Dopo gli utlimissimi Knight of Cups e Voyage of Time, il regista statunitense torna dietro alla macchina da presa per dirigere un film che segue puntualmente estetica e temi dei suoi lavori precedenti.
Song to song – l’ultimo lavoro di Terrence Malick in anteprima ieri al cinema Apollo a conclusione della rassegna del Biografilm Festival – non solo non può deludere i fan più affezionati del regista, ma rischia di costringere i critici più scettici a ricredersi sul suo lavoro — almeno questa volta. Gli ingredienti conosciuti ci sono tutti: le belle passeggiate, la riflessione filosofica, il pensiero poetico, l’esperimento del ritratto esistenziale delle vite al limite dei protagonisti messi a confronto con la loro vera identità.
Siamo ad Austin, Texas.
La principale voce narrante è Faye, l’enigmatica e sofferente Rooney Mara, aspirante cantautrice attratta, poi assuefatta, allo showbiz, costretta a fare i conti con le proprie verità e menzogne, con il rifiuto e, al tempo stesso, con il disperato bisogno di un profondo legame affettivo. Faye è divelta tra il rapporto morboso e infuggibile con Cook – ricco produttore musicale, qui Michael Fassbender, che le promette un contratto – e la storia d’amore con BV, Ryan Gosling, giovane musicista venuto dall’Est che sogna il successo, ma senza accettare compromessi.
In Song to Song gli esseri umani interagiscono con ciò che li circonda, sfiorano e toccano gli ambienti in cui sono immersi, guardano e studiano gli oggetti che li compongono. L’amore di Malick per i giochi di luce e ombra è portato all’estremo: il volto di Faye diviso in due dal tramonto, il sole che attraversa tende quasi trasparenti che giocano con la macchina da presa e con i personaggi, ballerini su un palco a luce naturale, forme e texture in movimento.
Tutta la narrazione ruota attorno a domande ricorrenti, presentate nei dialoghi rarefatti tra i protagonisti, o da una sussurrante voice-over. “Hai paura di me?”, “Sono una buona persona?”, “Chi sono, io, davvero?” – sono i quesiti che oscillano e scivolano lungo la pellicola, tra l’ampio spazio dedicato agli sguardi in close-up, sempre intensi, come se lì fossero da cercare tutte le risposte. Sono dialoghi chiari, offerti al pubblico semplicemente. Ma è altrettanto chiaro che l’ultimo significato non si trova lì, ma altrove, in un luogo meno accessibile – celato in trasparenza dietro l’ennesimo velo filtrato dal sole, o sotto lo specchio d’acqua delle piscine dei party lussuosi, che riflette soltanto un altro doppio ipocrita, ambiguo, torbido.
Il movimento a volte feroce della cinepresa, inframmezzato da momenti di staticità quasi eccessiva, scompiglia la trama – e lo stomaco – per lo spettatore in sala, a cui è lasciato il tentativo di tenerne insieme i pezzi e orientarsi in un universo sensoriale dai tratti poco definiti, che si dilata denso per più di due ore.
Anche il resto del cast è d’eccezione: accanto a Gosling, Mara e Fassbender troviamo Natalie Portman, Christian Bale, Cate Blanchett, Haley Bennett. E poi gli artisti: Iggy Pop, Red Hot Chili Peppers, Lykke Li, Patti Smith, Black Lips e Dana Falconberry, entrati di diritto anche nella ricca colonna sonora, insieme agli Stooges, Die Antwoord, Sharon Van Etten, Bob Dylan, e Bob Marley, ma anche a Debussy e Saint-Saens.
A conti fatti, Song to Song è sicuramente un film difficile per il pubblico più ampio, ma che gli appassionati del genere Malick non potranno fare a meno di apprezzare — anche se la risposta a quelle domande con cui gioca il regista, trascinando per le viscere attori e personaggi, non c’è.