M. K. è uno studente siriano.
Per ragioni di sicurezza, ci ha chiesto di rimanere anonimo.
Sulla strada per Aleppo – come su molte altre strade che collegano le città della Siria – a distanza di pochi chilometri l’uno dall’altro ci sono i checkpoint del regime, dove le macchine vengono ispezionate e l’identità dei passeggeri verificata dai militari
La maggior parte delle volte questo è solo un processo formale, e viene sfruttato dalla maggior parte dei militari per racimolare denaro. I guidatori pagano tangenti di loro spontanea volontà per velocizzare il processo ed evitare noie inaspettate. Per fortuna, è possibile oltrepassare i checkpoint anche senza pagare un centesimo — basta avere passeggeri cristiani.
Una volta che il guidatore comunica ai soldati che il gruppo sul suo mezzo è composto da cristiani, i soldati faranno il saluto e li lasceranno passare liberamente.
In qualche modo, i soldati sono convinti che i cristiani godano di privilegi o opportunità che li pongono al di sopra dei controlli di routine.
Questo atteggiamento espresso dai soldati, di spontanea condiscendenza, ci permette di capire meglio le relazioni tra i cristiani – in generale le minoranze, a dire il vero – e i regimi dittatoriali arabi.
Quando le primavere arabe sono cominciate, la maggior parte degli arabi cristiani ha esitato ad aderire alle rivolte che divampavano in tutto il mondo arabo.
Per i cristiani questa reticenza era legata alla paura di un futuro potenzialmente oscuro, connesso alla possibilità dell’arrivo degli islamisti al potere – anche tramite elezioni – che avrebbe potuto essere seguito da un dispotismo deciso a cercare di islamizzare la società. Questa attitudine negativa riguardo ogni cambiamento politico che possa portare ad un’alterazione dello status quo non è stata inventata e adottata all’improvviso dai cristiani arabi, ma è il diretto risultato di decenni e decenni di dittature miltari, che sono riuscite a legare il destino dei cristiani al proprio, eliminando la società civile e marginalizzando categorie notevolmente ampie dalla società.
Gradualmente, la radicalizzazione estremista è cresciuta ed è entrata in conflitto con diverse categorie della società. Questa dinamica può essere notata drammaticamente seguendo lo sviluppo di questi movimenti: all’inizio hanno preso di mira la presenza delle potenze occidentali in Medioriente (Al-Qaeda), poi le minoranze dentro e fuori dall’Islam (il primo nucleo dello Stato Islamico in Iraq, nel 2003), e alla fine chiunque non fosse d’accordo con loro, compresi gli stessi musulmani sunniti.
I cristiani non sono stati le uniche vittime dell’islamizzazione, ma sono stati i primi ad essere usati come pretesto che i regimi dispotici hanno al tempo stesso sbandierato e minacciato contro qualsiasi cambiamento politico — per non parlare dell’efficacia garantita dall’argomento verso il mondo occidentale, che storicamente si considera difensore dei cristiani arabi.
Rifiutandosi di stare al fianco delle proteste civili nei loro paesi, i cristiani siriani ed egiziani hanno perso un’opportunità storica di interrompere questa dipendenza e muoversi verso uno Stato democratico, che è l’unica garanzia a lungo termine per i loro diritti. Oggi i timori dei cristiani arabi possono essere compresi in pieno, considerando l’esistenza di un estremismo islamico senza precedenti, ma allo stesso tempo dobbiamo sempre ricordare di porci la domanda: chi ha spinto per una realtà dove i cristiani potevano contare solo sulle dittature per sentirsi al sicuro?
Mentre quasi 70 anni fa, durante e dopo l’era coloniale e appena prima dei catastrofici colpi di stato militari, quegli stessi cristiani arabi erano tra i maggiori partecipanti alla costruzione di uno stato e alla richiesta di democrazia. I cristiani egiziani e siriani hanno perso un’opportunità storica per scegliere – e, dunque, costruire – un futuro migliore. Ironia della sorte, i cristiani iracheni non hanno mai avuto il lusso nemmeno di poter compiere questa scelta, dato che né Saddam Hussein né l’invasione americana dell’Iraq gli hanno lasciato la libertà di compierla.
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