Scoprire la modernità con Manet
Manet è stato capace, prima di altri, di creare un nuovo linguaggio artistico in grado riflettere l’epocale cambiamento sociale in atto nei suoi anni
“Il pittore, il vero pittore, sarà colui che saprà strappare alla vita odierna il suo lato epico.”
Con questa frase si conclude il Salon del 1854 di Baudelaire e si apre la mostra Manet e la Parigi moderna, a Palazzo Reale fino al 2 luglio, in collaborazione con il Musée d’Orsay. L’esposizione è suddivisa per aree tematiche, delle quali il lavoro di Manet è il perno portante. Non sono presenti solo opere pittoriche, ma è possibile ammirare anche alcune opere scultoree e il plastico in legno dell’Opéra di Parigi realizzato da Charles Garnier.
Tra tutti, Manet emerge come soggetto principale in quanto è stato capace, prima di altri, di creare un nuovo linguaggio artistico in grado riflettere l’epocale cambiamento sociale in atto. Lo scenario artistico in cui si trovava era quello del Realismo. Quando Baudelaire parla di riuscire a cogliere l’epicità della vita odierna, è chiaro sottintenda un’accusa
È proprio la modernità l’oggetto in questione da capire e difficile da rappresentare. L’Ottocento è stato un secolo di cesura netta tra il modo di vivere avuto fino ad allora e quello che conosciamo anche noi oggi. La modernità è fatta di contraddizioni e di crisi e lo spirito moderno ha trovato incarnazione in una nuova forma di accentramento sociale, la metropoli. Passage, boulevard, grandi magazzini, teatri e altre forme di spettacolarizzazione si mescolano alla massificazione, all’alienazione e alla disparità sempre più accentuata tra le classi sociali. Parigi è stata il primo centro propulsore di questa realtà.
Entrare nel vivo di Manet e la Parigi moderna significa rivivere il passato e capire le basi della società contemporanea partendo da quella moderna e scoprire le soluzioni artistiche che hanno permesso di catturare la bellezza della società urbana. Visivamente, a trionfare è il colore. Grazie al colore emergono particolari, stati d’animo e impressioni che neanche la fotografia poteva immortalare. È questa la caratteristica che unisce il lavoro di Manet con quello dei successivi maestri dell’Impressionismo. Nella mostra Manet e la Parigi moderna, si possono comprendere bene l’abilità di Manet e la sua importanza nella storia della pittura osservando Il pifferaio, uno dei quadri più prestigiosi portati a Palazzo Reale, in cui la prospettiva e la struttura dell’opera sono dati solo dall’uso che il pittore francese è riuscito a fare dei colori.
Tra i soggetti rappresentati troviamo prima di tutto – e non a caso – la natura. Manet e gli impressionisti sono riusciti da un lato a cogliere la bellezza degli squarci naturali che si aprono tra l’agglomerato di edifici in pietra e dall’altro a cancellare dalla rappresentazione tutta la bruttezza degli artifici umani. L’occhio del pittore moderno non deve rispettare fedelmente la realtà, ma cogliere e isolare la bellezza di quell’albero o di quel corso d’acqua che si confonde in mezzo a tutto il resto. Questo è un punto in comune con l’arte del Giappone — che tanta influenza ha avuto sul movimento Impressionista_ possiamo vedere il continuum logico tra Manet e la Parigi moderna e Hokusai, Hiroshige, Utamaro, mostra sui celebri maestri dell’ukiyoe tenutasi nello scorso semestre, sempre a Palazzo Reale. Infatti, l’arte ukiyoe – ovvero le immagini prospettiche del Mondo Fluttuante giapponese – è stata tra le ispirazioni maggiori dell’Impressionismo.
Un occhio molto attento, però, è in grado di trovare “il lato epico” anche al di fuori della natura e all’interno delle città.
Un altro soggetto tra i favoriti di Manet, documentato nella mostra di Palazzo reale, sono i caffè letterari. Parigi aveva costruito la propria magnificenza sul Lavoro, ma le classi agiate volevano a tutti i costi prenderne le distanze: i caffè e le brasserie erano già all’epoca gli ultimi angoli di una Parigi nascosta, tutta da scoprire e da imprimere su tela. Se la piena bellezza era da scoprire in tutte le sue varietà, il luogo più appropriato era il demi monde, corrispondente il più delle volte ai quartieri di intrattenimento e di piacere.
Infine, a completare il quadro dell’epicità del moderno, c’è la donna. La moda femminile ha interessato due tipi di donne. La prima, vestita sempre di bianco, è generalmente ritratta insieme ai figli e al marito. La si può scorgere camminando per i vialoni e gettando un’occhiata verso i balconi degli edifici. Ma non è l’unico tipo di beltà femminile. C’è anche quella vestita di nero. È lo stesso tipo di donna più e più volte raccontata da Baudelaire ne Les fleurs du mal. La vediamo rappresentata come una passante che si incontra per lo più quando si fa sera. È il fascino del mistero a rendere intrigante e bella questa figura, contrapponendosi all’annichilimento della soggettività individuale portato dalla massificazione metropolitana.