Abbiamo incontrato Sara Colnago di Business Competence, per capire come nasce e cresce una startup in Italia.
Il 1 agosto 2016 il Tribunale di Milano ha dichiarato in primo grado Facebook responsabile di violazione del diritto d’autore e concorrenza sleale nei confronti di Business Competence, l’Innovative Software Company con sede a Cassina de’ Pecchi. Il 28 dicembre 2016 la Corte d’Appello ha rigettato l’istanza di Facebook di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza impugnata. Il giudizio prosegue nel merito.
La controversia riguarda Faround, un’app sviluppata nel 2012 da Business Competence molto simile a Nearby, l’app sviluppata successivamente dal colosso di Palo Alto, e ora rimossa dallo store in seguito alla sentenza — almeno per gli utenti italiani.
Abbiamo incontrato Sara Colnago, Founder & CEO di Business Competence, per parlare della vicenda Faround–Facebook ma soprattutto per capire come nasce e cresce una startup in Italia.
In questi giorni si è parlato molto del contenzioso tra voi e Facebook, meno di quello che fate quotidianamente. Cos’è Business Competence?
Business Competence nasce nel 2007, è una società di consulenza informatica e di sviluppo di applicazioni, siti e progetti IT. La nostra particolarità è quella di essere riusciti fin da subito, tramite l’attività di consulenza, a finanziare i nostri progetti. Abbiamo cercato di concretizzarli già dall’inizio perchè ci siamo accorti che in Italia le idee non le finanzia nessuno. Per poterle realizzare abbiamo quindi scelto di contare sulle nostre forze e sulle nostre competenze tecniche reinvestendo in questi dieci anni gli utili aziendali in progetti interni.
Quando si pensa a una startup si pensa inevitabilmente alla Silicon Valley, alle grandi città. Perchè le idee vengono sviluppate là e non qua?
La differenza, dal mio punto di vista, tra quella realtà e il nostro paese è la semplicità di accesso agli strumenti di supporto e ai finanziamenti. Non che in Italia questi strumenti non esistano, ma la grossa difficoltà spesso è quella di riuscire a fronteggiare tutta la burocrazia che serve per accedervi.
Mi chiedevo se esistessero dei fondi europei dedicati.
Esistono ma è estremamente difficile riuscire a intercettarli. Ad un certo punto diventa anche una scelta di come investire il proprio tempo. Noi abbiamo scelto di investirlo su quello che ci riesce meglio che è la parte di sviluppo tecnico, con cui finanziamo le nostre idee.
Come mai avete preferito rimanere a Cassina de’ Pecchi piuttosto che spostarvi a Milano o altrove?
Beh innanzitutto oggi sei fortunato che non ci sono, ma normalmente abbiamo i cani che gironzolano in ufficio, quindi diciamo che trovare una location adeguata in centro a Milano diventava complicato. Dopodiché noi in realtà siamo vicini all’immagine degli smanettoni chiusi in uno scantinato, non diamo troppa attenzione a quella che può essere l’immagine della sede ma curiamo di più il contenuto. Per noi è fondamentale il fatto di trovarsi bene all’interno del contesto in cui si lavora, viverlo in modo sereno anche dal punto di vista logistico. Non abbiamo alcun vincolo di orari, i ragazzi che lavorano qui sono molto più orientati al risultato e quindi non ci interessa in che fascia oraria lavorano, l’importante è che portino a casa nei tempi il loro progetto rispettando le scadenze.
Parlando invece di competenze, quali sono i vostri percorsi individuali?
I percorsi sono vari. In Business Competence ci sono competenze commerciali, amministrative e manageriali, che sono quelle che consentono di far stare in piedi l’azienda, e competenze più tecniche. Ovviamente c’è chi è laureato in ingegneria informatica e si occupa dello sviluppo e della parte sistemistica, a cui è richiesto però di non concentrarsi esclusivamente sull’aspetto tecnico ma di interessarsi anche alle esigenze reali dell’utente. Spesso infatti l’errore che si fa nello sviluppare le applicazioni e nel fare i progetti è quello di non capire il risvolto concreto, il reale utilizzo di quel tipo di applicazione. A volte ci si concentra su un qualcosa che è tecnicamente pionieristico ma che all’utente non serve. Basta pensare al numero di applicazioni che ognuno di noi ha installato sullo smartphone e ha usato una sola volta.
Ultimamente siete diventati famosi per la vicenda legata a Faround. In realtà quella è solo una delle app che avete sviluppato in questi anni — quali sono gli altri progetti che state portando avanti? Uno penso di averlo davanti agli occhi in questo momento.
Si, ora stiamo sviluppando principalmente due progetti. Il primo, quello che vedi davanti a te, è Dogalize, un social network per gli amanti dei cani e dei gatti. È una community che ormai conta 400000 utenti tra Italia ed estero al cui interno si possono trovare, oltre alle classiche dinamiche come la condivisione di post, la possibilità di aggiungere commenti, like e quant’altro, una serie di servizi a valore aggiunto completamente gratuiti come ad esempio la possibilità di chattare e di telefonare gratuitamente a veterinari e educatori. Dogalize offre inoltre la possibilità di ritrovare geolocalizzati su una mappa i punti di interesse, come possono essere i veterinari o i parchi più vicini e più in generale tutte le attività che consentono l’accesso ai propri animali domestici. L’altro progetto su cui stiamo lavorando è Swascan ed è un po’ più particolare perchè non è rivolto a un target di utenti ma a quello che è il mercato B2B. In questo caso il tema è quello della security: Swascan è una piattaforma completamente in cloud per le verifiche di sicurezza.
Ho letto che Faround, la vostra app nell’occhio del ciclone, è stata inizialmente caricata sullo store di Facebook. Come mai proprio lì e non ad esempio su Play Store?
All’epoca, si parla del 2012, Faround nasceva proprio come Facebook App. Le Facebook App sono tutte quelle applicazioni che lavorano integrate con il social network, quindi necessariamente per poterle integrare devi fare richiesta e devi sottoporre al vaglio di Facebook la tua applicazione. Questo è quello che è successo con Faround. È stata una scelta obbligata dalle logiche dell’app, dal fatto di poter identificare i luoghi di interesse nelle vicinanze e gli esercizi commerciali ma allo stesso tempo poter vedere anche i commenti lasciati dal proprio network di amici. In quel senso, proprio per la logica per cui era nata l’app, era necessario essere integrati con Facebook, quello era il valore aggiunto. Faround, oltre ad essere presente nello store di Facebook, era disponibile anche su iTunes per gli utenti iOS.
Che fine ha fatto? È ancora online?
In sostanza dall’uscita di Nearby il nostro trend di crescita, il numero di utenti registrati all’applicazione, ha subito prima una battuta di arresto, poi un calo drastico. Questo fatto ci ha portati ad abbandonare quell’idea e a concentrarci sugli altri progetti anche perchè, viste le dimensioni del competitor che si era affacciato sullo stesso scenario, sarebbe stato inutile investire ulteriori energie e tempo in quel lavoro.