Il concerto dei Radiohead a Monza è stato un successo secondo chi c’è stato
L’ennesima prova, dopo quella di Firenze, che i Radiohead stiano attraversando un momento di grazia all’interno di una carriera già di per sé straordinaria.
A prendersi un po’ poco sul serio, il dubbio in questi giorni c’era: ma alla fine qualcuno ci andrà al concerto dei Radiohead di Monza?
Sì, ovviamente sì. Dopo tutte le congetture e ipotesi sul perché proprio per questo concerto ci sia stato un proliferare di rivendite (legali) di biglietti, il giorno è arrivato ed è stato tutto come previsto.
Una folla di persone ha invaso l’enorme spazio dedicato all’I-Days 2017 all’interno del Parco di Monza. L’organizzazione, imputata da molti come possibile causa dei tanti ripensamenti, ha sicuramente di che lavorare per offrire nei prossimi anni uno spettacolo al livello dei festival europei.
Non è tutto da buttare anzi, il palco e soprattutto il suono sono assolutamente di livello. Il sospetto è che, più che per questioni di sicurezza, le scomodità per le persone siano frutto di una certa volontà di guadagnare su ogni aspetto dell’evento — vedi alla voce parcheggi (20 euro per un parcheggio a 6 km dal palco) e token.
Questo però non ha scoraggiato le oltre 55.000 persone che si sono date appuntamento per la seconda e ultima data di questa mini tournée italiana dei Radiohead, che mancavano nel nostro paese dal 2012.
Alla fine hanno avuto ragione loro: tutti quelli che hanno resistito alle tentazioni e soprattutto hanno resistito al caldo e ai tanti (troppi) chilometri. Perché ieri la band di Thom Yorke ha regalato ai suoi fan l’ennesima prova di essere probabilmente la migliore band in circolazione.
Sembra infatti che non solo gli anni di attività non pesino ma che anzi, col passare del tempo, la band abbia guadagnato in consapevolezza, privandosi delle paure e dalle “menate” di un tempo. Ci si trova di fronte a una band conscia del proprio ruolo all’interno della storia della musica. Un ruolo enorme, soprattutto se consideriamo gli ultimi 30 anni.
Fa specie soprattutto vedere Thom Yorke così a suo agio sul palco: parla molto e quasi sempre in italiano. Ride e scherza lanciando i pezzi più famosi (e un tempo ignorati nelle scalette) come “Creep.” Proprio lui, abitualmente schivo e poco avvezzo alla fama, reduce da anni personali complicati: un divorzio e poi la morte della sua ex compagna.
E invece di affossarsi, sembra essere rinato, all’alba dei suoi 50 anni.
La scaletta – lo dicono tutti – sembra perfetta. Non mancano i grandi classici come “Paranoid Android”, “No Surprises”, “Idioteque,” che si alternano ai pezzi dell’ultimo disco. Tutti gli album vengono abbondantemente saccheggiati nelle due ore di musica.
I brani scelti dalla band per il concerto.
Il sentimento comune è quello di aver assistito a un momento unico non solo per la storia della musica, ma anche e soprattutto per la storia personale di ognuna di quelle 55.000 persone. Lo si capisce ancor meglio nei momenti in cui – durante “Exit Music (For a Film)” per esempio – la platea è completamente in silenzio, ammaliata dalla voce di Thom Yorke.
L’ennesima prova, dopo quella di Firenze, che i Radiohead stiano attraversando un momento di grazia all’interno di una carriera già di per sé straordinaria. Un motivo più che sufficiente per accettare qualche inconveniente di troppo e assistere al più classico dei concerti, da raccontare per il resto della vostra vita.
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