Quanto sarebbe bello avere uno Stato laico
Proprio perché tutti hanno delle credenze, deve esserci un arbitro che garantisca che la convivenza sia vera, e non cordiale oppressione.
Proprio perché tutti hanno delle credenze, deve esserci un arbitro che garantisca che la convivenza sia vera, e non cordiale oppressione.
A the Submarine non crediamo semplicemente nella libertà di religione: crediamo che essere liberi di costruire e professare un proprio sistema di credenze sia fondamentale per moltissime persone per vivere nella società con serenità. È una parte importante della vita di così tanti, e va difesa strenuamente.
Proprio perché tutti hanno delle credenze, ed è non solo ruolo fondamentale dello stato ma anche bello che possano convivere tutte, deve esserci un arbitro che garantisca che la convivenza sia vera, e non cordiale oppressione. Ma quanto è difficile? Chi può svolgere un servizio del genere? In realtà una soluzione c’è, l’abbiamo inventata nel XIV secolo, e si chiama stato laico.
La laicità dello Stato è una cosa che più o meno si dà per scontata in Occidente, nel ventunesimo secolo. In realtà, siamo molto più lontani dal realizzarlo con efficacia di quanto ci piaccia ammettere, dalla lotta antiabortista e le norme discriminatorie statunitensi alla sentenza europea contro il hijab.
Non è Stato laico nemmeno quello che prevede la chiusura totale di strade per 6 ore in un giorno e 24 ore di kibosh alla sosta di automobili, che chiude la metropolitana e devia i bus, per l’arrivo di un leader religioso in una città dove contemporaneamente nemmeno si riesce a finire un bando per l’assegnazione di spazi per luoghi di culto di altre religioni.
L’Italia per ragioni geografiche e storiche ovvie è indissolubilmente legata al Vaticano. È una realtà che apparentemente non si può cambiare, ci si può solo convivere. Insomma: dovremmo ancora ringraziare che a questo giro ci sia capitato un papa relativamente al passo coi tempi—
—almeno per quanto possa essere al passo coi tempi il leader di una religione che professa ancora l’immacolata concezione. (Come funziona? Ma è come, tipo, il teletrasporto? E se Cristo si è smaterializzato dentro il ventre materno, quello che hanno incontrato i magi era già una Seconda venuta? Oppure l’intero Vangelo narra le vicende di una replica del Signore?)
L’unica possibile difesa per uno stato laico di fronte a questa evidente ingiustizia è teorizzare una sorta di stato di diritto proporzionale — perché è vero, le misure di sicurezza servono per il papa, perché tanti fedeli vogliono andare a sentire il suo discorso, e invece è relativamente minoritario il problema delle moschee a Milano — e a livello nazionale, anche, perché nell’avere torto Salvini in qualche modo ha ragione a riguardo: servono nuove normative nazionali, ma non quelle che vorrebbe lui.
Ma, ripetiamo, se la sicurezza per la visita del papa serve — e alla fine nessuno si scandalizza, al massimo è annoiato, per le misure di sicurezza quando un importante leader internazionale arriva in Italia — è inconcepibile che lo stato che permette che si organizzi un incontro di una religione in uno stadio poi presenti ostacoli spesso insormontabili per necessità molto più basilari verso altri culti.
Allora, se è impossibile pretendere che lo Stato non sia servile quando non sovrapposto al Vaticano, per garantire davvero la libertà di culto l’Italia ha bisogno di uno Stato del welfare delle religioni: si voglia indicarne la causa nell’esistenza della Democrazia cristiana o nella relativa inesistenza di altri culti quando è stata scritta la Costituzione, fino agli anni Ottanta la questione di libertà religiosa in Italia non è mai stata un problema vero. Oggi lo è, e la miopia dello stato nel non codificare le nuove necessità con urgenza lascia solo ampi spazi alle destre populiste per pretendere, ripetere come mantra e normalizzare richieste retrograde di quella che è, di fatto, intolleranza religiosa.
La libertà di religione non contraddice il cristianesimo, dal Concilio Vaticano II, e anche il Corano dice che “non c’è costrizione nella Religione,” ma poi entrambe le religioni, in pratica, la pensano un po’ diversamente — in particolare, è complesso regolamentare dove finisca la religione e dove inizi la legge secolare: ma questo tipo di problemi, che vengono volentieri cantati dagli appassionati della “guerra di cultura,” sono così lontani dalla realtà dei fatti, da essere soltanto pretese faziose.
Quando una religione è costantemente al centro del fuoco di almeno metà della discussione politica, o di più, e l’altra ha il dominio totale sulla cultura e sulle norme di un paese, il lavoro dello Stato laico deve essere quello di agire come normalizzatore, e smettere di far finta che l’Islam sia la religione di chi all’ultimo censimento ha detto di credere nella Forza.
Esiste un’altra via: l’ateismo di Stato. È effettivamente l’opposto di quanto abbiamo scritto finora, e nel contesto storico contemporaneo è oppressivamente improponibile, ma ha il pregio di essere l’unico altro modello internamente coerente, e certamente lo è di più dell’attuale stato laico idiosincratico — insomma, o si apre lo stadio a tutte le altre religioni, ad esempio per la prossima convention della Lega musulmana mondiale, o si decide di assumere posizioni davvero oltranziste, come trovare una nuova disciplina nel rapporto tra Stato e Chiesa che superi i Patti Lateranensi e le dirette infinite su Rai News la domenica mattina: meglio le greggi di Planet Earth.
Scherzi a parte: nel contesto della piena libertà di religione, è oggettivamente un fallimento dello Stato laico che di fronte il papa — anche se un papa pop — si riversino folle oceaniche: è un fallimento perché la posizione radicata della religione nello Stato italiano è essa stessa nemica inevitabile di un vero Stato laico. Senza supporto, ateo o agnostico come potrebbero altrimenti progredire politiche secolari? Lo Stato laico, quello che deve garantire i diritti di chi pratica le religioni, è possibile solo se ci sono persone che lo mantengano: non si tratta di classismo tra atei e fedeli, quanto una semplice analisi delle necessità funzionali di uno stato che possa davvero essere super partes.
Insomma: la sicurezza e gli spazi sono (perdonatemi) sacrosanti, considerato il numero dei fedeli, ma lo Stato deve fare di più per garantire gli altri culti — che, di fatto, è un altro culto — e per farlo ha bisogno di operare una strategica, graduale, normalizzazione della Chiesa cattolica, che non può, almeno attraverso i canali che fanno capo allo Stato, dominare in questo modo il ciclo delle notizie, e la conversazione metafisica contemporanea — perché di contemporaneo, non ha niente.