In questo periodo dell’anno, sono solita fare un ripasso dei momenti che mi hanno resa fan dell’Eurovision.
Sabato si svolgerà a Kiev la 62esima edizione dell’Eurovision Song Contest, l’evento musicale più seguito in Europa. In Italia ne si sente parlare molto grazie ai commenti degli amanti del trash che imperversano durante il live tweeting assetati delle performance più grottesche. E anche se c’è chi critica chi segue il festival solo per il gusto dello sfottò e della cafonaggine televisiva — non considerando tutte le tensioni politiche che questo evento porta con sé e le gaffe di cui solo l’Italia è capace — è forse l’unica competizione in cui si possa veramente dire “l’importante è partecipare” visto il numero così elevato di personaggi eccentrici che si sono affermati nei cuori dei suoi spettatori.
In questo periodo dell’anno, sono solita fare un ripasso dei momenti che mi hanno resa fan dell’Eurovision. Momenti che mi hanno insegnato quanto sia ricca ed eterogenea l’Europa, quanta bellezza ci unisca sotto la bandiera blu a stelle gialle che sventola nell’intro con il Te Deum in sottofondo. Perché tutto ciò è molto più di una scimmia nuda che balla, il Nirvana e il Karma Occidentale.
Un personale vademecum
2006
Per la prima volta in 45 anni di partecipazione la Finlandia vince e lo fa con un band heavy metal che esegue il brano “Hard Rock Hallelujah!.” Un look ispirato ai film horror e il neologismo “Arockalypse” sono il mix perfetto per fare entrare a buon diritto questi popoli del nord nell’Olimpo.
2007
Verka Serduchka: la cantante ucraina non vince arrivando seconda, ma diventa icona e si cristallizza come personaggio eccentrico ed emblematico dell’Eurovision. Stand-up comedian, cantante, sosia di Malgioglio, questa artista poliedrica non si può incasellare in una sola definizione. La sua canzone, “Dancing Lasha Tumbai,” non si capisce se sia una presa di posizione contro la Russia, un’espressione in mongolo o una frase inventata, ma è subito tormentone.
2010
Forse non tutti sanno che i Sunstroke Project, finalisti Moldavi di questa edizione non sono novellini dell’Eurovision, avendo già partecipato 7 anni fa assieme alla cantante Olia Tira. Il sound era decisamente più attinto dalla dance anni ’90, ma l’immancabile jingle eseguito con il sax già imperversava sul palco. Il loro ritorno quest’anno ricorda un po’ la reunion dei Take That (senza Robbie, anche se prima o poi torna, forse).
2012
Un anno in cui si succedono veri e propri capolavori dell’assurdo, dalle babuskhe russe vestite da matrioska che si presentano sul palco sfornando biscotti e cantando “Everybody come on and dance“, alla cantante Mandinga che essendo rumena si presenta giustamente con un brano in spagnolo in cui recita ” Mi chico bonito un poco negrito, ven papito ven aca“ e accarezzando il ballerino di colore, se ne frega di qualsiasi fair play. Fu vera gloria? Non mi pronuncio sull’ardua sentenza.
2014
L’anno che fece più discutere: la partecipazione della controversa quanto barbuta Conchita Wurst, vincitrice della finale e dei diritti civili, l’originale Islanda e la sua band vestita dei colori dei Teletubbies (il momento tenerissimo in cui al minuto 00:57 il batterista raggiunge il microfono del compagno per fare “Hey!” e poi torna al suo posto) e la più amata dagli italiani: la Polonia e un orgoglio nazionale che non si vedeva dall’Età Napoleonica. Per palati fini.
2015
Last but not least, il cantante israeliano Nadac Guedj che sfodera un look elegante, una discreta capacità canora e danzereccia e la tocca pianissimo con le sneaker alate d’oro, proprio come lui, un Golden Boy.
Per la finale
Per concludere, non so cosa aspettarmi dalla finale, ma so che la seguirò con il fiato sospeso. Non amo fare pronostici sui finalisti e preferisco invece lanciare un messaggio di solidarietà al grande escluso: il Montenegro, per il coraggio con cui ha indossato una gonna blu da principessa Disney, per l’eleganza con cui ha saputo togliersela, per la sincerità con cui sventolando la treccia da Kahl Drogo mi ha ricordato perché l’Eurovision riesce ad emozionarmi, ancora.