La pubblicità sta rovinando l’intelligenza artificiale?
È difficile immaginare un futuro prossimo in cui nuovi sviluppi in questo ambito possano trovare qualsiasi ruolo al di fuori della pubblicità.
È difficile immaginare un futuro prossimo in cui nuovi sviluppi in questo ambito possano trovare qualsiasi ruolo al di fuori della pubblicità.
Tutti ricordiamo la scene del film Minority Report in cui il protagonista Tom Cruise entra in un centro commerciale e viene prontamente accolto da un ologramma personalizzato che lo saluta per nome e gli consiglia capi di abbigliamento adatti.
Tralasciando l’hardware futuristico, siamo entrati definitivamente nella fantascienza di Philip K. Dick e Steven Spielberg. Se i due autori avevano immaginato un mondo in cui tecnologia e scienza si prestavano ai bisogni dell’individuo, oggi lo scenario sociale rispecchia quasi perfettamente la previsione — complici di questa trasformazione sono proprio strumenti come la realtà virtuale, le intelligenze artificiali, i big data e le reti neurali.
Come già immaginato dal film di Steven Spielberg, tali scoperte scientifiche sono spesso ridotte – in nome di un capitalismo progressista – a strumenti per la targhetizzazione o il coinvolgimento del consumatore. Compagnie come Amazon e Facebook stanno infatti alimentando l’industria di settore attraverso grandi capitali, chiudendo però la ricerca all’interno di un recinto fatto di soluzioni di marketing e aumento delle vendite.
Certo il binomio tra industria e ricerca è sempre stato presente nella storia del capitalismo, ma negli ultimi anni l’accentramento delle risorse economiche in mano a proto-monopoli come Google, Amazon e Facebook (per l’Occidente) ha fatto sì che le innovazioni tecnologiche partano dai bisogni dell’azienda, ancora prima dei bisogni dell’individuo. Sempre più spesso dunque è facile imbattersi in brand che adattano tali innovazioni al loro metodo di business. Secondo uno studio dell’Ericsson ConsumerLab, lo shopping è stato il motivo principale per cui gli utenti si sono interessati alla realtà virtuale, “potendo osservare oggetti nella loro forma e grandezza reale durante le compere online” — questo perché non è stato ancora fornita un’alternativa funzionale per la realtà virtuale al di fuori di un contesto commerciale.
Anche gli assistenti virtuali come Amazon Echo o Google Home – creati per aiutare la persona al di là delle loro esigenze da consumatore – finiscono per raggiungere il vero potenziale solo in fase di acquisti online. Recentemente è stata poi aggiunta l’ipotesi che questi strumenti possano fornire annunci pubblicitari vocali, spesso in maniera non consensuale.
https://twitter.com/brysonmeunier/status/842358950536318976
Allo stato attuale è difficile immaginare un futuro prossimo in cui gli nuovi sviluppi tecnologici troveranno un ruolo al di fuori di un’applicazione commerciale. Prima di entrare in contatto con realtà virtuali o intelligenze artificiali pensate per l’individuo, dovremo fare i conti con una realtà – questa volta per niente virtuale – che sfrutta quelli che ad oggi sono semplici giocattoli per calamitare l’attenzione del consumatore.
Ma come sempre a vincere la sfida per l’attenzione non può essere che l’umorismo, ultima cura contro le stranezze del nostro tempo.
https://www.youtube.com/watch?v=U_O54le4__I