Abbiamo raccolto qualche testimonianza dei cosiddetti “nuovi italiani,” ragazzi con diverse esperienze ma con un’identità comune: quella italiana.
Oggi la legge sullo ius soli sarà discussa in Senato. Sarà una svolta importante per la politica italiana in tema di immigrazione: oggi infatti l’assegnazione della cittadinanza italiana si basa sullo ius sanguinis, traducibile come “diritto derivato dal sangue:” è italiano chi discende da italiani. Ius soli invece significa diritto della terra, e — con varie sfumature — garantisce la cittadinanza a chi nasce sul suolo italiano, anche da genitori stranieri.
Non era sicuro che la legge arrivasse al Senato, visti gli scossoni politici delle ultime settimane, ma i gruppi parlamentari che l’hanno proposta — oggi sparsi tra MDP, Sinistra Italiana, e PD sono riusciti a portarla a palazzo Madama secondo i tempi previsti.
Il dibattito riguardo alla legge è molto acceso e una forza politica come il Movimento 5 stelle, che dopo essere andato peggio del previsto nelle amministrative dei giorni scorsi sta accelerando la propria scivolata verso destra, ha dichiarato che si asterrà.
Il disegno di legge non sarà esclusivamente legato allo ius soli, che verrà proposto insieme allo ius culturae. Come suggerito dalla parola, lo ius culturae garantisce il diritto alla cittadinanza anche chi non è nato in Italia ma vi si è trasferito entro il dodicesimo anno di età e ha completato qui un ciclo di studi.
Abbiamo raccolto qualche testimonianza dei cosiddetti “nuovi italiani,” ragazzi con diverse esperienze ma con un’identità comune: quella italiana.
Houssem, 22 anni
I miei genitori sono emigrati dalla Tunisia all’Italia alla fine degli anni ’80. Mio padre, all’epoca militante politico, è dovuto scappare dalla repressione messa in atto dall’ex presidente.
Io e mio fratello siamo nati in Tunisia, i miei genitori hanno preferito che crescessimo per i primi anni in Tunisia per non perdere totalmente lingua e cultura, per cui abbiamo trascorso il periodo delle elementari dai nostri nonni. Passavamo comunque i mesi estivi in Italia, avevo amici italiani, per cui eravamo solidamente “integrati” anche in Italia. Ho iniziato a frequentare le medie in Italia, in una scuola a La Spezia già all’epoca abbastanza multietnica, e sempre per spinta dei miei genitori, ho sempre frequentato le ore di religione cattolica, così da avere una conoscenza e cultura più ampia.
Alle superiori mi sono impegnato nelle attività studentesche, sono stato primo presidente di consulta degli studenti di origini straniere. Da allora non ho mai abbandonato la politica, e mi sono impegnato nella lotta per i diritti civili e politici. Sono cresciuto nelle sezioni dell’ANPI, e ora milito nel PD. Capita che i miei avversari, più che attaccarmi nei contenuti, mirano a screditarmi per le mie origini, per il mio nome. Spesso questi attacchi li leggo online. Uno dei commenti migliori é stato “L’immigrato arrivato col barcone che vuole regalare la cittadinanza” sotto l’articolo che riportava un sit-in di mia iniziativa, in funzione dello sblocco del DDL sulla cittadinanza. L’hanno criticata soprattutto perché l’avevo organizzato io. Ho spesso attriti con esponenti della destra, che vedono giovani di seconda generazione come noi, preparati e attivi, come un pericolo per la loro sopravvivenza.
Il nostro paese sta discutendo da 13 anni se introdurre lo ius soli — ius soli che oggi è pure “moderato.” I miei hanno ricevuto la cittadinanza quando io ero ormai maggiorenne, e ora sono in attesa, ma la procedura è molto lunga. Anche chi viene in tenera età, e si forma in Italia, acquisisce comunque una cultura italiana ed una identità italiana, quindi ha diritto alla sicurezza — perché io la considero una sicurezza— della cittadinanza. Lo ius soli e ius culturae non sono un “regalo,” come tanti li definiscono.
Ilhem, 23 anni
Sono nata nel ’94 a Marrakech in un “periodo di transizione” nel quale i miei genitori avevano deciso di tornare in Marocco per qualche tempo – erano residenti in Sardegna – e rientrai in Italia a nemmeno due anni di vita, con i miei fratelli maggiori anche loro piccoli, mentre mio fratello minore è nato in Sardegna. Nessun membro della nostra famiglia ha ancora la cittadinanza, in quanto mio padre ai tempi non fece richiesta, e non la poté trasmettere a noi (secondo lo ius sanguinis), quindi siamo rimasti dei “soggiornanti di lungo periodo”. Inoltre, una volta decisi a richiedere la cittadinanza, i miei genitori si sono trovati di fronte un altro scoglio: i requisiti di reddito. Purtroppo, mio padre, un cittadino onesto e gran lavoratore, questa soglia di reddito non è riuscita a oltrepassarla e, a differenza di altri, non ha mai osato gonfiare la dichiarazione dei redditi per poterla ottenere.
Non sono mai più tornata in Marocco fino all’anno scorso per soli 5 giorni, e in questo periodo, grazie al Servizio Civile che faccio a Beni Mellal da qualche mese. Sembrerà assurdo, ma ho conosciuto davvero il mio paese d’origine dopo 20 anni.
Io mi sono sempre presentata da sarda — e si sente — non mi sono davvero mai sentita diversa. Ho percepito del razzismo solo in tempi recenti, con un aumento dell’intolleranza e dell’islamofobia. La discriminazione che subisco è certamente di tipo istituzionale: non essere cittadina significa non poter accedere a determinati bandi e limita le tue opportunità formative all’estero. Una volta non mi hanno fatta entrare a Montecitorio. Il bello è che io ci ero già stata una prima volta, per essere premiata in quanto studentessa meritevole dell’anno accademico. È stato quando l’ho voluto rivisitare durante il mio soggiorno a Roma che mi hanno bloccata, perché “extracomunitaria”.
Se ci fosse stata una reale volontà politica, questa riforma sarebbe passata da tempo. Ma noi abbiamo fiducia. L’italia è cambiata, è multicolore, è multietnica.
Nassi, 25 anni
Sono nata qui, a Milano, in una famiglia di origine marocchina. Mio padre era un atleta professionista e negli anni ’90 si era trasferito in Francia prima di arrivare qui, mentre mia madre era venuta in Italia a fare la badante. Negli anni ’90 rilasciavano molti più visti per le straniere, soprattutto per chi veniva a fare quel lavoro.
Quando ho compiuto diciotto anni ho preso la cittadinanza italiana. C’è un giuramento ridicolo da recitare in cui dichiari la tua fedeltà alla bandiera — quelli nati nel nostro anno, nel 1992, avevano la possibilità di recitarlo nel corso di un evento pubblico all’Arena ma io ho preferito farlo in privato in comune: ho posizioni politiche piuttosto precise e non credo nello stato italiano — e nemmeno in quello marocchino. Ma in realtà quel giuramento serve soprattutto a far capire se sai bene l’italiano o no.
Prima, ogni tot anni dovevamo rinnovare il permesso di soggiorno. Mi ricordo questo inferno delle code in questura alle quattro del mattino insieme a mio fratello.
Soprattutto, mi ricordo che ogni due anni bisognava sborsare nel complesso circa duecento euro. Per come la vedo io, questa è una tassa sui migranti — e uno dei motivi per cui lo ius soli non è ancora stato approvato. Mia madre, dopo più di vent’anni che è qui, è riuscita a prendere la cittadinanza solo pochi mesi fa, a sette anni dalla richiesta. Basta fare due conti per capire quanto ha sborsato in questi anni.
Xavier, 24 anni
Vivo in Italia da 14 anni, a Como, e studio Mediazione linguistica e culturale. Da allora, non sono mai più tornato in Salvador, il mio paese di origine.
Non ho mai subito discriminazioni in Italia; sono una persona positiva quindi cerco di avere accanto persone di mente aperta. È capitato che qualcuno abbia cercato di farmi sentire diverso, ma sai, a volte le persone lo fanno senza nemmeno pensarci.
Questa legge è l’ultimo step necessario per renderci “totalmente italiani”: ci darebbe il diritto all’identità, e molti altri che a lungo ci sono stati negati. Siamo cittadini a tutti gli effetti, paghiamo le tasse, lavoriamo, abbiamo tutti i doveri che hanno gli altri, ma ciò non si rispecchia nei diritti che non ci vengono riconosciuti — come votare o partecipare a concorsi pubblici.
Penso ci sia riluttanza nei confronti di questa proposta perché in Italia il dibattito politico non è sano, tutto tende a polarizzarsi. È bianco o nero, non esistono le sfumature. O sei italiano o sei diverso, o sei “padano” o sei “terrone” (dimenticando tutto il resto d’Italia), o sei di destra o sei comunista. Così anche il discorso dello ius soli diventa o un estremo o l’altro, ignorando del tutto la parola “temperato”.
Ribadiamolo per l’ultima volta: non prenderà la cittadinanza chi nasce in Italia e basta, così come non ci saranno gare per venire qui a partorire. L’unica cosa che ci sarà è il riconoscimento di persone che già abitano in Italia, e da anni.
Insaf, 20 anni
Io sono nata in Tunisia e arrivata in Italia all’età di 9 mesi. Sono cresciuta in una piccola realtà come Pavullo, in Emilia Romagna, e non ho mai sentito alcuna differenza tra me e gli altri cittadini. Anche se sì, il compagno leghista penso l’abbiamo avuto tutti. Alla mia candidatura come rappresentante d’istituto la battutina “Ma volete farvi rappresentare da una marocchina?” è arrivata, ma non mi sono lasciata influenzare
Io sono italiana, non potrei sentirmi altrimenti. Il mio modo di pensare, di vivere, è italiano. Sono nata anche tunisina, ma non ci sono cresciuta. Le mie origini le mantengo, sono felice della mia ricchezza culturale e di conoscere un’altra realtà — seppur in maniera superficiale — però ecco, le considero soltanto origini. Non godo di diritti politici, e per me è paradossale perché la politica è parte integrante della mia vita, la seguo e la studio, ma non posso essere attiva e votare.
Ho dovuto rinunciare alla candidatura per le elezioni amministrative di Pavullo, benché la comunità pavullese mi ritenesse una candidata valida. I miei amici e conoscenti hanno scoperto che non ero in italiana, o meglio, cittadina italiana, quando ho detto loro che non mi sarei potuta appunto candidare.
Mi fa sentire impotente, e non vengo riconosciuta per quello che sono. Mio padre ha ottenuto la cittadinanza un anno e mezzo fa, trasmettendola alle mie sorelline, ma non a me, ormai maggiorenne da 20 giorni. Ora purtroppo non rispetto il requisito di reddito e quindi non posso fare domanda. Sono 19 anni e 3 mesi che vivo in Italia, non capisco perché non posso essere definita italiana. Sallusti, ad esempio, ha accostato il discorso sullo ius soli al terrorismo. Il problema è questo: le persone non leggono le riforme, non hanno idea di cosa realmente si sta parlando, e analizzano tutto solo attraverso il pregiudizio.
Kwanza, 24 anni
Sono nata in Germania, da madre bolognese e padre brasiliano. Mia madre si era trasferita lì per studio, poi ha deciso di trasferirsi un anno in Brasile dove ha conosciuto mio padre, per poi tornare insieme in Germania. Alla fine lei ed io ci siamo spostate a Roma, dove ho fatto l’asilo — un asilo tra l’altro pieno di bambini misti o di origine straniera. Sono cresciuta col mondo in casa grazie a mia madre, insegnante di danza africana. Per me crescendo è stato uno “shock” al contrario: alle elementari, tra i pochi bambini di famiglia mista, mi sembrava davvero strano vedere solo compagni “bianchi.”
La cittadinanza ce l’ho attraverso mia madre. Non ho quindi mai avuto questo problema, e mi sono resa conto di aver dato per scontato che la cittadinanza l’avessero tutti quando una mia amica di infanzia mi disse che doveva fare le pratiche per la cittadinanza. Mi chiedevo perché io fossi privilegiata rispetto a lei. Siamo cresciute insieme, abbiamo studiato insieme, ed è nata qua a Roma, a differenza mia, tra l’altro.
A 20 anni mi sono candidata alle municipali e ho iniziato la mia vita politica e da attivista. Ho fondato “Questa è Roma,” una realtà che vuole essere trasversale, occupandosi di mettere in risalto tutte le diversità che coesistono a Roma. L’uomo ha sempre bisogno di escludere e includere, per delineare la propria identità. Chi è lontano dagli schemi generali sembra nemico. “Nuovi italiani” trovo sia un termine per definire un nuovo modo di essere italiani che prima non veniva considerato. Ma importante è separare dall’espressione “seconde generazioni” il termine immigrazione, perché non c’entra nulla.
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