Perché serve una legge contro l’omofobia in Italia

E ancora, ecco che compare il termine “culattone” — ma se ne trovano anche di peggiori, navigando per il web.

Perché serve una legge contro l’omofobia in Italia

Oggi è la decima Giornata internazionale contro l’omofobia – o IDAHOBIT (International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia) – una ricorrenza promossa dall’Unione europea che si celebra ogni anno il 17 maggio.

La prima giornata contro l’omofobia si è celebrata nel 2005, a quindici anni esatti dalla prima rimozione dell’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, nella classificazione internazionale delle malattie dell’OMS. Nel 2007 – in seguito ad alcune dichiarazioni da parte delle autorità polacche contro la comunità LGBT – il Parlamento europeo ha istituito ufficialmente l’IDOHABIT.

Secondo un rapporto che Arcigay ha stilato e pubblicato per l’occasione, nell’ultimo anno in Italia gli atti di omofobia sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Può essere il momento giusto per tornare a parlare di una legge contro l’omofobia – da anni a prendere polvere nelle aule del Parlamento – che tuteli i gay, le lesbiche, i/le trans, e tutti i membri della comunità.

Perché c’è urgente bisogno di questa legge? Non c’è bisogno di andare tanto lontano, o analizzare qualche difficile manuale, per rendersene conto.

Prendiamo ad esempio alcuni commenti – che tutti noi possiamo leggere comodamente tramite il nostro profilo Facebook – al post che La Repubblica ha dedicato alla proposta di legge:

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Il rifiuto e il rigetto di una problematica sono il primo sintomo di quanto il problema in questione sia, effettivamente, reale. Sminuire fatti – anche quando sono evidenti e documentati – o non volerne sentire parlare è la prima dimostrazione della presenza di omofobia in Italia.

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Che una onlus aiuti le vittime di omofobia o tenga sotto controllo fenomeni di violenza fisica e psicologica sembra essere, per alcuni, una perdita di tempo. E ancora, ecco che compare la parola “culattone” — ma se ne trovano anche di peggiori, navigando per il web. Un altro evergreen è buttarla sulla religione con toni apocalittici: ragazzi e ragazze che si incontrano per strada tutti i giorni sono dipinti come “abomini,” “peccatori” e “pervertiti.” Si confida, tuttavia, che chi scrive tali insulti non abbia mai mangiato crostacei – ritenuto un peccato nei testi sacri cristiani – e non abbia mai fatto alcun tipo di pensiero a sfondo sessuale, potendo giudicare gli altri.

Gli esempi di palese omofobia in Italia non finiscono qui. Sempre La Repubblica oggi ha pubblicato un articolo che descrive una nonna ottantenne che si augura che il sogno di suo nipote gay si avveri: diventare padre. Tra i commenti si scatena l’odio degli utenti:

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Oppure:

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I commenti in cui una persona sconosciuta e non qualificata si fa carico di mettere in discussione la genitorialità di una persona omosessuale sembrano essere inevitabili. Ci sono poi i casi di finto altruismo in cui ci si preoccupa che i figli di persone omosessuali possano essere bullizzati a scuola. “Finto” perché non è una vera e propria preoccupazione nei confronti di questi bambini e di queste persone — se si avesse a cuore il problema del bullismo, ci si preoccuperebbe piuttosto di non far diventare il proprio figlio un bullo. Poi ancora, scorrendo e leggendo altri commenti, ecco che si arriva a un tema cruciale, ripetitivo, che potrebbe rivelarsi il fulcro di tutto il discorso legato all’omosessualità e alla genitorialità: madre natura.

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Nel primo e nel terzo commento si fa ricorso alla parola “naturale.” In molti sono convinti che il suo corretto utilizzo sia nell’identificare piante e animali, in modo ancora più superficiale — una sorta di: “è naturale ciò che faccio io, è innaturale ciò che io non conosco.” Appigliarsi a ciò che è naturale e a ciò che non lo è da parte dell’essere umano è ironico: si farebbe molto prima ad elencare una serie di cose naturali (e l’omosessualità, tra l’altro, è una di queste)  che l’essere umano compie e di cui usufruisce rispetto a quelle “innaturali.” La verità – e lo si sa già dal 1871 – è che a essere determinante per il giudizio morale verso l’omosessualità è la cultura, un artificio non “naturale” umano su cui sono costruite tutte le nostre abitudini.

Stiamo vivendo un periodo storico nel quale paesi non troppo distanti da noi riaprono campi di concentramento per omosessuali, far finta di nulla di fronte a situazioni di palese omofobia non fa altro che incrementare fenomeni drammatici come questo. Poiché non è possibile cambiare la mentalità delle persone con la stessa facilità e velocità con cui si preme il tasto “commenta”, sarebbe molto più efficace premere affinché venga approvata una legge che tuteli le persone omosessuali. Una persona eterosessuale, in quanto non esiste l’eterofobia, non può capire in prima persona determinati disagi sociali. Per questo motivo c’è bisogno non solo di una giornata contro l’omofobia, ma anche di una legge.