Nonostante le cariche della polizia all’interno di una biblioteca universitaria, molti studenti si sono dissociati dal CUA, il collettivo responsabile dell’occupazione.
A Bologna continuano le proteste. Dopo gli scontri avvenuti due giorni fa tra gli studenti dei collettivi universitari e la polizia, è di ieri sera la manifestazione a favore delle dimissioni del rettore Francesco Ubertini e del questore Ignazio Coccia.
Dopo l’installazione di tornelli all’entrata delle sale studio di Lettere, in via Zamboni 36, mercoledì le aule della biblioteca sono state occupate dai collettivi autonomi studenteschi. In risposta, il rettore ha autorizzato la polizia, in tenuta antisommossa, a intervenire per sgomberare il palazzo. Il seguito – ormai noto – ha visto protagonisti scontri violenti tra i due fronti dopo l’irruzione del reparto celere nelle aule della biblioteca. Nell’ottica di una democratizzazione della cultura e dell’istruzione, le immagini hanno suscitato subito un senso di profanazione di un tempio protetto e considerato inviolabile.
Stiamo arrivando nella nostra zona universitaria antirazzista e antifascista per riprenderci cio' che ci spetta! #Bologna #Unibo @Infoaut pic.twitter.com/2CGeFPW3Bw
— Cua Bologna (@CuaBologna) February 10, 2017
Alla base della scelta del rettorato vi è l’evidente degrado che riguarda da anni la zona universitaria di via Zamboni e Piazza Verdi, con la conseguente moltiplicazione di episodi di spaccio e furto nel cortile di Lettere affacciato sulla via, da tempo anche punto di ritrovo per tossicodipendenti e senza tetto. Poiché la gestione della città studi e il mantenimento dell’ordine pubblico vedono da anni un fallimento da parte dell’amministrazione comunale, il rettorato ha agito secondo le possibilità concesse dal suo raggio d’azione, allo scopo di mantenere un decoro nei palazzi storici dell’Università. Giustificata quindi come una procedura di tutela degli spazi studenteschi, la decisione di installare i tornelli superabili solo se in possesso di badge ha implicato la proibizione dell’accesso alla biblioteca ai non studenti (salvo autorizzazioni temporanee per consultazione).
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La trovata ha acceso le proteste del Collettivo Universitario Autonomo, deciso a volere i palazzi dell’Ateneo aperti, come luogo pubblico per lo scambio culturale.
Gli ingressi vincolati dall’uso dei badge sono già presenti nella maggioranza dei plessi gestiti dall’Alma Mater Studiorum. In molti tra gli stessi studenti quindi non hanno condiviso le posizioni del CUA. Tanto più perché nel passato del Collettivo sono presenti precedenti di provocazione gratuita nei confronti delle Istituzioni, di vandalismo e di occupazioni degli spazi universitari che hanno avuto come solo risultato quello di ostacolare il normale svolgimento delle lezioni o dell’esercitazione del diritto allo studio per la gran parte dei frequentatori dell’Ateneo. Quest’ultima infatti risulta essere la principale argomentazione dell’altra faccia del popolo studentesco, che ha tacciato il Collettivo di aver agito senza pensare alle conseguenze delle proprie proteste.
https://twitter.com/GliOperai/status/829772471402373125
Benché sia opinione condivisa che la decisione di coinvolgere la polizia sia stato un atto grave ed evitabile da parte di Ubertini, centinaia di studenti hanno dichiarato sulla pagina Facebook del CUA, sulle bacheche di Lettere e sui propri profili personali, la propria dissociazione nei confronti dell’azione del Collettivo. Emblematico il commento di una studentessa subito dopo gli scontri:
Quello che è successo oggi è gravissimo e gran parte della responsabilità è vostra. Due premesse doverose. Uno. Inviare la celere e caricare all’interno di una biblioteca universitaria è un atto vergognoso. Perché è un atto che mira a punire, a dare una lezione, a creare disagio e spavento piuttosto che un atto di ordine pubblico. E soprattutto non era indispensabile, anzi era pericoloso considerate le dimensioni del 36, la scarsa possibilità di fuga, la grande affluenza di studenti, il panico che poteva generarsi. Chi ha mandato la celere non ha preso in considerazione le conseguenze possibili e ha mancato di rispetto chi non c’entra niente. Due. Mi dispiace se qualcuno si è ferito. Detto ciò, non sono per niente d’accordo con quello che state facendo. A mio avviso la vostra non è lotta, è una corrida tra voi e i poliziotti e voi siete il torero. Perché vi piace provocare il toro, vi piace lo scontro e se venite incornati passate per gli eroi e il toro per la bestia. Sia chiaro. A me la celere non piace, soprattutto dentro la mia università. Ma neanche il vostro atteggiamento. Vi fate portavoce degli studenti, ma avete pochissimo seguito. Perché non badate davvero alle necessità degli studenti, siete solo alla ricerca di cause, rivendicazioni, motivi di protesta solo per ribadire la vostra esistenza, dare una giustificazione al vostro essere “antagonisti”. Non vi dirò mai di stare zitti, di fare quello o di fare questo perché non fa parte del mio modo di essere. Però vi consiglio di riflettere sulle vostre priorità, le vostre cause e le vostre responsabilità. E soprattutto sul vostro ruolo. E da studentessa a studenti vi chiedo, cosa siamo davvero chiamati a fare oggi in Italia (e nel mondo) in quanto studenti? Qual è il nostro ruolo, la nostra missione?
Nella serata di ieri è stata lanciata una petizione sulla piattaforma Change.org che nelle ultime 24 ore ha raggiunto il numero di quasi 5000 firme, a fronte delle 600 raccolte dagli attivisti del Collettivo per la rimozione dei tornelli. Lo scopo della petizione è quello di manifestare un forte dissenso nei confronti delle modus operandi del CUA, da tempo accusato di essere incapace di svolgere realmente il ruolo di rappresentanza del pensiero studentesco.
Quello che avviene in queste ore nel capoluogo emiliano catalizza l’attenzione non solo per le conseguenze della solita guerriglia tra universitari e Istituzioni, ma anche per la presenza di una vera e propria scissione interna al corpo degli studenti, ormai incapace di scegliere tra il solo bifronte di vertici e opposizione militante. Gli eventi presentano la necessità di una rivalutazione dei mezzi e dei metodi di tutela dei diritti allo studio e alla condivisione degli spazi all’interno di uno scenario cittadino da troppo tempo allo sbando.
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