Mentre la scissione nel Pd si fa sempre più probabile, il nuovo progetto politico di Pisapia cerca di rifondare la sinistra — ma con quali speranze?
Solo un soggetto politico, nella seconda repubblica, è riuscito a battere Berlusconi in modo inequivocabile: l’Ulivo. L’idea alla base di quel progetto politico era piuttosto semplice: unire in una grande, anzi, grandissima coalizione tutte le forze di sinistra e centro-sinistra per poi mandarle all’assalto del mostro. Il tutto sigillato da un candidato-garante capace di tenere insieme partiti diversissimi: Romano Prodi.
Questa diversità interna è stata la sua fine — è difficile far stare nella stessa stanza Bertinotti e Mastella per più di una legislatura. Invece le due componenti principali della coalizione, DS e Margherita, nonostante numerose divergenze politiche, fondarono un nuovo partito: il Partito Democratico, di cui forse avete sentito parlare.
Tutto sepolto sotto il cemento renziano? Forse no: negli ultimi giorni c’è chi vorrebbe riaprire l’armadio per tirare fuori la vecchia idea di una coalizione di sinistra in grado di confederare forze diverse e presentarsi alle elezioni unite contro il mostro — e i mostri in questo caso sono due: Grillo e Salvini. La persona si chiama Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano, che ha appena dato il via al progetto politico di Campo Progressista — più che un partito, un nuovo aggregatore politico di centrosinistra.
L’altroieri Pisapia, la Presidente della Camera Laura Boldrini e politici di lungo corso come Alberto Monaco si sono riuniti a Milano, a Santeria Social Club, per discutere del progetto dell’ex sindaco. Se Boldrini, sedendosi insieme a Pisapia, gli ha dato una dimostrazione di sostegno importante, è interessante anche la presenza stessa di Monaco, visto il suo passato: fondatore dell’Ulivo, molto vicino a Prodi, probabilmente speranzoso che una simile esperienza politica possa essere ripetuta.
Nel manifesto di Campo Progressista, pubblicato ieri dall’Huffington Post, si legge che “c’è bisogno di un nuovo centrosinistra,” per andare oltre quello vecchio: “affrontare la disoccupazione e la precarietà, le disuguaglianze che producono povertà ed esclusioni sociali soprattutto nel Mezzogiorno, la gestione dei flussi migratori, la questione ambientale.” Ma Pisapia, in concreto, cosa spera di fare?
Attualmente, l’area a sinistra del PD è occupata da uno sciame di forze politiche molto piccole — l’ultima arrivata è Sinistra Italiana, che non ha ancora tenuto il suo primo congresso e già non sta messa benissimo. Sono partiti che purtroppo sono spesso molto scollegati dalla realtà, autoreferenziali e in ultima analisi destinati all’insuccesso. Probabilmente Pisapia spera di unirne almeno una parte sotto un ombrello capiente — il proprio.
Inoltre, negli ultimi giorni, sta iniziando a concretizzarsi una variabile che fino a pochi giorni fa sembrava impossibile, ma che oggi sembra un’eventualità concreta, che potrebbe dare una spinta ulteriore al progetto politico di Pisapia: l’esplosione del PD in mille pezzi.
Il Partito Democratico infatti soffre di dolori cronici ormai molto gravi da diverso tempo: si sono aggravati da quando Renzi è stato eletto segretario alla fine del 2013, ma si può dire che i tormenti siano iniziati alla sua nascita. Come abbiamo detto in precedenza, i due partiti da cui il PD è nato, DS e Margherita, erano molto diversi: uno erede del Partito Comunista, l’altro della sinistra democristiana. A partire dalla semi-sconfitta alle elezioni del 2013 dell’ex DS Bersani, la parte sinistra del partito ha perso terreno in favore di Renzi, il rottamatore, che per valori e tradizione politica è legato indissolubilmente agli ex DC.
Da allora l’ala sinistra ha sofferto sempre di più, e ci sono già stati casi di scissionismo individuale: su tutti, quelli di Pippo Civati e Stefano Fassina, che finora non sembrano aver costruito granché. Un evento più importante, però, potrebbe accadere nei prossimi giorni: la scissione completa dell’area di sinistra del Partito, con tutta la minoranza — da Bersani a D’Alema — in fuga dal PD.
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Questo gruppo politico, composto da quasi tutti gli ex DS, si troverebbe nella situazione di rifondare un partito da capo, decidendo quali alleanze stringere e costruendosi una credibilità elettorale che li porti a qualcosa di più del cinque per cento. Pisapia continua a dichiarare che considera il PD tutto intero come un soggetto dialogante e di non sperare affatto nella scissione. Ma se dovesse succedere il peggio — è da presumere — l’ex sindaco sarebbe più che contento di tendere la mano ai profughi e cercare di unire loro e magari tutta la galassia alla loro sinistra. Ma Pisapia — è lecito chiedersi — è davvero la persona giusta per imbastire una struttura politica simile?
Se la sinistra del PD vuole uscire da una logica di compromesso con Renzi, perché dovrebbe accettarne uno con Pisapia?
Innanzitutto bisogna considerare le diverse personalità dei due. Renzi è un capo egocentrico, nel vero senso del termine: ama stare al centro dell’attenzione mediatica e allo stesso tempo avere in mano le fila di quanto accade dietro le quinte, fa della sua figura prominente una forza e una debolezza per l’intero partito. Pisapia è una persona più calma, un capo che non ama stare troppi passi avanti agli altri, che potrebbe impostare un dialogo più sano con quella che oggi è la minoranza PD — che in un gruppo guidato da lui non sarebbe più una seccatura, ma forse la parte più preziosa della coalizione. Proprio come Romano Prodi. Certo, potrebbe servire un compromesso — ma un compromesso con Pisapia, allo stato attuale, sembra molto più facile di uno con Renzi. Anche perché — sembra superfluo dirlo — Pisapia ha posizioni molto più vicina a quelle della sinistra PD rispetto a quanto le abbia Renzi.
Abbiamo parlato con Alessandro Capelli, che aveva già collaborato alla candidatura di Pisapia a sindaco di Milano nel 2011 e oggi è in prima linea nella costruzione di Campo Progressista. “Io proverei a spostare la bussola: sicuramente guardiamo con attenzione a quello che succede all’interno del PD, ma guardiamo a costruire una forza completamente nuova. CP è già un prototipo del centrosinistra che vorremmo.”
Una delle intenzioni — non solo sottesa, ma anche dichiarata — di Campo Progressista è riportare al voto gli elettori di sinistra che oggi, alle urne, non vanno più da tempo. “La funzione massima di Campo Progressista deve spostarsi dalle alleanze politiche ad alleanze sociali, a costruire qualcosa con chi fa parte ad esempio di associazioni sul territorio. A me interessa un movimento competitivo davvero.” E in effetti un movimento di sinistra competitivo servirebbe davvero, in questo momento storico. “Si sta scherzando col fuoco. L’argine di frontiera (un’alleanza, ad esempio, come quella antifascista di Socialisti e Conservatori contro Le Pen in Francia, ndr) ormai perde sempre. Bisogna mettere in campo un movimento di centrosinistra in forte discontinuità con quello che esiste.”
In effetti uno dei rischi a cui va incontro CP è quello di essere l’ennesimo partitino nato con gli scopi più nobili ma destinato al dimenticatoio del 4%. Anche se delle differenze con movimenti come Sinistra Italiana, anche solo per il minor tasso di dannosa litigiosità interna, appaiono incoraggianti. E il comportamento degli scissionisti PD potrebbe davvero fare la differenza. “È chiaro che Bersani, che dice che ci vorrebbe un Ulivo 4.0, è più che un interlocutore. L’Ulivo è un riferimento, se lo portiamo trent’anni avanti.”