Diaframma — Il profilo dell’intorno Intervista a Francesca Iovene

Il profilo dell’intorno vuole raccontare le diverse personalità della città di Brescia attraverso un’indagine condotta lungo la circonvallazione cittadina.

Diaframma — Il profilo dell’intorno Intervista a Francesca Iovene

Diaframma è la nostra rubrica–galleria di fotografia, fotogiornalismo e fotosintesi. Ogni settimana, una conversazione a quattr’occhi con un fotografo, e tutti i giorni una foto nuova su Instagram, per scoprire il loro portfolio. Questa settimana Francesca Iovene ci racconta il suo progetto sulla circonvallazione di Brescia.


Francesca Iovene è nata a Brescia nel 1988. Durante gli studi in Architettura ha iniziato a dedicarsi alla fotografia come metodo di analisi e comprensione del territorio, urbano e naturale. Successivamente si è mossa verso temi cui tende istintivamente, come il rapporto tra essere umano e natura, il costruito che si connette all’armonia di un ambiente e le sovrapposizioni dei differenti metodi di utilizzo del suolo. Dopo aver vissuto un anno in Cile ha definito i suoi obiettivi e attualmente vive a Milano. Porta avanti ricerche personali sulla città e sul paesaggio e collabora soprattutto con studi di architettura, design e riviste di settore.

Il progetto Il profilo dell’intorno vuole raccontare le diverse personalità della città di Brescia attraverso un’indagine condotta lungo la circonvallazione cittadina che racchiude in sé situazioni di contrasto tra l’interno e l’esterno del centro storico, da un punto di vista urbano e architettonico.

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Fotografia e architettura si sono incrociate sin da subito nella tua carriera professionale, a partire dagli studi.

Ho iniziato nel 2007 il mio percorso universitario, studiando Architettura, senza sapere bene cosa aspettarmi da questa facoltà. Ricordo che avevo escluso a priori fotografia. Dai tempi del liceo scattavo con una compatta, riprendevo attimi della giornata come fanno molti ragazzi, senza pretese particolari

Dunque la scelta di studiare architettura.

Sì, sono arrivata alla conclusione che architettura rispecchiasse maggiormente quelli che erano i miei interessi e la mia attitudine di quegli anni. Ho frequentato il corso di architettura ambientale, concludendo il triennio senza grandi sconvolgimenti. Mi sono iscritta a questa facoltà perchè ero interessata al paesaggio, alla natura; i temi ambientali, in generale, mi incuriosivano molto.

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La fotografia, nel frattempo?

Il primo incontro con la fotografia l’ho avuto durante la realizzazione della tesi. Ho approfondito il tema delle fabbriche abbandonate a Brescia.Dopo la tesi triennale ebbi l’opportunità di collaborare con Abitare per qualche tempo, realizzando reportage di eventi di settore e  servizi di architettura. Poi mi sono iscritta alla specialistica.

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Specialistica che in parte hai fatto in Cile.

Ho passato l’ultimo anno in Cile con il progetto  Erasmus. In questo periodo ho viaggiato tanto, ho fotografato tanto; ho scoperto il paesaggio, che fino ad allora non avevo preso molto in considerazione — ero più concentrata sulla città. Essendo cresciuta a Brescia non ho mai avuto un contatto diretto e continuo con il paesaggio, cosa che invece è successa nel mio periodo in Cile. Al mio rientro decisi che la fotografia sarebbe stata la mia attività, quello che volevo perseguire.

Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?

Dal Cile non ho più smesso di fotografare: era diventata una necessità. L’architettura era comunque un campo di grande interesse, ma la fotografia aveva ormai preso il sopravvento. Poco prima di laurearmi in specialistica mi contattarono un paio di studi per dei servizi di architettura, fatto che ha contribuito a darmi la spinta a laurearmi velocemente, così da potermi dedicare esclusivamente alla fotografia.

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Cosa hai fatto agli inizi?

Dopo essermi laureata mi sono spostata a Milano realizzando servizi in ambito commerciale con studi professionali. Questo è un settore dove la bravura non è la sola cosa necessaria per riuscire a fare della fotografia una professione. Da freelance bisogna sviluppare in maniera autonoma capacità tecniche così come capacità relazionali e di comunicazione.

Lavori principalmente in ambito commerciale?

Sì, il lavoro in ambito commerciale è l’attività prevalente, ma cerco di dare sempre più spazio alle ricerche personali. È un lavoro che richiede tempo, difficile da coniugare nel momento in cui hai tanti servizi da realizzare, ma non lo sto perdendo di vista e cerco sempre di ritagliarmi del tempo. È un equilibrio difficile da trovare.

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Profilo dell’Intorno, che presentiamo con il takeover di questa settimana è un progetto personale.

È un lavoro che ho iniziato nel 2015, anno in cui ho deciso di dedicarmi alla fotografia in maniera professionale. È una riflessione sul ring – lacirconvallazione – di Brescia, che ho affrontato inizialmente in maniera didascalica, riproponendo la sequenza circolare. In questa veste il progetto è stato esposto all’Officina 9, uno studio di architettura.

Come mai questo soggetto?

Si tratta di una strada al confine tra il centro e la periferia, la si percorre per lo più in macchina, dunque la velocità non permette di concentrarsi sulle strade e i paesaggi che si trovano sul suo percorso. Passeggiando si ha la possibilità di concentrarsi su alcuni dettagli che diversamente non si noterebberoche io trovavo interessanti —incroci, edifici, strade che permettono una moltitudine di visioni.

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È rimasto sempre uguale a sé stesso questo lavoro?

Dal momento in cui è stato esposto la prima volta ha poi subìto alcune modifiche: l’ho ampliato a più riprese ogni volta che tornavo a Brescia. Da quando mi sono trasferita a Milano ho avuto l’opportunità di guardare la città con un certo distacco, non si trattava più di tornare a Brescia, ma di andare a Brescia. Ho notato che cambiando leggermente lo sguardo il progetto poteva parlare non solo di Brescia ma di qualsiasi città. Il progetto per come può essere visto oggi ha una chiave di lettura più ampia rispetto a quello esposto la prima volta, che era rivolto verso l’utente locale.

All’interno di queste visioni spesso ricorre la prospettiva centrale, che sia una via o che sia un edificio, un fatto abbastanza particolare.

A me piace molto la prospettiva centrale. Sono consapevole che si corre il rischio di essere banali, di fare fotografie iconiche, ma sono visioni che io percepisco naturalmente.

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È l’unico lavoro personale che hai fatto?

Ne ho fatti altri, ma sono per lo più derivanti da viaggi o da luoghi che hanno attirato la mia attenzione. Questi progetti, che hanno un diverso approccio rispetto a Profilo dell’intorno, servono per capirmi, per conoscermi, per trovare cosa mi ha spinto a essere attratta da questi luoghi: un lavoro, quello della lettura dei lavori passati, necessario per trovare anche il proprio futuro. Io credo che un fotografo abbia sempre più o meno le stesse ossessioni che ricorrono in tutti i progetti.

Quali sono le tue ossessioni ricorrenti?

Sicuramente l’impatto umano, attraverso il costruito, sulla natura, le sue tracce. Quando ho fatto il viaggio in Patagonia, nonostante ci fossero dei paesaggi stupendi, mi sono resa conto che nelle mie inquadrature il costruito era sempre presente. La stratificazione è un altro aspetto che ricorre molto spesso.