Macao ci costringe a domandarci cosa significhi essere pubblici oggi a Milano
Il collettivo della palazzina di Viale Molise compie 5 anni, tra voci di vendita e ipotesi di acquisto. Ma che cosa significa, oggi, essere uno spazio pubblico a Milano?
Il collettivo della palazzina di Viale Molise compie 5 anni, tra voci di vendita e ipotesi di acquisto. Ma che cosa significa, oggi, essere uno spazio pubblico a Milano?
A Macao siamo entrati le prime volte in punta di piedi, insicuri davanti a un luogo che non riconoscevamo: non era un locale, non era un Arci, ma di sicuro non era un centro sociale. I primi di Macao, lì dentro, non ci erano entrati altrettanto in punta di piedi. Nonostante l’opinione comune voglia che l’ex borsa del macello sia stata offerta dal Comune dopo l’occupazione della torre Galfa, in realtà Macao lì dentro ci è entrato con un atto violento, rompendo il catenaccio che ne chiudeva il portone.
Al nascente collettivo di Macao era stato proposto invece di regolarizzarsi e di entrare dentro le Officine Creative Ansaldo. Il collettivo ha rifiutato ed è entrato dentro alla palazzina liberty di Viale Molise, abbandonata da fine anni Ottanta e di proprietà del Comune, tramite la partecipata Sogemi, proprietaria di tutta la zona dell’Ortomercato. Il Comune concede — a posteriori possiamo dire per impossibilità politica o incapacità amministrativa — un tacito nulla-osta, lasciando che Macao si sviluppi e si radichi come un’isola all’interno del quartiere Molise-Calvairate.
Da quel giorno Macao è sempre stato un collettivo orizzontale, organizzato in un’assemblea generale fluida (i cui componenti possono cambiare ogni volta) e in sottogruppi tematici indipendenti, i tavoli.
In realtà, con il passare del tempo, all’interno della palazzina si sono sviluppati progetti e realtà diverse dai tavoli e l’iniziale netta separazione disciplinare ha sempre più lasciato spazio a collaborazioni trasversali tra i vari gruppi del collettivo. Il principio di governo di Macao è il consenso unanime, senza il quale una decisione non viene mai presa.
Una soluzione che può dividere in termini di efficienza ma che nel caso di Macao non ha mai peccato di efficacia e non ha bloccato la volontà del collettivo di sperimentare sia verso l’esterno in termini di offerta artistica, sia all’interno con forme organizzative alternative — per esempio, la sperimentazione dei Commoncoin, la moneta interna di Macao, è probabilmente un unicum nel settore culturale italiano.
Macao è un esempio di condivisione atipica per Milano: è un esempio di ciò che oggi può significare spazio pubblico in una città. Sui pad condivisi, nei quali vengono scritti i loro comunicati a 30/40 mani, i messaggi, le correzioni e le discussioni si susseguono per ore.
Anche per questo motivo, abbiamo chiesto a Giovanni, Emanuele, Federico e Leonardo di Macao di commentare, correggere e condividere la stesura di questo articolo, per mostrare una di quelle facce di Macao che non vedete quando vi trovate a ballare afrobeat davanti ai capitelli taurini della sala grande. (Qui potete trovare la bozza originale con i commenti e le correzioni.)
Per due anni Macao ha mantenuto un tavolo aperto con l’amministrazione Pisapia nel tentativo di portare in consiglio una delibera che cambiasse il sistema di gestione degli spazi abbandonati in città. Questa delibera, in sintonia con una simile appena approvata al comune di Napoli, si ispirava al concetto di Uso Civico, e avrebbe permesso che cittadini e lavoratori autogestissero spazi pubblici o privati in stato di disuso e abbandono. La delibera non ha mai visto la luce e con il cambio di giunta in Comune e di direzione in Sogemi la situazione è precipitata. Lo scorso febbraio, in un articolo pubblicato su Repubblica, Cesare Ferrero, direttore di Sogemi, dichiarava di aver già preventivato la realizzazione di investimenti importanti nelle aree attuali dell’ortomercato.
In quel momento da Macao è uscito il primo di una serie di comunicati, il cui messaggio di fondo era chiaro:
“Non siamo stati qui per favorire gli interessi immobiliari di Sogemi. Vogliamo restare qui e rendere la palazzina liberata un bene pubblico inalienabile della comunità, in cui la produzione artistica e culturale siano metodo per realizzare cambiamenti sociali.”
La discussione all’interno del collettivo ha prodotto una proposta, quella di acquisire lo spazio con l’aiuto di Mietshäuser Syndicat, un’organizzazione tedesca che da trent’anni aiuta e supporta ex-occupanti a diventare proprietari delle loro case o dei loro luoghi di lavoro. Il supporto del Syndicat è vincolato a una serie di clausole: lo spazio diventa per contratto inalienabile; il bilancio operativo dello spazio non può mai essere in rosso; ogni partecipante all’associazione diventerà associato anche del Syndicat che deterrà il 49% della proprietà. A queste clausole Macao pensa già di aggiungere a livello contrattuale una destinazione d’uso culturale, una soluzione che forse sancirebbe l’istituzionalizzazione di Macao a livello cittadino. La speranza del collettivo, rifacendosi alla prospettiva più sistemica della delibera comunale, è che il processo occupazione-acquisizione-messa in comune possa diventare il modello per forme di partecipazione dal basso in contesti di rigenerazione urbana.
C’è un aggettivo che non ho ancora usato in questo articolo e so già che Giovanni giustamente me lo rimprovererà. Questo aggettivo è “politico.” Un po’ per una deformazione accademica, un po’ perché credo che la dimensione organizzativa sia il nocciolo della questione, anche io, come molti all’assemblea pubblica dello scorso 24 aprile, mi pongo domande pratiche come: “Quanto costa Macao?”, “Come pensate di raccogliere i soldi necessari?”, “Perché avete optato per questa forma di regolarizzazione invece che un’altra?”.
Tuttavia, ci sono almeno due recenti prese di posizione che fanno capire quanto, quella politica, sia una dimensione fondamentale in questa vicenda: l’articolo su Milanopost di Fabrizio de Pasquale, consigliere comunale di Forza Italia e una nuova dichiarazione del direttore di Sogemi, Ferrero. La prima è passata in sordina ma credo sia esemplare di tutto un mondo che non riesce e forse non riuscirà mai ad accettare Macao, un mondo che chiede a gran voce perché Macao non rispetti le regole o perché non paghi tasse, SIAE e permessi. Ferrero invece ha ricordato che lui la palazzina la venderebbe subito insieme a tutto il resto dell’area, ma ha aggiunto che è il Comune ad avere l’ultima parola. Ergo, regolarizzare o chiudere Macao è una decisione politica in mano all’amministrazione comunale.
Ma sulle dinamiche di acquisizione di Macao siamo ancora a un livello ipotetico. In aggiunta all’incertezza futura dovuta alla posizione che il Comune adotterà, bisogna ancora capire quale sarà la partecipazione effettiva di coloro che si sono pre-iscritti all’associazione (circa 1700 persone), sia dal punto di vista dell’impegno sia dal punto di vista economico. Una scarsa partecipazione comporterebbe una forte dipendenza da grandi donazioni e forse un compromesso in termini di autonomia. Un’alta partecipazione, al contrario, comporterebbe una futura complessità organizzativa che rischierebbe di intaccare l’efficacia dell’orizzontalità decisionale dell’assemblea.
In entrambi i casi, l’acquisizione porterà a un cambio radicale dell’orizzonte istituzionale e legale di Macao, che dovrà riuscire a mantenere la sua vocazione pubblica, al di là dell’inalienabilità dello spazio, e contemporaneamente far sopravvivere i processi informali e formali che hanno permesso al collettivo di diventare un punto nevralgico per l’Arte e la cultura a Milano — magari ponendosi l’obiettivo futuro di esserlo ancor di più per il contesto sociale del quartiere in cui è immerso.
Nel frattempo, se decidiamo di guardare ancora da spettatori le vicende della palazzina, dobbiamo provare a capire cosa significhi oggi essere un’istituzione pubblica a Milano, che destino vogliamo per le centinaia di spazi abbandonati in città e quanto siamo spaventati a confrontarci con il tentativo di chi ha provato ad uscire dalle normali dinamiche del sistema di produzione culturale. Per chi invece avesse voglia di partecipare attivamente a questo processo, da Macao fanno sapere che le porte sono aperte.
Grazie a Giovanni, Emanuele, Federico e Leonardo per la collaborazione e il tempo dedicato a questo articolo.
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