturale di chi ce l’ha fatta ma che la vita dei veri quartieri popolari l’ha vissuta.

La parabola di Lazzinho, infatti, è partita dalla Zona 4, uno dei veri quartieri popolari di Milano, che si sviluppa tra Viale Umbria e Piazzale Cuoco, appena dentro alla circonvallazione esterna — una zona da vivere per strada e nei cortili.

Lazza, che nella vita quotidiana è Jacopo Lazzarini, è un rapper e producer milanese nato nel 1994. Oltre a essersi fatto un nome notevole come freestyler ed aver pubblicato i mixtape Destiny e K1, ha frequentato per anni il Conservatorio G. Verdi di Milano, dove ha studiato pianoforte.
Quest’anno ha pubblicato il suo primo album, Zzala.

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Ci siamo fatti raccontare come si fa a rialzarsi ogni volta che il traguardo sembra allontanarsi e cosa significa dire “Ce l’ho fatta.”

Raccontaci come stanno andando le cose e come procede il tour.

Guarda, sta andando tutto da paura, date comprese, a parte una o  due che non sono state spinte a dovere da chi organizzava. Però comunque gente ce n’è sempre. Anche quando va male almeno duecento persone ci sono sempre.

Come è nato l’album Zzala?

Sicuramente è nato da una voglia di raccontare qualcosa alla gente, anche perché ero fermo da parecchio. Avevo bisogno proprio di tirare fuori qualcosa per una soddisfazione mia personale, poi una soddisfazione di Kidd e di Slait (Low Kidd e Dj Slait, i producer e i direttori artistici della 333 Mob ndr) e poi per dare alla gente quello che voleva.

Insomma, era un album atteso.

Abbastanza. Più che altro è il primo album, non mi aspettavo un riscontro così positivo e bello grosso. Comunque sia, un sacco di gente ci ha scritto da tutta Italia, non ero proprio abituato a messaggi tutti i giorni da gente che mi scrive da ovunque. Di recente mi è capitato di andare in Calabria e c’erano una cosa come 3500-4000 persone in piazza  che cantavano tutte e mi sono detto: “Minchia, sono arrivato fino a qua?”

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Come concili la tua formazione classica con l’immaginario Hip Hop?

Bene. È una roba nuova, quantomeno per l’Italia. Sì, c’era Nas che aveva fatto I can con Per Elisa di Beethoven. Ma penso che la sua fosse una cosa campionata. Io me le suono da solo le robe. La concilio bene. È sicuramente difficile da fare, però il risultato è buono e mi piace. Poi la gente dice: “Beh uno che rappa e le cose classiche se le suona lui, non si è mai visto”.

Dal punto di vista tecnico quanto ti aiutano gli studi classici, per esempio con la metrica, la timbrica e lo stare a tempo?

Tanto, tantissimo. Uno pensa magari di no, ma gli studi che ho fatto in Conservatorio, aiutano tantissimo. Specialmente quando devo cantarmi una cosa. Magari me la suono prima per capire bene se ci posso fare armonizzazioni sopra.

È una caratteristica atipica nel rap questa.

Penso di esserci solo io ad avere questa formazione nel mio ambiente. Poi ci sarà qualcuno che ha studiato oche ne sa qualcosa. Non mi prendo la libertà di dire che sono l’unico in realtà, perché non lo so per certo. Sicuramente sono uno dei pochi.

Questo fatto potrebbe portare un pubblico nuovo alla musica classica.

Certo! C’era qualcuno che nei commenti ad Overture diceva: “Potresti dire che la cosa che suoni in apertura è di Chopin e non è tua,” però penso sia palese. Alla fine è un pezzo molto conosciuto quello.

Da precedenti interviste ci è sembrato di capire che sei un lavoratore instancabile, e puoi chiudere anche due pezzi in un giorno. Come mai allora il tuo primo album è arrivato solo adesso?

Non lo so. Forse non ero abbastanza maturo da potermi permettere di buttare fuori un album. Penso sia l’unico motivo perché, come hai detto tu, sono uno che scrive e si dà da fare un sacco.

Alla luce del recente avvicinamento tra Salmo e Sfera, pensi che ormai la trap sia stata definitivamente accettata nel mondo del rap italiano?

Ma io non credo che Salmo non apprezzi ‘sta roba, anzi. Io poi parlo per me che faccio sia cose più vicine a Salmo, come può essere per esempio Mob che magari può richiamare robe sue come, che ne so, 7am, ma comunque il mio suono è più vicino a quello di Sfera. Comunque sia veniamo tutti da quella scuola lì, di roba con i bassi forti. Salmo, però, con me ci ha lavorato, quindi non penso che non gli piaccia quello che facciamo

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Ribaltando il punto di vista, in un’intervista hai dichiarato che, da ragazzino, pur ascoltando Salmo, non è che ti riconoscessi più di tanto nel suo stile.

Proprio perché ero ragazzino. Magari facevo fatica a capire tutto quello che diceva. Però al contempo mi gasava un sacco, sono andato più volte a vederlo live. Ripeto, sono più vicino ad un altro tipo di suono, però la roba di Mauri (Salmo ndr) è fighissima. Mi piace di brutto e mi diverto anche a farla ogni tanto.

Quanto ti rispecchi nel mondo rappresentato da Sfera, Tedua, Izi (per intenderci quelli della posse track Bimbi)?

Sono tutti miei amici. Sfera lo conosco da parecchio tempo, so che, ai tempi, quando non era ancora uscito XDVR, mi fece sentire, appunto, XDVR e Mercedes Nero, da cui mancava ancora la strofa di Tedua Comunque ci siamo influenzati ascoltando la stessa musica e mi sono sempre trovato bene con loro.

Tedua è il più particolare di tutti, è mitico, fenomenale. Ti parlo proprio dal lato umano, neanche da artista. Sono tutte persone che hanno mangiato a casa mia. Mi ci trovo bene, sono contento di quello che fanno, sono contento di avere dei colleghi forti come loro e di avere con loro un legame d’amicizia al di fuori del rap.

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L’età media degli ascoltatori di rap si è decisamente abbassata. Ci sono aspetti negativi nell’essere “rapper per bambini” o, invece, è perfettamente legittimo?

L’unico aspetto negativo è che magari il fan non capisce quello che stai dicendo. Però, al contempo, avere dei fan piccoli è giusto ed è positivo perché te li prendi tu, crescono con te. Se fai il tuo lavoro bene ti staranno sempre vicini. Magari tra dieci anni tu sei, esagero eh, il nuovo Vasco Rossi del rap e questi che ti ascoltano ora che hanno quattordici anni ne avranno ventiquattro e verranno al tuo concerto perché hanno visto che strada hai fatto e si sentono vicini a te, si sono affezionati e si sentono in dovere di non mancare quando fai una data.

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Tu sei anche un producer. Quali sono le differenze nell’approcciarsi a una traccia con una base già prodotta da altri e produrre una base per se stessi?

Sono uno che conosce la musica, diciamo che ci sto arrivando. Lavorando con Kidd, che mi ha insegnato un sacco di cose, non c’è una grande differenza tra produrmi le basi e farmele produrre. Kidd sa esattamente cosa voglio perché ascoltiamo le stesse cose e di conseguenza ci piace produrre le stesse cose. Poi ci consultiamo molto, ci diamo molto una mano. Il mio disco alla fine è curato da tutti e due, anzi, da tutti e tre. Quando abbiamo fatto l’album eravamo chiusi qua (in studio) io lui e Slait e abbiamo fatto tutte le produzioni insieme. Alla fine da uno all’altro cambia un suono, magari si fanno ritmiche diverse, ma alla fine lavoriamo insieme. C’è stata proprio una bella coesione tra tutti e tre. Comunque tre cervelli sono meglio di uno, no?

Fin dai tuoi inizi è sempre stato evidente quanto tu fossi consapevole del tuo talento. Quanto è importante crederci per arrivare? Quando hai capito che ce l’avresti fatta?

In generale dovrebbe essere sempre così. Quando ti impunti su qualcosa e poi ti levi una soddisfazione è sempre bello. Non è facile perché quando sei da solo a crederci e magari tutti ti danno contro, è difficile buttare giù gli ostacoli. Una volta che ci arrivi e ti rendi conto che avevi ragione tu dici: “Cazzo quanto sono stato forte!”, sei fiero di te, no?

Immagino che non sia sempre facile rimanere convinti. In Origami canti: “Cercarmi un lavoro giusto per portare la tipa/ A mangiare o comprare le siga/ Non è proprio quello che io avevo in mente di/ fare/ Ma forse frà è un’alternativa.” Come si superano quei momenti in cui sembra meglio cambiare strada?

Ci vuole forza di volontà, ma se hai forza di volontà li superi. Non so come. È una domanda che mi ha fatto un po’ di gente e non lo so come. Ci vuole la voglia di dire: “Vaffanculo, non voglio finire in un call center del cazzo”. Parliamoci chiaro, per me il rap non è solo una questione di soldi. Poi, è difficile mangiare facendo questo lavoro, ma quando succede, mangi bene. Però non è quello il mio primo interesse. Adesso mi ci mantengo ed è sicuramente una cosa buona in più, però quello che volevo fare io era non rimanere nell’anonimato. Non volevo restare in un ufficio di qualcuno o a fare il cassiere o a lavorare in un bar. Non era la mia strada. Mi sarei mantenuto uguale, ma scontento per tutta la vita.

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Hai mai fatto parte della Templargang$, l’associazione da cui erano partiti Monkey Planet e Troupe d’Elite?

Certo. I ragazzi li conosco. Poi Rkomi lo conosco benissimo, quando ha iniziato a rappare c’è stato un momento in cui io ero un po’ più in vista con Blocco Recordz e Zero Due e lui non era in vista come adesso, registrava da me, svariate volte mi ha chiesto consigli. Ho sempre creduto in Mirko (Rkomi ndr) e ho fatto bene. Intendiamoci, non è assolutamente merito mio il fatto che sia lì, anzi, è merito suo, si è fatto un culo tanto. Però è venuto spesso a registrare da me, mi ha chiesto cose, poi lui  è uno molto ansioso e quindi gli ho sempre detto “frate stai tranquillo che sei fortissimo”. Mi faceva riaprire pezzi di cui non era convinto, invece io gli dicevo: “Ma vai convinto che sei forte”.

Ecco, questa è una differenza che si percepisce anche nei vostri testi, se tu sei quello che ci ha sempre creduto, Rkomi è quello che dubita di se stesso…

Mirko è un po’ titubante. Io, però, gliel’ho sempre detto di non avere dubbi perché è uno dei più bravi. Poi al giorno d’oggi essere bravi non basta più, oltre che bravo Mirko è particolare. Mirko non chiude una rima e non te ne accorgi. E non ti sta addosso il fatto che non chiuda una rima. E a me quando non chiudono le rime, di solito, dà un fastidio incredibile proprio perché vengo dalla scuola del freestyle, dove le rime le devi chiudere per forza.

A un fenomeno come quello della Dark Polo Gang come ti approcci?

La Dark Polo è una roba a sé. Loro hanno un bel personaggio, sono bravi, sono forti a livello mediatico e d’immagine. In più sono persone genuine, sono come li vedi, sono simpatici. Poi in realtà hanno anche una gran testa, se non sbaglio c’è anche qualcuno laureato là in mezzo. Per il resto non li conosco benissimo. Conosco molto bene Sick Luke, che è un genio secondo me. Ha un suono unico lui.

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Tornando invece alla Troupe d’Elite?

Il primo rapper che ho conosciuto io è stato Ghali. Ti parlo dei tempi in cui andavo a fare le gare di freestyle al Cantiere (centro sociale di Milano ndr), dove se vincevi, vincevi una birra.

Mentre Ernia l’ho conosciuto un giorno in manifestazione e ci siamo messi a fare freestyle fuori dalla fermata di Cairoli, ci siamo conosciuti così. Abbiamo fatto freestyle mezz’ora, nel frattempo il corteo era partito e noi eravamo ancora lì. Ho dei buonissimi rapporti con i ragazzi. La Zona 4 Gang alla fine, non ti dico che ci sono dentro perché effettivamente non ci giro insieme e a livello lavorativo non abbiamo a che fare, però in un certo senso è come se ci fossi. Sono tutte persone con cui sono cresciuto. Da Falco che è un cugino acquisito a tutti gli altri.

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Un featuring con qualcuno di loro, con Rkomi per esempio, te lo immagini?

Me lo immagino eccome, come no!

A livello di punchline sei uno dei migliori in Italia, cosa pensi dell’abbandono del dissing classico in favore delle polemiche via Instagram Stories?

Ti ringrazio per il complimento. Penso che l’Italia su ‘ste robe faccia ridere. In America per ‘ste robe si sparano, in Italia fan tutti le pussy sui social, poi si incrociano e il massimo che fanno è non salutarsi. Da un lato, forse, è meglio, perché c’è qualche morto in meno, però c’è poca credibilità da questo punto di vista.

Sappiamo che sei un appassionato della rima quadrupla, questi mezzi tecnici si acquisiscono con l’esperienza, a forza di tentativi, o con un vero e proprio studio?

Impari a farli. Devi avere una certa padronanza della lingua per farlo, devi conoscere un po’ di cose, però dopo un po’ ti viene naturale. Se sei scimmiato di quelle cose ci provi a farle, però non è che ci vuole uno studio. Alla fine questa roba dove la studi? Un conto è studiare musica classica, un altro è fare rap.


Tutte le foto di Michael James Daniele

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