Contro gli studenti transgender: il colpo di coda della normatività
L’abolizione del diritto di usare il bagno del proprio sesso di destinazione fa parte di un disegno reazionario più ampio.
L’abolizione del diritto di usare il bagno del proprio sesso di destinazione fa parte di un disegno reazionario più ampio.
In un incredibilmente prevedibile voltafaccia, il “primo candidato presidente repubblicano amico della comunità LGBT,” che disgraziatamente ha vinto le elezioni, ha sospeso le protezioni per gli studenti transgender che l’amministrazione Obama riteneva incluse nella legislazione pre-esistente contro le discriminazioni.
La lettera, firmata dal dipartimento di Giustizia e dell’Istruzione, secondo il New York Times persino contro il volere della fondamentalista religiosa Betsy DeVos, non è un altro caso di amministrazione Trump ribelle ai normali meccanismi della politica — la “questione dei bagni” è un argomento radicato all’interno del partito repubblicano da anni.
Il risultato è semplice: i ragazz* transgender non potranno più utilizzare il bagno del proprio sesso di destinazione, ma dovranno rispettare quanto scritto sulla propria carta d’identità — malgrado il loro aspetto esteriore magari già porti i segni della transizione, portando naturalmente a discussioni, tensioni, ridicolizzazioni.
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È una fissazione così ridicola che è facile banalizzarla — ma parte della sua forza è proprio in questa sua intangibilità: attacca il diritto di esistere nei luoghi pubblici, e lo fa partendo dall’unico posto che è sia intimo, privato, che pubblico: il bagno.
Non ci sono ragioni di “policy” per questa inversione di rotta al di fuori del puro odio, della pura ignoranza — costringere ragazzin* ad andare in un bagno in cui non sono a proprio agio, o dove hanno paura, non serve a niente — è una visione deformata dal privilegio, che porta a fraintendere l’uguaglianza per un favoritismo.
È una decisione comunque scioccante, presa poche ore dopo la pubblicazione di uno studio che collega direttamente la riduzione dei suicidi tra persone LGBT alla diffusione di leggi per il matrimonio per tutti, e che non porterà a nessuna condizione buona, oltre che a piú persone bullizzate, attaccate, che vivono nella paura a causa di quello che sono e basta.
È per gli Stati Uniti un’altra sconfitta in una lotta completamente impari tra società civile e un’amministrazione completamente distaccata dalla realtà e dalla volontà della maggioranza dei propri cittadini.
In Europa, mentre questa ondata di radicalismo retrogrado si prepara ad attaccare le prossime elezioni, è facile guardare agli Stati Uniti con preoccupazione, e farsi prendere dallo sconforto.
Non si può, tuttavia, come stampa, come blogger, come manifestanti — negli Stati Uniti per ora, speriamo non in Europa — perdere di vista che queste idee, che si sono insinuate nel dibattito politico quotidiano attraverso forzature populiste, non sono solo retrograde e pericolose: sono anche minoritarie, vecchie e superate.
È vero, l’“alt-right,” che è sostanzialmente la deriva pop e memificata del neo nazismo, si rivolge a un pubblico giovanile, ed è un pubblico sorprendentemente vasto — ma resta una nicchia, un gruppo di ignoranti che, una volta tagliati i legami che miracolosamente sono riusciti a legare con la destra “istituzionale” statunitense, non contano niente.
Dal bigottismo fascistoide di Putin al terrore per l’Islam e l’omofobia della destra USA, passando per la demonizzazione dello straniero di Salvini e Le Pen, tutte queste politiche sono unite da una variabile costante di conservatorismo: non fiscale, ma sociale, inteso strettamente come paura del cambiamento.
La paura del cambiamento è un’ideologia forte, che fa presa su tantissime persone, ma ha un difetto sostanziale: inevitabilmente poi, le cose cambiano lo stesso.
Di fronte alla deriva iper populista delle destre europee la società civile non deve, come appariva oggi sulla home page del Corriere della Sera, “tenere conto della paura dei normali”. No, semmai l’esatto contrario: bisogna rinforzare il concetto di diversità, di stranezza, di omogeneità delle unicità.
Il populismo di destra negli ultimi anni ha saputo con grande capacità cavalcare ogni difetto sistemico della diffusione virale dei contenuti su internet. A questo si può rispondere con armi potentissime, dal rap iraniano rivoluzionario alla subcultura K-Pop queer, dal futurismo sociale delle pieghe comuniste della Silicon Valley al salutismo hacker–decadente dell’health goth. In una sorta di “weird pride” non stop deve passare un solo messaggio alla destra, ai fascisti, ai bigotti: siete superati, finiti.
Internet non può essere l’unico rifugio sicuro per tutte queste subculture, però: già oggi, in numero, è indubbio che siano molte di più le persone che i fascisti odiano, che i fascisti stessi, su internet. Ma ognuno vive nella propria nicchia, di cultura, sociale, o politica, non organizzate, e spesso in angoli profondi del mare di internet.
Il concetto di normale, inteso come espressione omogeneizzante della normatività liberista, dietro cui si nascondono razzismo e omofobia, e su cui aggiunge l’odio della povertà come colpa, è finito.