Bentornata, Chelsea Manning
Perché Chelsea Manning ha scelto di svelare tutto quello che sapeva, esponendosi al rischio di una feroce violenza istituzionale?
In copertina e nell’articolo, arte di Kasimir Malevič
Perché Chelsea Manning ha scelto di svelare tutto quello che sapeva, esponendosi al rischio di una feroce violenza istituzionale?
Oggi verrà rilasciata Chelsea Manning, l’eroina che ha permesso alla comunità internazionale di conoscere la brutalità dell’esercito americano tramite una serie di rivelazioni a Wikileaks. Manning, condannata a 35 anni di carcere, ha avuto la pena commutata dal presidente Obama negli ultimissimi giorni del suo mandato. L’atto di Obama è giunto appena in tempo: il nuovo presidente Trump ha dichiarato più volte che Manning è una “traditrice ingrata” e che, fosse stato per lui, non l’avrebbe mai scarcerata — parole bizzarre da chi ha appena rivelato con noncuranza qualche segreto di stato alla Russia.
Questo è un bel giorno per la libertà di stampa e per i diritti umani. La lunghissima detenzione a cui era stata condannata Manning era parsa a molti autorevoli voci, americane e non, come eccessiva — forse, un esempio per prevenire nuovi casi di whistleblowing, come il suo o quello di Edward Snowden. È il giorno giusto per ricapitolare la vicenda personale e politica di Chelsea Manning, coinvolta suo malgrado in uno dei maggiori scandali ideologici e spionistici del nuovo millennio.
Chelsea Manning è nata nel 1987 da padre americano e madre gallese. Manning, è transessuale — cosa che ha alimentato ulteriori dibattiti, spesso di cattivo gusto, sulla sua figura. La sua situazione familiare è difficilissima: sia suo padre che sua madre sono alcolizzati — la madre beve molto anche mentre è incinta di lei — e Bradley e sua sorella devono badare a sé stesse. Ciononostante, Bradley mostra una certa intelligenza e prima di compiere vent’anni, su suggerimento del padre, si arruola nell’ esercito.
La sua permanenza tra i ranghi militari statunitensi non è facile. Bradley è alta solo 1,50; è gay e, sebbene si sia arruolata anche perché convinta che un ambiente così mascolino e cameratesco potesse aiutarla a risolvere quello che considerava ancora un disturbo psicologico, si trova malissimo. Viene continuamente bullizzata dai suoi commilitoni e la sua situazione depressiva peggiora. Bisogna ricordare che, nell’esercito americano, fino al 2011 l’omosessualità è stata affrontata con la politica del “non chiedo–non dico,” ovvero come segreto di pulcinella coperto da una sorta di tabù: un soldato rivelatosi esplicitamente omosessuale rischiava di essere congedato in automatico.
Nel 2009, Manning viene assegnata ad un’unità di stanza in Iraq, dove lavora come analista di intelligence – fin da prima di arruolarsi, aveva dimostrato una certa competenza coi computer. Durante questo impiego comincia a venire in contatto con una grande quantità di dati sensibili, che la turbano profondamente: soprattutto condotte scorrette da parte dell’esercito come violenze sui civili, omicidi accidentali di soggetti innocenti, torture.
Nel gennaio 2010, tramite alcuni amici parte di una comunità hacker, viene in contatto con Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange. Manning decide di condividere con il mondo almeno una parte di quanto è venuta a sapere durante il suo servizio. Mentre si trova in una base americana copia una grande quantità di dati su un CD camuffato scrivendoci sopra “Lady Gaga;” poi consegna tutto direttamente ad Assange.
A partire da febbraio, la comunità internazionale viene a conoscenza di cose come le terribili condizioni di detenzione nel carcere di Guantanamo, l’uccisione in un raid aereo di 86 civili afghani nel villaggio di Granai e il celebre video dell’attacco americano a un furgone con passeggeri bambini a Baghdad. Sono rivelazioni così dirompenti da essere, secondo alcuni commentatori, una delle principali micce ad aver innescato le primavere arabe.
Intanto, per alcuni mesi dopo la pubblicazione dei primi file, Manning riesce a non farsi identificare dalle autorità americane, che stanno cercando in tutti i modi di farla pagare ad Assange e alle gole profonde dietro le rivelazioni. Almeno finché non entra in contatto con Adrian Lamo, un hacker a cui confida di essere la fonte delle rivelazioni di Wikileaks. Il comportamento di Manning, in questa e in altre fasi, è stato quantomeno inadatto per una persona nella sua posizione. Secondo alcune persone a lei vicine in quei momenti, Manning si sarebbe comportata come se desiderasse essere scoperta – bisogna ricordare che Manning si trovava, e si trova, in una situazione psicologica estremamente delicata.
Lamo denuncia Manning alle autorità, che la catturano e la imprigionano prima in Kuwait e poi in un centro di detenzione su suolo americano, in Virginia. All’inizio, contro Manning non viene formulata nessuna accusa, una detenzione di fatto illegittima che causa sconcerto e accuse tra le organizzazioni e i media internazionali. A luglio le accuse vengono finalmente formulate – a destare preoccupazione è soprattutto quella di “connivenza col nemico,” che per la legge americana può condurre alla pena di morte.
Il 30 luglio 2013 Manning viene riconosciuta colpevole di 17 delle 23 accuse rivoltele — non quella di connivenza col nemico — e condannata a 35 anni di carcere. La sentenza viene giudicata eccessiva da numerose organizzazioni internazionali e testate come il Guardian, che ha sempre sostenuto Manning e le organizzazioni di diffusione di dati sensibili. Intanto, proprio nel 2013, Manning annuncia di voler intraprendere la lunga procedura per il cambio di sesso.
In carcere, Manning viene considerata un soggetto a rischio di suicidio: le vengono tolte le lenzuola e gli occhiali e viene tenuta sotto stretta osservazione. Le richieste di grazia presidenziale rivolte a Obama dai suoi avvocati cadono nel vuoto. Intanto, a partire dal 2015, comincia a collaborare proprio con il Guardian, nonostante in cella non le sia garantito l’accesso a internet. A ottobre del 2016 tenta in effetti di togliersi la vita, vedendo come probabile una lunga permanenza in cella.
Forse anche questo episodio ha spinto Obama a essere clemente, e a decidere che Chelsea Manning aveva pagato abbastanza. Da presidente uscente, Obama ha atteso l’ultimo minuto a sua disposizione per commutare la pena di Manning in modo da consentirle di uscire di prigione oggi, 17 maggio 2017 — non di graziarla: Obama ha sempre ritenuto la whistleblower colpevole dei reati che le sono stati contestati ma ha giudicato la pena inflittale, in fin dei conti, eccessiva.
Perché Chelsea Manning ha scelto di svelare tutto quello che sapeva, esponendosi al rischio di una feroce violenza istituzionale?
Lei ha sempre dichiarato di voler aiutare il prossimo, sensibilizzando l’opinione pubblica su cose che tutti avrebbero il diritto di sapere. È difficile prevedere un allentamento della repressione americana verso figure come lei, Julian Assange o Edward Snowden, specie con il nuovo inquilino della Casa Bianca, che mettono in pericolo la segretezza di molte operazioni USA e anche lo stesso impianto ideologico alla base della politica estera e interna statunitense. Ma forse, almeno, ora Chelsea Manning potrà provare a essere felice.
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