Il Pil in Grecia è ancora del 20% al di sotto di quello pre-crisi, mentre la disoccupazione è al 23%. Senza un taglio del debito, il paese va incontro a un fallimento annunciato.
La Grecia affonda, ancora una volta. Nonostante gli ingenti prestiti concessi allo Stato ellenico in cambio di riforme e forti tagli della spesa pubblica, Atene ancora non vede la luce in fondo al tunnel. In estate la Grecia finirà i soldi per pagare i suoi creditori, e in assenza di ulteriori prestiti andrebbe incontro al fallimento. Da parte sua, l’Unione europea continua a credere ciecamente nella bontà delle ricette di austerità che hanno ridotto il Paese in ginocchio.
Oggi a Bruxelles si terrà una riunione dell’Eurogruppo e l’ultimo punto sull’agenda riguarda proprio il programma di aiuti alla Grecia. Si aspetta la revisione fatta dagli esperti della Trojka (Bce, Commissione europea e Fondo monetario internazionale). Un avviso positivo permetterebbe ad Atene di accedere alla seconda tranche del prestito. Difficile però che da Bruxelles arrivi una fumata bianca: il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha infatti spiegato negli scorsi giorni che la revisione non sarà finita in tempo per la riunione.
Il punto è però un altro. La Grecia si trova attualmente a un bivio: o la sua economia si rialza, attraverso investimenti pubblici e privati finalizzati alla crescita, oppure il Paese fallisce. In tal caso, la colpa dovrà essere data soprattutto ai piani di “lacrime e sangue” voluti dai creditori internazionali e appoggiati dall’Ue. Bastano alcuni dati per spiegare la tragedia greca: il prodotto pro capite in Grecia è ancora del 20% al di sotto di quello registrato prima della crisi, mentre la disoccupazione è al 23% (44% per i giovani). Nonostante una buona stagione turistica, la crescita del 2016 è risultata ancora negativa. Sono stati proprio questi dati ad allarmare Bruxelles, e a mettere in dubbio la posizione di Atene.
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I tagli imposti dalla Trojka dallo scoppio della crisi non hanno funzionato, anzi: il debito della Grecia in questi anni è aumentato a causa della mancata crescita della sua economia. Eppure la maggioranza dell’Eurogruppo resta convinta che la soluzione stia nell’austerità, vista (anche) come dazio morale per un paese considerato irresponsabile nella gestione delle proprie finanze. Non è bastata neppure la vendita di beni pubblici, come il porto del Pireo, a convincere Bruxelles della buona volontà della Grecia. Non si comprende fino a che punto Atene — che ha rifiutato ulteriori umiliazioni — dovrebbe spingersi prima che i ministri della zona euro capiscano come la situazione sia insostenibile.
Eppure una soluzione ci sarebbe: ridurre (in parte) il debito greco. Il Fondo monetario internazionale sostiene da tempo che il debito greco non sia restituibile, e ha di recente strigliato l’Europa sulla questione. L’Fmi ha persino messo in dubbio la propria partecipazione al nuovo programma di prestiti nel caso in cui l’Unione europea non prendesse atto di questa realtà. Una realtà dura da accettare per i governi di alcuni Stati europei, le cui banche per anni hanno prestato soldi alla Grecia ignorando i problemi di solvibilità dello Stato ellenico.
Dopo la Brexit, l’Unione europea si trova così di fronte ad una nuova crisi. Ma questa volta, a differenza del caso britannico, le redini del gioco sono saldamente nelle mani di Bruxelles. Basterebbe un po’ di buonsenso (o meglio lungimiranza politica) dell’Eurogruppo per scongiurare il rischio di fallimento dello Stato greco. L’Ue però continua a trattare la Grecia come il malato d’Europa e a prescriverle la stessa cura, nonostante si sia da tempo rivelata inefficace. Così, l’Unione europea potrebbe incassare un’altra sconfitta.
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