Le sue opere puntano a smuovere le coscienze dell’Occidente e all’abbattimento delle barriere culturali ancor prima che materiali.
L’utilizzo di computer, console e software di grafica non è cosa nuova nel mondo dell’arte. Basti pensare che già nel 1972 Richard Shoup – computer scientist presso la Xerox PARC – sviluppò uno dei primi programmi in grado di catturare immagini video e offrire una gamma di strumenti utili al video editing e all’animazione a computer, aprendo alla grafica un mondo di nuove possibilità che oggi si danno per scontate. La cosiddetta Digital Art è dunque il macro contenitore di forme d’arte che utilizzano suoni (Sound Art), internet (Net Art), realtà virtuali, pittura digitale, ma anche algoritmi e grafiche vettoriali.
David Mesguich – artista attivo soprattutto in Francia, Belgio e Polonia – ha deciso di andare oltre, seguendo comunque una delle più tradizionali forme d’arte: la scultura. Le sue opere si basano su modelli tridimensionali fatti di superfici, vertici e spigoli definiti mesh poligonali — uno stile noto in inglese come Low Poly, dove con low si intende un ridotto numero di poligoni atti a formare il modello grafico. Attraverso questo processo, eredità della grafica a computer, trasporta le sue opere dal virtuale al reale.
Molte delle opere di David Mesguich sono installazioni “in situ,” pensate per luoghi specifici e imprescindibili da essi — attraverso questo processo l’artista si appropria di porzioni di territorio altrimenti dimenticate. Ma c’è dell’altro.
Le sue opere, che paiono attraversare lo schermo di un computer per uscire nella realtà, dialogano con il contesto urbano e cercano un punto di incontro in luoghi di passaggio che tanto separano quanto collegano.
È il caso di Pressure (2013), monumentale testa di donna che pare emergere dalla superficie, le cui dimensioni sono state dettate dal furgone in possesso dall’artista per il trasporto — dettaglio non trascurabile perché dimostra la partecipazione di Mesguich in tutte le fasi del processo artistico.
Costruita in plastica riciclata e donata senza scopo di lucro, l’opera è sezionata da una recinzione in metallo e viene interconnessa con la città di Marsiglia in punti scelti dall’artista. Uno dei luoghi più simbolici è una strada sopraelevata, uno dei principali punti di accesso alla città da cui si domina il nucleo urbano — che al tempo stesso, se si attraversa il mare con lo sguardo, porta in Africa.
L’utilizzo della recinzione non è stato un unicum e assume un’accezione ben precisa: in inglese il termine fence e il modo di dire being on the fence significa essere indecisi, ma anche trovarsi nel mezzo di una questione non sapendo da che parte stare.
Tragicamente attuale nel suo significato è Santa Europa (2016), che racchiude in sé il paradosso di un’umanità in fuga dall’orrore, spesso colpevolizzata per il suo voler cercare salvezza altrove. “L’Europa esprime solidarietà verso i migranti e al tempo stesso si affretta a costruire muri alle frontiere che impediscano loro di entrare” ha affermato David Mesguich.
La scultura alta cinque metri e addossata a una parete di una fabbrica di Tolosa ha il volto di donna e attorno al suo capo è stata pitturata a spray una sorta di aureola con nove stelle che ricorda senza dubbio la bandiera europea.
L’aura di santità della figura è anche una delle spiegazioni date alla bandiera che vedrebbe in essa un richiamo a una scena dell’Apocalisse dove la Madonna appare in cielo coronata di stelle (capitolo 12) e a cui uno dei bozzettisti, Arsène Heitz, sembrò essersi ispirato.
All’artista però non sembra interessare un discorso di tipo religioso, nonostante il titolo dell’opera e il suo simbolismo. Mesguich aveva già compreso all’inizio del 2016 che i muri sarebbero stati la principale forma di minaccia e protesta contro i migranti in fuga dalla guerra o chi intento a spostarsi per il proprio diritto ad un cambiamento.
Muri non solo fisici, ma barriere mentali utilizzate per distogliere lo sguardo da ciò che è scomodo e ciò che è meglio far ricadere come responsabilità altrui.
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