Ieri sei persone sono stati arrestate per la morte di Paola Clemente, uccisa da un attacco cardiaco la scorsa estate mentre lavorava nei frutteti pugliesi.
Clemente, 49 anni, è un’altra delle vittime del caporalato — una parola nuova per definire qualcosa che va tra lo sfruttamento del lavoro e la schiavitù — che, ogni anno, vede coinvolti più di 430.000 lavoratori in tutta Italia.
I sei sono indagati per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, oltre che di truffa ai danni dello Stato. La maggior parte di loro lavorava per agenzie di lavoro interinali, ma è finito in manette anche il titolare dell’azienda di trasporti che ogni mattina portava Paola e altri sfruttati fino ai campi; un’altra persona era coinvolta direttamente nel lavoro manuale, ricoprendo il ruolo di caposquadra tra le piantagioni — il caporale, insomma.
“In qualità di rappresentante di questo mondo sono amareggiato, perché tutti coloro che lavorano in questo settore dovrebbero essere scrupolosi nel seguire le regole. Condanniamo con forza quanto è successo,”, ci ha detto al telefono Rosario Rasizza, Presidente di Assosomm, l’Associazione Italiana Agenzie per il Lavoro. “Sulla vicenda giudiziaria in sé non entro nel merito, è giusto che chi ha sbagliato paghi.”
È difficile quantificare con precisione il numero dei lavoratori interessati da questo fenomeno — e anche coloro che, purtroppo, ne rimangono fisicamente vittime. Questa difficoltà è dovuta sia alla nebulosità dello stato lavorativo di chi è costretto a faticare che allo stato giuridico o sociale in cui versano molti lavoratori: molti, infatti, soprattutto in zone come la piana di Rosarno, sono migranti irregolari, non registrati, che in pratica non esistono per la legge italiana; moltissimi altri, anche italiani, versano in difficilissime condizioni economiche e non si possono permettere di richiedere migliori condizioni di impiego.
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Secondo Fieragricola, la paga media di un bracciante italiano sfruttato varia dai 25 ai 30 euro, a cui ne vanno sottratti 5 per le spese di trasporto. I lavoratori sono anche costretti a erogare prestazioni in nero, fruttando un’evasione di oltre seicento milioni di euro all’anno — le vere vittime però non sono tanto le casse dello Stato, quanto i lavoratori stessi:
“Almeno 100 mila soffrono di un disagio abitativo e ambientale. Il 72 per cento presenta malattie che prima dell’inizio della stagione lavorativa non si erano manifestate; il 64 per cento non ha accesso all’acqua corrente; il 62 per cento dei lavoratori stranieri impegnati nelle stagionalità agricole non ha accesso ai servizi igienici.”
I dati riportati da Fieragricola sono stati difficoltà proprio da Assosomm, che li ha resi noti nel corso del Forum “Attiviamo Lavoro — Le potenzialità del lavoro in somministrazione per il settore dell’agricoltura.” Sempre secondo il rapporto di Assosomm, l’80% dei lavoratori soggetti al fenomeno del caporalato è straniero, e riceve una paga media pari alla metà di quella che viene in genere concessa ai cittadini italiani.
Come dicevamo, la precarietà e lo stato giuridico di molti migranti li rende vittime più appetibili per gli sfruttatori, in quanto meno tutelati e più ricattabili.
“È un problema odioso, trattato in maniera inefficiente dalle istituzioni,” secondo Domenico Perrotta, professore di Comunicazione interculturale e Sociologia presso l’Università di Bergamo. Anche la legge dell’anno scorso agisce solo sulla repressione penale, ma non fa nulla per prevenire il fenomeno. La legge di cui parla il professor Perrotta è stata approvata a luglio dell’anno scorso e dovrebbe anche rendere più facile l’individuazione della fattispecie di reato – in parole povere, rende più facile incriminare gli sfruttatori. “Però, guardando la prima stagione di raccolta dopo l’approvazione della legge — che è quella delle arance in Sicilia di questo inverno, non sembra che sia cambiato molto. Lo Stato dovrebbe creare attrattive e soluzioni diverse per il lavoro stagionale e l’accoglienza dei migranti. ”
“In certi territori il caporalato è diventato un sistema radicato dal punto di vista economico,” prosegue Perrotta, “tanto che si fa fatica a immaginare un’agricoltura senza caporali. Alcuni di loro addirittura si sentono dalla parte degli operai, visto che in questo sistema sono importanti nel garantire un posto di lavoro. Ma il caporalato è una pratica che va a scapito dell’operaio, non dell’azienda.” E per rendersi bene conto di ciò, basta leggere gli ultimi dati pubblicati da Assosomm: “Il fenomeno è maggiormente diffuso nel Mezzogiorno, ma è in aumento anche nel Nord e nel Centro del Paese. I distretti agricoli in cui si pratica il caporalato sono 80. Di questi, in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro “indecenti” e in 22 “di grave sfruttamento.”