Ripetere l’esperimento Milgram 50 anni dopo

Un gruppo di ricercatori polacchi ha replicato il famoso “Milgram experiment” sull’obbedienza all’autorità, ottenendo risultati simili a quelli del ’62.

Ripetere l’esperimento Milgram 50 anni dopo

“Daresti una scarica elettrica nel 2015?”

Secondo i risultati dell’esperimento condotto dagli psicologi sociali dell’SWPS University of Social Sciences and Humanities in Polonia, che hanno replicato in una versione moderna il Milgram experiment sull’obbedienza all’autorità, la risposta è sì. Lo studio, pubblicato sulla rivista Social Psychological and Personality Science, ha riscontrato esiti simili a quello realizzato 50 anni fa dallo psicologo sociale americano Stanley Milgram.

“Il nostro obiettivo era esaminare quanto alto fosse il livello di obbedienza nei cittadini polacchi oggi,” scrivono gli autori. “L’esperimento di Milgram non è mai stato condotto in Europa centrale, ma abbiamo pensato che la storia particolare dei Paesi di quest’area rendesse la questione dell’obbedienza verso l’autorità molto interessante.”

Nel 1962, Stanley Milgram aveva reclutato i primi soggetti che avrebbero partecipato al suo esperimento sull’obbedienza all’autorità con un’inserzione pubblicitaria apparsa su un giornale locale. Nel testo dell’annuncio non si specificava che i partecipanti all’esperimento sarebbero stati portati a compiere azioni in contrasto con la propria coscienza morale, ma che si trattava di uno studio su memoria e apprendimento. Tutto si sarebbe svolto nel Dipartimento di Psicologia della Yale University.

Fino a che punto i soggetti avrebbero obbedito agli ordini? Quando e come si sarebbero ribellati?

L’esperimento inscenato era ovviamente fittizio. A due soggetti venivano assegnati i ruoli di insegnante e allievo. Lo sperimentatore informava entrambi del fatto che si sarebbe trattato di un’indagine volta a studiare gli effetti delle punizioni sull’apprendimento. L’allievo veniva portato in una stanza, fatto sedere e legato per pseudo-motivi di sicurezza (di fatto per rendere evidente che non avesse libertà d’azione), mentre su uno dei polsi era applicato un elettrodo. L’allievo aveva il compito di memorizzare una serie di associazioni di parole. A ogni errore, riceveva apparentemente una scossa elettrica.

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Dietro il paravento dell’esperimento sull’apprendimento, ben altri erano in realtà i processi psicologici che si consumavano: “Il vero soggetto sperimentale non era infatti l’allievo bensì l’insegnante, il quale, dopo aver assistito alla sistemazione del primo, si accomodava in un’altra stanza dinanzi a un falso generatore di corrente, congegnato con una serie di modulatori di intensità dai 15 ai 450 volt, graduati in misura crescente di 15 volt con trenta interruttori. La strumentazione indicava, con apposite etichette, la sequenza da scossa leggera a scossa pericolosa.

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L’insegnante aveva il compito di sottoporre l’allievo al test della memoria di parole: quando quest’ultimo non rispondeva correttamente, la regola imponeva che si passasse alla serie di parole successiva, mentre, quando sbagliava, che venisse somministrata una scossa elettrica, partendo dal livello più basso e proseguendo necessariamente in crescendo.

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“Nel ruolo di complice dello sperimentatore, la falsa cavia non subiva alcuna sevizia, ma l’insegnante era convinto di procurarle una sofferenza reale” scrive Adriano Zamperini nel saggio di introduzione a Obedience to Authority, edito nel ’74, in cui lo stesso Milgram racconta nel dettaglio metodologia di ricerca e risultati ottenuti attraverso l’esperimento condotto più di dieci anni prima a Yale.

Obiettivo dello sperimentatore era osservare fino a che punto l’insegnante avrebbe accettato di esercitare violenza su una persona che manifestava la volontà di difendersi, interrompendo le prove, e impossibilitata a farlo perché legata. L’allievo, fingendo, esprimeva il proprio malessere, e innescava così il conflitto tra coscienza morale e ordini ricevuti, fulcro della ricerca di Milgram: “Verso i 75 volt si potevano sentire chiaramente i primi lamenti, a 120 volt le forti invettive verbali, a 150 volt la richiesta che l’esperimento fosse sospeso, infine, quando le scosse ormai raggiungevano i 285 volt, rantoli strazianti” continua Zamperini.

Le reazioni degli insegnanti, all’epoca, furono sorprendenti.

Circa due terzi dei soggetti sperimentali hanno continuato a punire l’allievo fino all’ultimo pulsante, nonostante le manifestazioni di tensione e le proteste energiche degli allievi. I lamenti e le implorazioni della vittima non bastarono a farli desistere dall’eseguire gli ordini ricevuti. Tutto ciò avveniva in assenza di qualsiasi coercizione fisica.

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Conclude Zamperini: “Allorquando siamo chiamati ad affrontare cognitivamente dilemmi morali crediamo, in modo rassicurante, di poterli risolvere facendoci guidare esclusivamente dai principi etici della coscienza; all’opposto, gli esperimenti sull’obbedienza ci insegnano che nelle concrete situazioni sociali possono agire vincoli e costrizioni che riescono a calpestare il nostro senso morale.”

Per ripetere l’esperimento, i ricercatori polacchi hanno reclutato 80 soggetti sperimentali (40 uomini e 40 donne), di età compresa tra 18 e 69 anni. I risultati mostrano che il livello di obbedienza dei partecipanti nei confronti delle istruzioni impartite da un’autorità è altrettanto elevato quanto quello riscontrato dall’indagine svolta originariamente da Milgram, dall’altra parte dell’oceano, in un’altra epoca.

Il 90% dei soggetti si è dimostrato disposto a raggiungere il livello massimo di punizione, 450 volt. Leggiamo inoltre nelle conclusioni: “Per quanto riguarda le questioni di genere, vale la pena osservare che anche se il numero di persone che rifiutarono di eseguire i comandi dello sperimentatore è stato di tre volte maggiore quando la cavia a ricevere la scossa era una donna, la ristretta dimensione del campione non ci permette di trarre conclusioni forti su questo fronte.”

Dunque, mezzo secolo dopo l’esperimento originale di Milgram sull’obbedienza all’autorità, una grande maggioranza dei soggetti è ancora disposta a infliggere sofferenze atroci a un individuo impotente.

Dopo esser venuti a conoscenza della vera natura dell’esperimento, gran parte dei soggetti sperimentali ha affermato che non si sarebbe mai comportata in quel modo. Di fatto, i risultati ottenuti dimostrano il contrario.

L’idea che l’obbedienza sia un pericolo e la riflessione sul tema – messo in evidenza dallo studio di Milgram da un punto di vista peculiare – ha radici europee (si pensi a Psicologia di massa del fascismo di Reich, o a Fuga dalla libertà di Fromm, ma anche a La personalità autoritaria di Adorno). Ciò che fece il sociologo americano tra gli anni ‘60 e, 70 fu attualizzare e arricchire la ricerca, allargando fino a includere il periodo storico a lui contemporaneo, ossia quello della guerra del Vietnam: secondo Milgram, per i nordamericani è stato questo in particolare uno dei momenti più drammatici del conflitto tra il dettato delle coscienze individuali e i comandi dell’autorità dello Stato.

Come concludono gli psicologi polacchi, il fatto che lo stesso esperimento ripetuto cinquant’anni dopo – in un altro continente, reduce dalla Seconda guerra mondiale, e in un altro momento storico – abbia portato sostanzialmente gli stessi esiti dovrebbe preoccupare e far riflettere su quale potrebbe essere il comportamento dell’essere umano oggi di fronte ad avvenimenti simili a quelli del primo e secondo Novecento in Europa, nel momento in cui si tratti di procurare sofferenze a un altro essere umano per ordine di un’autorità.

I risultati dell’esperimento sembrano parlar chiaro: quella scossa elettrica la infliggeremmo ancora. E ancora. E ancora.


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