Il backstage di un festival raccontato come un documentario di Superquark
Il backstage è un luogo leggendario, ammantato di mistero. Ma cosa succede veramente?
Il backstage è un luogo semi-leggendario, avvolto dal mistero. Ma cosa succede veramente?
Non ti avvicinare. Lascia che siano loro a fare il primo passo verso di te. Se ciò succede, mostrati tranquilla e rilassata. Non mordono, ma possono essere molto fastidiosi.
Questo mi passava per la testa mentre lavoravo nel backstage di un festival in Francia, con una musichetta di sottofondo tipo documentario sugli animali. Mentre versavo l’ennesima birretta al batterista di una band indie rock, riflettevo sull’idea che la maggior parte di noi ha del backstage, là dove si raccoglie la magia pre-concerto, dove la band si prepara allo spettacolo. Non è esattamente così, o meglio, quello che cercano gli artisti nel backstage di un festival è altro.
Nella savana del backstage sono molti i personaggi che si possono incontrare: dal tour manager al fonico, ognuno vive nel suo microclima ignorando a muso duro gli altri.
Sui camion pieni di materiale tecnico si incrociano i fonici, di solito raccolti in piccoli gruppi di due-tre individui che parlottano tra di loro a bassa voce, scambiandosi cenni col capo. Poco amichevoli, tendono a stare tra i loro simili. Poi il tour manager, che sembra più pavone degli stessi musicisti. I manager di palco sembrano quegli uccelli che ogni tanto si vedono pulire i denti agli ippopotami: sul bordo della disgrazia ma assolutamente ignari. Non sanno che da lì a poco dovranno risolvere il dramma dell’artista che sul palco non ci vuole più salire. La sicurezza dovrà resistere nella fossa tra palco e prima fila per svariate ore, senza muoversi e senza mostrare nessun segno di eventuale divertimento. Ricordano per certi versi degli ippopotami a muso nascosto sotto il pelo dell’acqua, pronti a scattare e ribaltare il quindicenne che cerca di fare stage diving.
E poi ci sono loro, i leoni e le leonesse della savana. I musicisti.
Specie protetta, il musicista-in-tour ha dei bisogni basici: molti superalcolici, salviette e una presa per l’iPhone.
I re della savana sono difficili da gestire. Durante i tour europei i musicisti cambiano più nazioni che magliette, grazie al trattato di Schengen si addormentano in Germania e si svegliano in Croazia. Questo significa umore ballerino e poca voglia di confronto. Devono imparare a dormire in qualunque situazione, e la prima cosa che cercano una volta arrivati nel backstage è una superficie piatta per sdraiarsi e riprendere contatto con la terraferma dopo ore nel tour bus. Mi è capitato di entrare in uno dei camerini per portare dell’acqua e trovare la band e il tour manager dormienti, a terra, completamente vestiti, senza cuscino o coperta. Uno russava con gli occhiali addosso.
Se non disturbati possono essere anche ritenuti innocui, ma attenzione a non alterare il loro equilibrio o a versargli il whisky sbagliato.
Come in un safari, ti viene specificato di non avvicinarti a loro se non richiesto. Hanno così poca voglia di contatto umano che ti chiedi se usciranno mai dalla tenda, in cui riesce a entrare solo il parrucchiere per spazzolargli la criniera e rinvigorire l’ego. L’unico momento in cui si sforzano riguarda l’alcol: la loro dieta poco variata prevede che si cibino solo di superalcolici. Ma dato che questi beni di prima necessità sono centellinati, è facile assistere a scene pietose in cui il cantante ti prega in ginocchio di dargli altro Bombay Sapphire, a rischio di una scadente performance sul palco.
Il loro ambiente naturale è il palco, ma a volte sono costretti a brevi soste nel cammino in luoghi ameni e inospitali quali le sale stampa o gli stand di firma copie.
Per un gruppo di stanza in Inghilterra è normale fare un firma copie prima del concerto, così come varie interviste con i giornalisti locali. Il problema è che non c’è mai stato un artista nella storia mondiale che lo facesse con gioia e buona volontà. Da lontano si nota un aumento della temperatura corporea e grida convulse, a significare No io lì non ci vado! A volte bisogna ricorrere a strategemmi, attirandoli con esche particolari per poi rinchiuderli nel tendone della Fnac.
La scena è straziante: queste povere creature obbligate a sorridere e firmare autografi ai fan. Un pugno al cuore.
Nonostante siano riconosciuti e si muovano con una certa disinvoltura, nel backstage si respira principalmente un’aria di stanchezza. Molti personaggi sono disorientati e abbastanza sfatti.
L’idea che si ha del backstage di un concerto va rivista, diciamo, al ribasso. Le salette piene di gente, ragazze che corrono, pass strappati insieme a vari indumenti sono sicuramente scene realistiche ma ormai molto rare. Nello specifico, durante i festival difficilmente i backstage sono popolati da queste creature mitologiche dette “groupies”. È più facile che i musicisti si rilassino con i membri della crew o al massimo si allunghino fino alla tenda di altre band amiche.
In ogni caso, è più facile accarezzare un leone in Tanzania che strappare un autografo a un chitarrista in tournée.
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