Stretta tra viale Jenner e via Lancetti, arterie principali del traffico milanese, si trova la Fratelli Branca Distillerie, uno dei più antichi stabilimenti industriali di Milano, oggi il simbolo di un’attenzione manifatturiera locale e mondiale.
Per capire come nasce e si sviluppa una realtà di questo genere siamo andati a visitare la distilleria e il suo museo d’impresa.
Foto realizzate da Nicolò Degni.
La storia del liquore Fernet-Branca ha inizio nel 1845 presso il quartiere milanese di Porta Nuova, nella drogheria dello speziale Bernardino Branca, dove venne ideata per la prima volta la sua formula, ancora oggi segreta. Il prodotto creato si rivela subito efficace per alleviare i sintomi del colera, che a partire dalla metà dell’Ottocento si era diffuso in Europa mettendo in difficoltà i sistemi sanitari cittadini. Il Fernet diventa quindi un prodotto diffuso, capace di arginare l’inappetenza causata dalla malattia e di stimolare la fame in chi ne faceva uso.
La doppia anima del liquore – contemporaneamente medicamento e digestivo – diventa la caratteristica capace di abbattere barriere culturali e sociali. Durante il proibizionismo statunitense il Fernet è infatti uno dei pochi liquori ad essere ammesso nel paese e venduto come medicinale nelle farmacie, così come nella cultura araba e mediorientale il prodotto entra come supporto medico. Corteccia di china, centaurea, mirra, resina, aloe, camomilla, zafferano e moltre altre piante o spezie con proprietà benefiche diventano la base del successo mondiale del Fernet.
“In una tendopoli del deserto libico ho trovato una cassetta del pronto soccorso in cui, oltre a bende e garze, c’era la bottiglietta da 50 del Fernet” ci racconta Marco Ponzano, responsabile della collezione Branca, mentre ci guida tra le stanze del museo.
Grazie al contributo dei figli di Bernardino dunque, il Fernet-Branca si muove tra le nazioni e i continenti, diventando un prodotto riconosciuto internazionalmente — da qui l’idea dell’artista triestino Leopoldo Metlicovitz di incorniciare il nome Branca all’interno del logo “Mondo”, ancora oggi simbolo dell’azienda.
È proprio il successo internazionale dell’azienda a convincere i fratelli Branca ad aprire nel 1907 lo stabilimento di via Resegone. Con una superficie di più di 20 mila metri quadri, la distilleria diventa in poco tempo il punto di riferimento per il territorio dei Corpi Santi milanesi – all’epoca fuori dai limiti cittadini – e per i suoi abitanti. Nei pressi dello stabilimento si crea un sistema di autosostentamento, per cui le attività non comprendono solo la produzione del liquore ma anche tutto ciò che serviva per la quotidianità dei suoi novecento dipendenti — nascono così scuole, case, orti, allevamenti e stalle.
“Addirittura le stesse spezie che si usavano nella fabbricazione dei prodotti non venivano buttate, ma date da mangiare agli animali. Le mucche finivano per mangiare la camomilla utilizzata per il Fernet.”
L’inizio della guerra non risparmia la distilleria: i bombardamenti ne colpiscono gli edifici delle linee di imbottigliamento, costringendo la fabbrica a chiudere per un breve periodo, senza però fermare le attività di sostentamento per dipendenti e abitanti della zona.
È il dopoguerra a conferire alla Fernet-Branca l’aspetto che conosciamo noi oggi: una realtà in continuo sviluppo, proiettata nel mondo industriale degli anni Cinquanta grazie ad una comunicazione innovativa e d’avanguardia.
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Davanti all’entrata della distilleria, il cambio delle stagioni è oggi indicato da una doppia fila di ciliegi, che in primavera trasformano via Resegone in una bomboniera rosa annaffiata da un leggero profumo di spezie e alcol. Quello che a fine Ottocento era il comune dei Corpi Santi è diventato oggi il quartiere Derganino — punto di passaggio del traffico milanese, incastrato tra Bovisa e Isola. Con gli anni il quartiere si è trasformato nel triangolo pubblicitario, accogliendo aziende come la Leo Burnett e la Saatchi & Saatchi e trasformando quella che prima era una zona periferica in un mosaico di uffici.
Ma la memoria e il valore storico del quartiere rimangono comunque racchiusi tra le mura della distilleria, antica custode della Milano passata.
All’interno dei suoi 22 mila metri quadri, nel 2009 è stata inaugurata la Collezione Branca, vera e propria wunderkammer dedicata interamente al lavoro produttivo e comunicativo dell’azienda — gli oggetti e le documentazioni esposte sono un tesoro aziendale a cui è stata data nuova vita attraverso la possibilità per ammiratori e appassionati di visionarlo e scoprirne la storia. La sensazione è quella di visitare la casa di una persona molto affezionata al suo passato. Questa sensazione è confermata dal fatto che, per lo sviluppo del museo come è presentato oggi al pubblico, ci sono voluti dieci anni di lavoro, a cui hanno contribuito i dipendenti stessi dello stabilimento.
Il museo – che negli anni si è conquistato oltre mille metri quadri dello stabilimento – è strutturato oggi su un lungo corridoio ai cui lati crescono insenature e stanze colme di memorabilia. Tra queste, si susseguono gli affascinanti materiali pubblicitari divisi per epoche e stili: dalle più classiche foto d’epoca, passando per i documenti d’archivio, ai rari poster in lingua per la promozione estera.
Il museo racconta una storia: la storia di Milano e d’Italia nei suoi ultimi cento anni, ma sono le cantine della distilleria a nascondere il cuore pulsante di uno stabilimento che dall’esterno sembra una creatura in letargo.
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Sotto il manto stradale è in attesa di essere imbottigliato il contenuto di quasi 800 botti — tra Fernet, brandy e prodotti minori. Ogni tre anni, dopo essere invecchiato, il liquore è pronto per essere distribuito sul mercato e le botti in rovere di slavonia vengono svuotate per fare posto a un nuovo ciclo di invecchiamento.
Come la fonte per i suoi fiumi, così le botti minori attingono tutte dalla botte madre di Stravecchio, una matrona lignea all’interno della quale avviene la parte iniziale della macerazione. La botte è intatta e immutata fin dall’inizio del Novecento, quando fu trasferita nella nuova sede di Resegone e gli furono costruiti attorno i muri dello stabilimento — neanche i bombardamenti, che pure la sfiorarono di poco, riuscirono a intaccarla. Da lei dipende la vita di tutte le restanti botti, per questo è costantemente monitorata dai dipendenti della distilleria.
“Su un oggetto del genere non si può intervenire più di tanto, il segreto è tenerla sempre piena, appena viene scaricato parte del contenuto, si va a immetere il vino nuovo. Il legno deve essere sempre gonfio, se si crea una fessura è un disastro.”
Alla grandezza della botte madre si contrappone l’inaspettata compattezza delle catene di imbottigliamento: stretti e sinuosi meccanismo capaci di eseguire i processi di soffiatura, riempimento e tappatura in tempi brevissimi e ottenere più di 5,000 bottiglie al giorno, rendendo la distilleria uno degli stabilimenti più attivi di Milano.
Invece di accarezzare l’idea di spostare tutte queste risorse produttive e museali all’estero, l’azienda ha creduto nel binomio Milano-Fernet, rafforzando così il legame che dura da più di centocinquant’anni tra marchio e città. Oggi la ciminiera della Fernet Branca veglia sui tetti e le strade di Milano, con la pazienza di una vecchia signora e lo spirito di una giovane donna, in attesa che un altro giorno di lavoro cominci.
È possibile visitare il museo e le cantine della Fratelli Branca Distillerie il lunedì, mercoledì o venerdì, alle 10 o alle 15.
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