La Turchia continua a usare i migranti come minaccia contro l’Europa
Questa mattina il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu ha minacciato l’Unione Europea di aprire le porte a 15 mila rifugiati al mese verso i territori europei.
Questa mattina il ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu ha minacciato l’Unione Europea di aprire le porte a 15 mila rifugiati al mese verso i territori europei.
Un’operazione che, citiamo testualmente, vorrebbe “blow the mind” dei politici europei, che nelle ultime settimane si sono più esplicitamente esposti contro la dittatura–di–fatto di Erdogan.
Scherzi a parte — la minaccia arriva puntuale dopo un anno dalla firma dell’accordo sui migranti tra l’Unione Europea e Turchia sul controllo dei flussi migratori, ed è difficile immaginare una scelta più miope e avventata di quella europea.
In un disperato tentativo di ridurre i numeri di migranti e rifugiati da intrappolare senza processo o giustificazione, l’Unione Europea si è abbandonata, senza troppe remore, nelle mani della Turchia, firmando un — per giunta costosissimo — accordo per avere un luogo dove parcheggiare i migranti fuori dall’Unione, potendo raccontare che si trattasse di un’operazione umanitaria, e nascondendo tutto lo sporco dietro la facciata di non occuparsi più direttamente della situazione.
Ma in un anno sono cambiate tante cose: quello che era un alleato noioso e un po’ scomodo è diventato presto un problema — e se la posizione dell’Unione Europea è sempre rimasta utilitaristicamente molto nebulosa, sia i singoli stati che lo stesso Parlamento europeo hanno preso posizioni progressivamente sempre più dure contro Erdogan.
Soylu, fanatico di Erdogan più di Erdogan stesso, ha da sempre tenuto posizioni durissime contro l’Europa: era stato lui ad accusare proprio Germania e Paesi Bassi di aver assistito l’opposizione sia durante le proteste contro Erdogan nel 2013, sia durante le agitazioni per i curdi dell’anno successivo.
A differenza delle altre accuse, questa volta Soylu non è stato usato dalla macchina governativa di Ankara per lanciare minacce irrealistiche: già lo scorso novembre, nel pieno della accelerata personalistica post tentato colpo di Stato, Erdogan aveva già minacciato una prima volta di “aprire le frontiere.”
Solo pochi giorni fa, lunedì 13 marzo, il vice primo ministro turco Numan Kurtulmus, aveva annunciato che l’accordo sarebbe stato rivisto “se si fosse reso necessario” — una minaccia che per l’Unione Europea ha la forma ben definita degli 850 mila profughi che nel 2015 erano fuggiti dalle coste turche verso la Grecia.
Come scrivevamo un mese fa, l’accordo Ue–Turchia è un esperimento di disumanità riuscito benissimo, che Amnesty International chiama un “modello per la disperazione” — e non solo per quanto accade in Turchia: la ridefinizione dell’iter di ammissione in Grecia ha portato alla saturazione dei campi sulle coste, in attesa di “rispedire” i migranti in Turchia, quando in precedenza il processo di riconoscimento — o meno — di status di rifugiato avveniva mentre i profughi venivano trasferiti in situazioni più stabili e dignitose nell’entroterra.
In un capolavoro tragico di realpolitik, per sbolognare un problema che l’Occidente si è creato in casa, reso emergenziale solo dall’ottusità con cui lo si è gestito per anni, l’Unione Europea ha armato un alleato che ogni giorno assomiglia di più a un avversario, di centinaia di migliaia di anime, che sembra disposto a usare senza nessuno scrupolo. Insomma, un po’ come l’Europa stessa.