Una bomba nel locale eliche di prua. È questa l’ultima verità emersa sul caso Moby Prince, il traghetto che alle ore 22.25 del 10 aprile 1991 ha preso fuoco dopo essere entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nel porto di Livorno.
Mentre quest’ultima fu immediatamente raggiunta dai soccorsi, che spensero l’incendio grazie alle lance idrauliche, lo stesso non accadde per la nave passeggeri, che continuò a vagare alla deriva in fiamme fino all’alba del giorno dopo.
Centoquaranta i morti, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, e ancora nessun colpevole per una tragedia incredibile, inconcepibile, che si poteva senz’altro evitare. Ma, soprattutto, sulla quale grava una verità giudiziaria ancora più assurda.
Una sentenza contraddittoria, suffragata da una ricostruzione dei fatti piena di incongruenze, dalla quale invece affiora prepotentemente una sterminata lista di indizi perfettamente combacianti l’uno con l’altro: come se fossero tessere dello stesso puzzle, che però durante il processo qualcuno non ha voluto assemblare.
Decine e decine di prove che puntano in modo concorde a una verità alternativa, una realtà molto semplice e lineare, ma che non può essere considerata tale finché non sarà una sentenza giudiziaria a stabilirlo.
È per propiziare l’arrivo di quel giorno che gli amici e i familiari delle vittime hanno fondato associazioni, pagine web e un gruppo Facebook dove si ritrovano, discutono sullo stato delle indagini, si fanno coraggio, talvolta litigano, ma soprattutto ricordano a se stessi e agli altri la tragedia del Moby Prince, affinché prima o poi la verità venga a galla.
Le tre ipotesi
Durante i vari processi sono state formulate decine di ricostruzioni che differiscono l’una dall’altra per pochi dettagli e che tutto sommato possono essere raggruppate in tre grossi filoni investigativi.
I primi due hanno carattere diametralmente opposto, tanto da fornire due versioni contrarie su quasi tutte le circostanze dell’incidente, mentre il terzo presenta uno scenario più complesso, finora poco approfondito. L’unico aspetto su cui tutti e tre i filoni concordano è che l’incidente sia stato causato dal traghetto Moby Prince, il quale ha speronato con la prua la nave cisterna colpendola sul lato posteriore destro.
Sulla base di questa certezza, le prime due ricostruzioni si scontrano in particolar modo su un elemento: la posizione e soprattutto l’orientamento della petroliera AGIP Abruzzo al momento dell’impatto. Tale circostanza, se accertata in maniera definitiva, permetterebbe almeno di stabilire se la colpa dell’incidente sia da attribuire all’equipaggio del traghetto oppure a terze parti.
1. La verità giudiziaria
È quanto recita la sentenza di primo grado pronunciata il 31/10/1998 dal tribunale penale di Livorno.
Quella sera nel porto di Livorno, “forse”, c’era una nebbia fittissima. Di sicuro c’era un banco di nebbia “difficilmente avvertibile” che circondava la petroliera Agip Abruzzo (330 metri di lunghezza per 25 metri d’altezza). Per questo motivo il comandante del Moby Prince, Ugo Chessa, aveva ordinato l’accensione del radar, che seppure attivo non era monitorato da nessuno, perché l’equipaggio sul ponte di comando stava guardando la partita di calcio Juventus-Barcellona trasmessa in TV.
Il traghetto navigava in linea retta attraversando gli sfilacci di nebbia dove si nasconde la petroliera, che in quel momento era ferma, alla fonda, fuori dalla zona di divieto d’ancoraggio e con la prua rivolta verso nord.
L’incidente perciò è stato provocato da un errore del comandante e dalla distrazione dell’addetto al radar. I soccorsi invece non sono entrati in azione perchè quando hanno raggiunto il Moby Prince a bordo erano già “tutti morti bruciati”.
La famiglia del comandante e i parenti delle vittime hanno fortemente contestato queste conclusioni.
2. L’ipotesi bomba
È l’ultima pista seguita dagli inquirenti ed è stata rispolverata a fine gennaio 2017 grazie a un’informativa consegnata da Vincenzo Scotti a Vincenzo Parisi, che all’epoca della tragedia erano rispettivamente Ministro dell’Interno e capo della Polizia.
Di un possibile attentato infatti si era già parlato nel febbraio del ’92, quando la fonte riservata “Luccio” disse di aver visto degli uomini scendere dal traghetto e allontanarsi a bordo di un misterioso motoscafo, pochi attimi prima della presunta esplosione.
Nel dicembre del 1994, la stessa pista fu rilanciata da un servizio di Striscia la Notizia che provocò la riapertura delle indagini; queste però dimostrarono l’infondatezza della notizia e l’ipotesi bomba fu accantonata.
Secondo questa ipotesi, che quella sera la nebbia ci fosse oppure no è poco importante, perchè mentre la Moby Prince stava navigando in linea retta nel locale eliche di prua sarebbe esplosa una bomba di origine sconosciuta, che danneggiò soprattutto le macchine e il timone, provocando la virata del vascello. Divenuta impossibile da governare, la nave entra in rotta di collisione con l’Agip Abruzzo, così l’equipaggio non ha altra scelta che radunare i passeggeri nel Salone De Lux, preparandoli all’urto.
Il traghetto va quindi a schiantarsi contro la petroliera, che in quel momento è ferma, alla fonda, fuori dalla zona di divieto d’ancoraggio, ma con la prua rivolta verso sud. Per quanto riguarda il fallimento delle operazioni di soccorso, questa ricostruzione dei fatti fornisce la stessa versione della sentenza di primo grado.
3. L’ipotesi del traffico d’armi e rifiuti tossici
Si tratta di una teoria quasi “magnetica,” nel senso che chi ha indagato su questa pista ha accumulato in breve tempo moltissime prove che sembrano incastrarsi magicamente con gli elementi emersi dalle indagini.
A sostegno di quest’ipotesi non c’è soltanto un gran numero di fatti concreti, ma anche diversi indizi inquietanti che hanno condotto gli investigatori in ambito internazionale e verso grossi centri di potere politico e militare – dunque non c’è da sorprendersi che per lungo tempo sia stata bollata come un puro delirio complottista.
La sera del 10 aprile 1991 nella rada di Livorno non c’è un filo di nebbia, ragion per cui la Moby Prince non attiva i radar. Diverse navi militari USA stanno trasportando materiale bellico e rifiuti speciali da e verso la base NATO di Camp Derby, vicino a Pisa.
Tali imbarcazioni godono dello status di segretezza militare, quindi non sono tenute a rispettare divieti o regole del porto di Livorno, né a rivelare la propria identità, men che meno la posizione – forse addirittura viaggiano a luci spente.
Uno di questi vascelli, probabilmente una bettolina dal nome in codice “Theresa,” esegue una serie di manovre particolarmente avventate, tagliando la strada al Moby Prince che, viaggiando coi radar inattivi, la vede sbucare all’improvviso, e per evitare lo scontro vira bruscamente a sinistra.
A seguito di questa manovra di emergenza il traghetto entra in rotta di collisione con un’altra nave, la petroliera Agip Abruzzo, che in quel momento si trova dove non doveva essere: all’interno della zona di divieto di ancoraggio e con la prua rivolta verso sud. I passeggeri vengono quindi avvisati dell’imminente scontro e radunati dall’equipaggio nel Salone De Lux, dove insieme attenderanno invano l’arrivo dei soccorritori – questi ultimi forse interdetti a varcare le aree di influenza militare.
Avviene l’urto, si scatenano le fiamme, il capitano dell’Agip Abruzzo trasmette l’SOS alla capitaneria di porto e nel contempo vede la stessa bettolina sfilargli davanti alla prua. Il comandante crede che sia stata la piccola imbarcazione a speronare la petroliera, perché il Moby Prince si trova a poppa di quest’ultima ed è nascosto dai fumi sollevatisi dall’incendio.
https://youtu.be/_PssKpOxmQw?t=31s
Mentre 140 persone muoiono intossicate nel rogo del Moby Prince, diverse navi si allontanano dal punto dell’impatto in direzione del mare aperto. Tra queste c’è anche il 21 Oktoobar II, un grosso peschereccio appartenente alla flotta Shifco, che qualche anno più tardi finirà al centro delle indagini condotte da Ilaria Alpi e Miran Hrovatin su un presunto traffico di armi e rifiuti tossici tra l’Italia e la Somalia.
Ulteriore conferma di questa ricostruzione arriva l’8 gennaio del 2017 con la rimozione del segreto di Stato dal documento riservato 294/103, nel quale si legge che l’incidente del Moby Prince sarebbe avvenuto a causa di operazioni di “smaltimento dei residui provenienti dalla 1° Guerra del Golfo” e che tali attività si collocano all’interno di una “rete di traffici paralleli (armi, scorie, rifiuti tossici)”.
Alle stesse conclusioni è giunto anche Fabio Piselli, ex paracadutista della brigata Folgore che al momento della tragedia operava nei ranghi della protezione civile.
Piselli, decisamente contrariato dalla riesumazione dell’ipotesi bomba, riferisce che già all’epoca dei fatti aveva segnalato alle autorità una serie di elementi sospetti e di irregolarità da lui notati la sera del disastro, a cominciare da un grande movimento di imbarcazioni militari in rada a Livorno.
https://www.youtube.com/watch?v=Jhe-WYWvtic
Rimasto inascoltato, l’ex-parà ha iniziato a investigare in autonomia sulle cause dell’incidente, ricevendo in cambio continue minacce e intimidazioni, culminate nel novembre del 2007 in un macabro attentato. Piselli aveva appena consegnato il resoconto delle proprie indagini all’avvocato Carlo Palermo, quando ignoti lo hanno immobilizzato con la forza, gli hanno somministrato un narcotico, l’hanno rinchiuso in macchina e infine vi hanno appiccato fuoco.
Solo in virtù della sua esperienza, l’ex-militare è riuscito a salvarsi dall’incendio ed è vivo per miracolo.
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