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Benvenuti a Eco 

la rassegna stampa settimanale dedicata a energia, ambiente, ecologia e sostenibilità.

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In questa puntata, un assortimento di super cattivi: Trump, il colosso del petrolio della monarchia saudita, batteri fortissimi.

1. La guerra contro l’EPA non ha senso

I rapporti fra Trump e l’Environmental Protection Agency (EPA) sono stati difficili fin dai primi giorni della presidenza — la nomina (fortemente osteggiata) di Scott Pruitt ad amministratore dell’ente non ha aiutato — e i possibili scenari sul destino dell’Agenzia sono quasi tutti inquietanti. Eppure attaccare l’EPA e cercare di minarne il lavoro è controproducente: le regolamentazioni in materia ambientale non riducono i posti di lavoro, ma contribuiscono a ridurre l’incidenza di patologie derivanti dall’inquinamento e, di conseguenza, ad abbattere i costi per le spese mediche e i giorni di malattia, oltre a incentivare le aziende a investire in innovazione. Il nuovo corso dell’Agenzia, comunque, sembra già imboccato, con la posticipazione di norme anti-inquinamento piuttosto ragionevoli e continue voci riguardo alla volontà di abolire la stessa agenzia.

Scott Pruitt
Scott Pruitt

2. Berretti verdi in prima linea

Il Dipartimento della Difesa statunitense è un paladino delle energie rinnovabili, sebbene non sia mosso propriamente da istanze ambientaliste. I pannelli solari, in particolare, sono apprezzati e utilizzatissimi dai militari: permettono di essere meno dipendenti dai rifornimenti di benzina — spesso bersagli facili — e possono essere facilmente installati in zone impervie e/o di guerra. Discorso simile per la Marina, che sfrutta imbarcazioni con motori a gas ed elettrici per effettuare il minor numero di soste possibili. L’indotto di questo zelo ecologico-strategico è notevole, e muove milioni di dollari in commesse. Cosa farà Trump? Da un lato ha annunciato un aumento di fondi destinati alla difesa per 54 miliardi, dall’altro ha più volte espresso perplessità — ingiustificate — riguardo le energie rinnovabili; per adesso parrebbe che nulla sia destinato a cambiare significativamente, e i militari possano continuare la propria campagna (indirettamente) ecologica.

3. Carbone pulito, parliamone

Come scrivevamo su Eco, il consumo di carbone non passa mai di moda; eppure — specialmente nei paesi Occidentali — molti produttori hanno capito che il futuro dell’energia non passa da questa fonte, il cui problema principale è noto a tutti: inquina, e tantissimo. Per questa ragione, soprattutto negli USA — forse come ultima mossa prima di imboccare il viale del tramonto — i produttori di carbone stanno prendendo una strada il più eco-friendly possibile, cercando di puntare sul cosiddetto “carbone pulito,” bruciato in centrali che sfruttano il C.C.S, ovvero il “carbon capture and sequestration,” una tecnica efficace ma economicamente sconveniente, che evita che il diossido di carbonio, prodotto dalla combustione del carbone, entri nell’atmosfera. I produttori sostengono che investire in questa tecnologia permetterà di rallentare il cambiamento climatico, ma molti pensano che sostanzialmente sia inapplicabile su larga scala e costituisca solamente un ultimo appiglio per un’industria insostenibile sul lungo periodo

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4. Quanto vale Saudi Aramco?

Saudi Aramco vale davvero più di due trilioni di dollari? No,” secondo gli analisti. Wood Mackenzie Ltd. ha stimato il valore del gigante del petrolio saudita in circa 400 miliardi di dollari. Posta questa premessa, è complicato stilare previsioni su una compagnia del settore idrocarburi — calcolare quante siano effettivamente le riserve di petrolio nel sottosuolo, per fare un esempio, è molto difficile — e ancor di più se questa non rende pubblico il proprio bilancio d’esercizio. La questione, però, è particolarmente importante in vista dell’IPO (initial public offering) prevista per il 2018, tra le più grandi di sempre, che riguarderà il 5% della compagnia, e da cui l’Arabia Saudita conta di incassare 100 miliardi di dollari. Questa mossa dimostrerebbe come il Regno stia cercando di diversificare sempre più la propria economia non soltanto con poderosi investimenti in fonti rinnovabili, ma anche tramite l’apertura a investitori stranieri, che sembrano piuttosto interessati all’IPO — vedasi dalle parti di Singapore, il principale mercato del petrolio asiatico.

5. ExxonMobil cambia CEO

A seguito della nomina di Rex Tillerson — ex CEO di ExxonMobil — a Segretario di Stato, Darren Woods, dopo una lunga carriera in Exxon, a gennaio è stato designato come nuovo amministratore delegato. Sono passati due mesi da quando si è insediato, e la musica in Exxon sembra già cambiata: l’accordo di Parigi sul clima è stato pubblicamente appoggiato, la compagnia ha mostrato interesse per l’IPO di Saudi Aramco e Susan Avery, nota fisica dell’atmosfera statunitense, è entrata nel board di Exxon.

6. Batteri, inquinamento, cose brutte

L’inquinamento atmosferico causa numerose patologie, e questo si sa. Secondo una recente ricerca, però, fa di peggio: rende i batteri — quelli presi in considerazione sono lo Stafilococco aureo e lo Pneumococco — più resistenti ai farmaci. In particolare il nero di carbonio — un pigmento prodotto dalla combustione del carbone — cambia il modo in cui i batteri crescono e interagiscono con il sistema immunitario, alterando l’efficacia degli antibiotici. Per gli appassionati, qui il paper completo.


Eco è a cura di Giovanni Scomparin, Nicolò Florenzio e Tommaso Sansone.

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