Amnesty: l’accordo Ue-Turchia è “un modello per la disperazione”

L’intesa Ue–Turchia vuole la regolazione dei flussi migratori verso l’Europa e l’imposizione di controlli più severi, ma le ricerche di Amnesty rivelano uno scenario più drammatico.

Amnesty: l’accordo Ue-Turchia è “un modello per la disperazione”

Foto di Hans Helm, dal nostro reportage Alle porte dell’Europa

Mentre l’Ue plaude all’accordo con la Turchia per la regolazione dei flussi migratori a poche settimane dal suo anniversario Amnesty International lo condanna.

“È estremamente ipocrita che i leader europei promuovano l’accordo Ue–Turchia come un successo, mentre chiudono gli occhi di fronte agli alti costi insostenibili di coloro che ne soffrono le conseguenze” accusa Gauri van Gulik, vicedirettore di Amnesty International in Europa.

L’Ong impegnata nella difesa dei diritti umani esprime un duro giudizio riguardo al patto del 20 marzo 2016 e, riprendendo criticamente l’espressione di chi lo considera un sistema da ripetere, lo definisce un modello per la disperazione, rilasciando un rapporto frutto di una ricerca investigativa condotta da marzo 2016 a gennaio 2017.

L’intesa Ue–Turchia ha come scopo principale la regolazione dei flussi migratori verso l’Europa e l’imposizione di controlli più severi per evitare l’immigrazione incontrollata. Secondo il patto gli immigrati giudicati inammissibili e coloro a cui viene negata la richiesta d’asilo nelle isole greche avrebbero dovuto essere riportati in Turchia.

La Turchia, secondo l’accordo, si sarebbe impegnata a ricevere i migranti inammissibili in quanto “Paese terzo sicuro” che fornisce protezione ai rifugiati. Questo piano ha iniziato a vacillare dal momento in cui i funzionari europei si sono rifiutati di considerare la Turchia adatta. Amnesty International insiste nel rifiutare l’assunto che la Turchia sia un Paese sicuro ricordando che il sistema di asilo deve ancora essere stabilito e non è quindi capace di occuparsi di migliaia di rifugiati e di procurargli le condizioni basilari di protezione e sussistenza. Per quanto riguarda i profughi siriani Amnesty denuncia di aver riscontrato in Turchia casi di violazione dei diritti umani quali detenzione arbitraria, cure mediche negate e privazione della rappresentazione legale del migrante.

A condannare l’accordo al fallimento vi è sicuramente il fatto che alla Grecia è stato addossato un peso insostenibile. Per vagliare ogni singolo migrante sulle coste greche e valutarne rapidamente l’ammissibilità — come vorrebbe l’accordo — servono migliaia di funzionari e il Paese non è pronto, nonostante la promessa dell’Ue di inviare rinforzi tra esperti in asilo e interpreti. Inoltre, mentre la Grecia si sforza di assestare la situazione dei potenziali migranti da rimandare in Turchia e delle richieste di asilo, la Commissione Europea continua a fare pressione perché si accelerino i ritorni in Turchia, a scapito della qualità dei controlli.

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Se da una parte è possibile rilevare qualche risultato del programma Ue–Turchia nella riduzione degli sbarchi dall’altra la bilancia pende per gli effetti negativi. L’attesa interminabile nei campi è una problematica grave: Amnesty documenta come a Lesbo, Samo e Kos i migranti si trovino stipati e “imprigionati” a tempo indeterminato.

L’Ong testimonia inoltre le conseguenze della sovrabbondanza di persone nei campi. Le condizioni di vita dei migranti nelle isole greche, già inadeguate prima dell’accordo, sono deteriorate. A gennaio 2017 Amnesty registra 15279 rifugiati e migranti nelle isole greche, 6192 dei quali in hotel, appartamenti o in detenzione. I restanti 9087 rimangono nei centri di ricezione e identificazione di Lesbo (Moria), Chios (VIAL), Samo, Lero e Kos.

La capacità di questi campi è considerevolmente inferiore rispetto al numero effettivo di residenti attualmente e l’ammassamento favorisce il proliferare di situazioni dannose. Dall’indagine di Amnesty emergono le reali condizioni di vita dei migranti: oltre alle note condizioni di scarsa igiene favorenti infezioni e salute precaria e la forte povertà delle infrastrutture che causa terribili incidenti, l’Ong denuncia la frequenza di risse, incendi ed episodi di violenza. Le condizioni dei campi di identificazione favoriscono inoltre che individui soli e vulnerabili rimangano per tempi prolungati isolati nei centri di controllo, come nel caso dei bambini incustoditi.

Dal 18 marzo scorso, quando l’accordo è stato siglato, i campi nelle isole sono stati progressivamente evacuati e trasformati in luoghi di detenzione temporanea per accogliere i nuovi arrivati. Di conseguenza, considerando le coste luoghi di permanenza provvisoria, MSF, UNHCR, Oxfam, Save the Children e persino il Norwegian Refugee Council hanno sospeso le loro attività negli hotspot ed i rifugiati che vi si sono accumulati poi sono stati quindi privi del supporto che vi era prima del patto Ue–Turchia.

Amnesty punta il dito sull’accordo come responsabile univoco del blocco dei migranti imprigionati sulle coste greche. Preferendo una politica restrittiva alla qualità della condizione del migrante il patto ha causato il concentramento dei rifugiati – in attesa di controlli e decisioni relative all’ammissibilità o al ritorno in Turchia – fino a saturazione dei campi sulle coste greche quando invece, prima della sua stipulazione, venivano prontamente trasferiti e ripartiti nell’entroterra. Secondo l’Ong il controllo dei flussi migratori è stato quindi guadagnato attraverso l’aggiramento e la violazione dei principi base di protezione dei rifugiati.

Per i richiedenti asilo in Grecia è da mesi un eterno procrastinare e Amnesty International contesta che si tratti ormai di detenzione arbitraria e di legalità dubbia secondo il diritto internazionale.

Dalle interviste effettuate dall’Ong ai richiedenti asilo emerge come la differenza nei tempi d’attesa tra casistiche molto simili sia totalmente illogica. È quindi chiaro che la vera ragione di questi blocchi interminabili risieda nella sfiducia nella Turchia come paese sicuro e nel fatto che il compito addossato alla Grecia sia insostenibile.

Se nel 2015 circa 800000 rifugiati erano arrivati sulle coste greche l’accordo ha sensibilmente ridotto il flusso ad appena 27000 persone. Di queste 27000 soltanto 865 sono ritornate in Turchia e 4500 sono state trasferite sulla terraferma greca. La restante parte rimane nel limbo, stipata in quei campi sovraffollati.

Il fatto che un numero così esiguo di migranti sia stato rinviato in Turchia è da considerarsi positivo secondo Amnesty in quanto significa che si tiene in considerazione il fatto che sia un luogo di dubbia sicurezza. In ciò va riconosciuto il ruolo delle Ong e dei legali che operano in Grecia per assistere e preoccuparsi del futuro di chi viene considerato inammissibile dall’Europa.

Nella disperazione dovuta ai tempi d’attesa ed alle condizioni dei campi alcuni rifugiati preferiscono tornare da dove sono fuggiti in quanto lo considerano una prigionia ed un pericolo più sopportabile. I ritorni volontari dei migranti che ritirano le richieste d’asilo sono un paradosso dal triste significato che dovrebbe risparmiare le autorità europee dal definire l’accordo un progetto da riproporre.