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Benvenuti in un nuovo episodio di Arabeschi
L’argomento di oggi, ovvero quello dell’Hijāb (حجاب), è considerato uno tra i più dibattuti della dottrina e della condotta musulmana e, come cercheremo di vedere di seguito, numerosi sono i punti di vista attraverso i quali possa essere interpretato. La nostra rassegna non ha la presunzione di essere esaustiva in quanto si tratta di un lavoro di sintesi e di una guida all’interno del vasto campo dell’ermeneutica islamica, ma nella speranza di portare intanto ad un’iniziale chiarezza, avremo modo di toccare più o meno direttamente il tema di oggi anche nel futuro.
Il termine Hijāb (حجاب), letteralmente, significa “tenda” ma, con il tempo e con l’evoluzione dell’utilizzo del termine, esso oggi designa, tra le altre cose, il “velo” tipicamente indossato dalla donna musulmana nelle società odierne. Questa specifica e moderna connotazione ha fatto sì che lo hijāb designasse oggi quell’indumento più diffusamente indossato dalle donne musulmane, soprattutto in occidente, composto da uno o due foulard avvolti intorno a volto e al collo con lo scopo di coprire e allo stesso tempo adornare la parte superiore del corpo di una donna; esso ha assunto numerose forme, divenendo oggetto di utilizzo anche nel campo della moda.
Esistono, però, nella vastità dei paesi musulmani numerosi altri tipi di indumenti, i quali nulla avevano inizialmente a che fare con i dettami religiosi, ma che facevano parte, invece, del bagaglio culturale e tradizionale dei paesi nei quali l’Islam è approdato e che, principalmente a seguito di strumentalizzazioni politiche e di potere, sono stati fatti ricadere sotto la categoria di hijāb, in quanto indumenti coprenti le parti più seduttive del corpo femminile; nello specifico, però, essi si designano con nomi ben precisi quali, per citarne alcuni: Niqāb (نقاب), Chādor (چادر – parola fārsī e non araba, proprio a designare l’appartenenza culturale e non religiosa), Burqa’ (برقع) e Khimār (خمار), ma ne esistono molti altri.
Passando adesso alle fonti e alla loro esegesi, il Versetto dell’Hijāb (versetto 53 della Sura 33 del Corano) è disceso attraverso la rivelazione divina al Profeta nell’anno 5 dell’Egira (627 d.C.), nel giorno del matrimonio del Profeta con sua moglie e cugina Zaynab. Secondo la versione tramandataci da Tabari, successe quel giorno che il Profeta incaricasse un suo discepolo di invitare la comunità al suo pranzo nuziale. Le persone si susseguirono in gran numero, mangiando a gruppi e andandosene per permetter ad altri di avere il proprio turno. Dopo molte ore, il Profeta ordinò allo stesso discepolo di terminare il pranzo: in quanto persona estremamente cortese e riservata il Profeta non avrebbe mai direttamente chiesto ad alcun ospite di andarsene, ma allo stesso tempo egli era estremamente impaziente di rimanere solo con la sua nuova sposa. Sebbene la maggior parte dei commensali se ne fossero andati, tre di loro si erano trattenuti, in qunto immersi nelle loro discussioni erano rimasti ignari di quello che stava succedendo attorno. Contrariato il Profeta uscì di casa e fece visita a tutte le altre sue mogli nelle loro case, per ingannare il tempo aspettando che gli ospiti se ne andassero, senza che dovesse chiederglielo direttamente. Dopo molto tempo qualcuno corse a comunicargli che gli ospiti se n’erano andati e nel momento in cui il Profeta fu con un piede dento e uno fuori dalla camera nuziale, dove ancora rimaneva il suo discepolo Anas bin Malik, il Profeta fece scendere tra di loro una tenda (indicata nel testo coranico col termine sitr ستر) e in suo soccorso scese dal cielo la rivelazione del versetto del Hijāb:
“Oh voi che credete, non entrate dentro l’appartemento del Profeta, salvo che ne abbiate l’autorizzazione, come invitati per un pranzo. E anche in quel caso, entratevi solo quando il pasto sia quasi pronto per essere servito, […] e ritiratevi non appena abbiate terminato di mangiare, senza perdervi in conversazioni familiari. Una tale incuria fa male al Profeta che ha pudore di dirvelo. Ma Dio non ha vergogna di dire la verità.“
Lo Hijab rappresenta dunque una barriera non tanto tra un uomo e una donna ma tra due uomini, ovvero il suo primo scopo è stato quello educativo di una società che si stava appena costituendo e che aveva bisogno di una guida comportamentale oltre che religiosa e politica, dunque, la discesa del Hijāb tra il Profeta e il suo discepolo sta esattamente a indicare la necessità di separazione tra la sfera pubblica e quella privata. La radice hjb del termine Hijāb, rimanda infatti al concetto di “nascondere”, ciò che, dunque, è delimitato da un hijab è uno spazio interdetto e privato, appunto. Il concetto originario di questa radice si è poi arricchito ulteriormente nel tempo indicando la responsabilità di coloro che proteggono la chiave della Ka’ba o designando il “Hijāb del principe”: gli uomini più potenti della comunità musulmana, quali califfi e re, facevano ricorso ad un velo per sottrarsi dagli sguardi del loro entourage e questo costume si è trasformato ulteriormente una volta introdotto in Andalusia, in Nord Africa e in Egitto, quando la dinastia Fatimide ha elevato la figura del califfo a una dimensione sacra che, in quanto oggetto di culto, doveva sottrarsi nella misura di quanto possibile agli sguardi dei fedeli: veniamo qui, dunque, a uno strumento di separazione tra ciò che è sacro e ciò che è profano.
Fino a questo momento abbiamo presentanto una consuetudine nell’utilizzo del termine Hijāb con una connotazione positiva di preservazione, protezione e rispetto. L’interpretazione e l’uso che di questo termine viene fatto nelle fonti Sufi, invece, ci dà uno spunto di discussione differente. In questo caso lo hijab ha una connotazione negativa in quanto rappresenta l’incapacità di avvicinarsi a Dio. L’uomo coperto da un velo è guidato da passioni sensoriali o dalla ragione e per questo motivo non percepisce nella propria interiorità la luce divina ed è incapace di sperimentare stati di elevazione dello spirito e di ascesi, tipiche della disciplina Sufi. In questo caso dunque non si punta più a preservare lo hijab ma a distruggerlo in nome della conoscenza divina.
Solo alcune interpretazioni di religiosi/politici moderni hanno voluto identificare con hijāb lo strumento di protezione della donna attraverso il loro confinamento in numerose società contemporanee.