Arabeschi Qiyās

Arabeschi: tutte le settimane, una parola in arabo. Oggi: Qiyās

Arabeschi Qiyās

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Benvenuti in un nuovo episodio di Arabeschi.

Nell’articolo di oggi parleremo dell’ultimo istituto che concorre, insieme alla Sunna, al Corano e alla إجماع ijmā’, a rappresentare una fonte del diritto islamico, ovvero, al-qiyās  القياس, termine con cui si indica “il principio di analogia o la comparazione”.

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Si tratta di un principio che, come in molti altri casi, ha, fin dalle origini, fatto discutere e diviso gli esperti. Il suo utilizzo è stato spesso considerato illegittimo in quanto si basa sull’attività umana e, a differenza delle altre fonti sopracitate, non trova legittimazione nella propria origine divina o nella consuetudine del Profeta o delle prime generazioni di musulmani.

Nello specifico questo principio prevede che, partendo dalle altre fonti del diritto islamico, il giurista al-faqīh الفقيه desuma, attraverso il proprio raziocinio ra’y رأي, le regole da applicare in situazioni inedite, mantenendo come punto di riferimento casi simili che siano, però, già regolati dal diritto codificato.

L’origine di questa pratica si rifà ad un avvenimento riguardante il Profeta, il quale inviò Mu’āḏ ibn Jabal come suo rappresentante nello Yemen e alla sua partenza, per verificarne l’affidabilità e il metodo, gli chiese:

«Come giudicherai le controversie che ti saranno portate innanzi?»
«Secondo il Libro di Dio», fu la risposta.
«E se non troverai nulla nel Libro di Dio?» continuò il Profeta.
«Giudicherò allora secondo la consuetudine del Suo Inviato»
«E se non troverai nulla neanche lì?» chiese ancora il Profeta.
«Allora mi sforzerò secondo il mio criterio».

Questa risposta appagò talmente tanto Muḥammad che ringraziò Iddio di avergli inviato uomini come lui.

Il ricorso al ragionamento tipico del qiyās, rappresenta il principale indizio del fatto che l’Islam sia una dottrina profondamente riflessiva, in cui nulla viene lasciato al caso, sebbene spesso, nella sua storia e molto diffusamente nell’epoca contemporanea, esso abbia voluto essere interpretato solo come una lettura letterale delle fonti, senza che queste dovessero indurre il proprio lettore all’utilizzo dell’intelletto. Invece, il maggiore pregio che gli si possa riconoscere è proprio quello di aver saputo cogliere elementi caratterizzanti altre culture precedenti o contemporanee e averli saputi inserire nella propria logica e tradizione, come, tra gli altri, l’utilizzo del ragionamento per analogia tipico del pensiero classico.

Coloro che ne contestarono immediatamente l’utilizzo furono, appunto, i guardiani della tradizione che non accettavano il fatto che l’applicazione del qiyās implicitamente indicasse una insufficienza delle altre fonti, in disaccordo con quanto recita il Testo Sacro:

«Noi non abbiamo trascurato nulla nel libro» (VI, 38)

La consuetudine, però, rese necessario l’utilizzo di questo strumento soprattutto durante il periodo di codificazione e diffusione della tradizione profetica, tanto che la più antica delle scuole giuridiche sunnite, la scuola Ḥanafita, è quella che maggiormente ne ha fatto un ampio utilizzo.