Pietro Bartolo è impegnato da 30 anni, da quando ha iniziato la sua carriera di medico, a salvare vite dal mare.
Il traffico di migranti nel Mediterraneo è un fenomeno che non accenna a rallentare: secondo l’ultima stima dal primo gennaio ad oggi i morti sono 906, 32,352 i migranti arrivati in Europa via mare, di cui l’80% è sbarcato in Italia. Sia gli arrivi che i decessi superano il doppio rispetto ai dati registrati nello stesso periodo l’anno scorso e ciò è allarmante pensando che il 2016 era già stato definito l’anno più drammatico in termini di vittime: 5mila. Nella memoria collettiva è impresso il naufragio del 3 ottobre 2013, ma fu soltanto l’inizio delle tragedie a Lampedusa: l’ultima lo scorso 29 marzo.
Lampedusa è la porta dell’Europa. Rappresenta una tappa essenziale per coloro che riescono a sopravvivere al Paese da cui fuggono, all’attraversamento del deserto, ai soprusi subiti in Libia per pagarsi a caro prezzo una navigazione perigliosa ed infine alle onde del Mediterraneo.
Pietro Bartolo è il medico di Lampedusa protagonista di Fuocoammare, il documentario di Gianfranco Rosi premiato con l’Orso d’oro che testimonia la tragedia del Mediterraneo. È impegnato da 30 anni, da quando ha iniziato la sua carriera di medico, a salvare vite dal mare, ma non solo: combattere attivamente la disinformazione con le sue testimonianze.
Incontriamo il dottor Bartolo a Perugia durante il Festival Internazionale del Giornalismo dove ha tenuto un panel dedicato al fenomeno degli sbarchi e dei rifugiati, commuovendo gli ascoltatori con le sue testimonianze.
Dottor Bartolo, la sua voce ha avuto una risonanza incredibile anche grazie ai successi di Fuocoammare, del suo libro Lacrime di sale e dei numerosi interventi di cui è ospite. Si sente soltanto applaudito e premiato o vede l’efficacia delle sue testimonianze nella sensibilizzazione del pubblico?
Per me è molto importante raccontare quello che succede in quel Mediterraneo e tutte le sofferenze di questa gente. Per questo ringrazio il maestro Rosi che me ne ha dato l’opportunità e la giornalista Lidia Tilotta che mi ha aiutato e convinto a scriverci un libro. Adesso anche attraverso le testimonianze cerco di andare dove posso, è da un anno e mezzo che ho abbandonato un po’ la mia famiglia e per questo mi sento un po’ in colpa, però i risultati ci sono: la gente segue, la gente capisce veramente qual è il messaggio e capisce qual è la verità perché purtroppo ㅡ e di questo me ne dispiaccio molto ㅡ spesso vengono dette molte bugie, molte menzogne da parte di alcuni politici e di alcuni giornalisti che fanno del terrorismo mediatico.
Parla soprattutto di come si descrive l’isola e si strumentalizzano gli sbarchi a Lampedusa?
Certamente, si descrive Lampedusa come l’isola dei morti, ma noi abbiamo sempre affrontato questo fenomeno con grande serenità, ci tocca relativamente. Il vero problema è che queste cattive informazioni purtroppo fanno crescere dei pregiudizi: la la disinformazione e la propaganda dovrebbero essere assolutamente un crimine. Questo crimine va perseguito come tale, perché spaventare la gente è veramente qualcosa di sbagliato. Che poi ovviamente per difendersi da bugie reagisce in modo sbagliato ― come per quello che è successo ad esempio a Goro e Gorino ― ma non perché la gente è cattiva, è perché è cattivamente informata.
Lei spesso evoca lo spirito di accoglienza dei lampedusani, lo vede come una rarità isolata?
Io dico sempre che il popolo dei lampedusani è affetto da una malattia straordinaria che io chiamo la malattia dell’accoglienza e della solidarietà. Mi auguro possa diventare infettiva e contagiare tutto il mondo. Ma devo dire che non è però solo Lampedusa, sono tanti i posti dove la solidarietà è fondamentale: abbiamo visto in Grecia, a Malta… spesso si parla male di Malta, ma è un’isola piccola che fa quello che può, come lo fa Lampedusa, la Sicilia, ma anche tutta l’Italia. Io dico sempre che noi siamo campioni del mondo di accoglienza e solidarietà, magari poi saremo meno bravi nell’integrazione ma per quanto riguarda l’accoglienza non abbiamo mai, mai fatto trovare un muro o un filo spinato. Lampedusa ha dimostrato in 26 anni ㅡ e non è un giorno, sono 26 anni ㅡ che Lampedusa accoglie, ma Lampedusa è Italia e l’Italia è un grande Paese di cui io vado molto orgoglioso e fiero.
Lei è specializzato in ginecologia e ostetricia ed è molto vicino al caso specifico delle donne durante gli sbarchi. È vero che sono le più colpite?
Sì, le donne sono quelle che purtroppo soffrono di più, quelle che subiscono di più. Subiscono perché, nella mia esperienza, le donne sono quasi tutte violentate, sono trattate come degli esseri inferiori e si prendono quella malattia che io chiamo la malattia dei gommoni. Si tratta di ustioni gravissime, anche mortali, che colpiscono quasi esclusivamente le donne quasi fosse una malattia legata al sesso, in realtà è un’ustione chimica dovuta al carburante miscelato con l’acqua e che colpisce le donne perché le fanno mettere sedute nel gommone e sono loro che si prendono quella miscela veramente devastante. Ne vediamo tantissime di queste donne e molte purtroppo muoiono e quelle che sopravvivono rimangono deturpate gravemente: è davvero una tragedia questa delle ustioni.
In cosa vede manifestarsi la discriminazione?
Deve sapere che in Libia i neri non sono considerati esseri umani, i neri, i bianchi invece sì. I bianchi, anche i siriani ㅡ che sono anche loro dei profughi ㅡ attraversando il Mediterraneo seppur non trattati bene vengono considerati esseri umani perché sono bianchi, mentre i neri no. E tra i neri le donne ancora peggio, proprio una razza inferiore.
Sono quasi tutte violentate, quando arrivano io le sottopongo ad una ecografia per vedere se il bambino che portano in grembo sta bene, glielo faccio vedere, almeno quello, perché magari fino a quel momento hanno visto soltanto sofferenze, solo maltrattamenti.
Però le posso dire un’altra cosa, sempre per la mia esperienza: le donne sono anche quelle che resistono di più. Quando arrivano a Lampedusa e i migranti si rendono conto di non essere arrivati, ma che è un’ulteriore tappa, spesso gli uomini cedono, infatti i Tso che noi facciamo, i trattamenti sanitari obbligatori, li facciamo quasi sempre sugli uomini. Le donne sono quelle che subiscono di più, ma anche quelle che hanno una forza incredibile, straordinaria, non le ho mai sentite lamentarsi.
Volontariato e cooperazione della popolazione hanno un grande peso nei soccorsi a Lampedusa, lo stesso presidio sanitario che lei dirige ne è un esempio. Da questo punto di vista come vede invece l’apporto dei programmi istituzionali e di Frontex?
Devo dire che i volontari sono straordinari, soprattutto quelli che fanno parte di un’associazione lampedusana: circa una settantina di ragazzi che volontariamente tutte le notti quando ci sono gli sbarchi sono con me, ma veramente volontariamente, sono dei bravi ragazzi, anche militari.
Per quanto riguarda le istituzioni abbiamo Frontex, sono rappresentanti di tutte le nazioni europee che sono là per controllare, per capire chi arriva, chi non arriva ㅡ ma arrivano solo poveri disgraziati. Non arrivano terroristi. Loro sono là per capire chi arriva, se sono terroristi, ma io non ho mai, mai visto arrivare delle persone che mi hanno fatto capire di essere malintenzionati. D’altronde un terrorista non si imbarca su quei gommoni dove c’è quasi la certezza matematica di morire, un terrorista ha altri mezzi con cui arrivare: arrivano con gli aerei oppure invece ce li abbiamo già in casa, sono le seconde generazioni. Io dico sempre che c’è una politica poco razionale nei confronti di queste persone, non li giustifico per quello che fanno, ma ci dobbiamo porre anche questa domanda: perché succede? Un po’ di colpa l’abbiamo anche in questo.
Devo dire poi che a Lampedusa anche lo Stato c’è tutto. Abbiamo le navi della marina, della capitaneria di porto, la polizia e davvero tutto lo Stato italiano che sicuramente ci aiuta tantissimo a Lampedusa soprattutto per andare a recuperare. Anche a 140 miglia dalla costa lampedusana, pensate: sono quasi sulla costa libica, mancano solo 20 miglia. Però devo dire anche che questa non è stata la strada maestra in quanto pur lodevole queste azioni di fatto i naufragi sono aumentati e anche i morti, evidentemente bisogna cambiare registro, bisogna cambiare strategia perché io ritengo che la cosa più importante in assoluto per l’Italia è evitare di farli morire nel mare. Questo si può fare attraverso dei corridoi umanitari.
Per i 60 anni dell’Ue Salvini ha scelto Lampedusa e una parte della popolazione sembra avere accolto le sue posizioni. Com’è possibile che una retorica così distante dalla solidarietà lampedusana sia stata accolta?
Io dico che… Lampedusa accoglie tutti.
La sindaca qui ha dato una grande prova di accoglienza?
Sicuramente. Insomma, noi non siamo delle persone che mettono muri, neanche a Salvini.
Noi accogliamo tutti quelli che vengono dal mare e quelli che vengono dal cielo, per noi è così, sono fatti così i lampedusani. Sicuramente quelli che l’hanno ricevuto sono della persone vicine alla signora Maraventano, una nostra compaesana che è stata senatrice della Lega. Ma insomma, sicuramente Salvini non avrà un granché a Lampedusa per quello che va predicando. Per noi sono delle persone normali (i migranti, n.d.r.), non sono delle persone da cacciare via come vuole lui, sono persone da accogliere e noi lo facciamo con tutti. Quello dei lampedusani è un grande popolo, un popolo che non può rifiutare perché è un popolo di mare e, come dico io, tutto quello che viene dal mare è benvenuto, ma anche quelli che vengono dal cielo e quindi abbiamo accolto anche Salvini. Io ritengo poi che alla fine non è neanche lui una persona cattiva e ha del buono, noi dobbiamo andare a svegliarlo in lui e farlo venire dalla nostra parte ― piuttosto che noi andare dalla sua.