Diverse associazioni che si occupano di diritti umani hanno denunciato le condizioni di vita negli hotspot delle isole.
Nelle ultime due settimane cinque migranti hanno perso la vita in Grecia a causa delle temperature rigide e di un’accoglienza che non sempre funziona.
Il 24 gennaio un migrante egiziano di 21 anni è morto nell’hotspot di Moria, a Lesbo. Non sono ancora state rese note le cause del suo decesso. I suoi resti, dopo una prima autopsia sull’isola, sono stati inviati ad Atene per ulteriori accertamenti. Per ora, sembrerebbe che sia morto per aver inalato dei gas nocivi, nel tentativo di scaldarsi a causa delle temperature rigide.
Il 25 gennaio Benjo Massoud, un papà iracheno di 42 anni, è morto nell’hotspot di Samos, dove viveva insieme alla moglie e ai tre figli. Benjo era diabetico. La mattina del 25 gennaio era stato visitato dal medico del campo per un dolore al petto. Mentre aspettava i risultati dell’elettrocardiogramma, è morto nell’ospedale di Samos. Era arrivato sull’isola i primi di dicembre e nessuno si è mai accorto dei suoi problemi cardiaci.
Tre giorni dopo, il 28 gennaio, è morto un neonato di due mesi sull’ambulanza che lo stava portando in ospedale dal campo di Ritsona.
Il 28 gennaio, un altro profugo è deceduto a Moria. Aveva quarantasei anni e veniva dalla Siria. È morto per ipotermia, così come l’amico con cui condivideva la tenda, venuto a mancare solo quattro giorni prima.
Il 30 gennaio un profugo pakistano è morto nello stesso hotspot a Lesbo.
In seguito a queste morti, l’associazione Advocates Abroad sta considerando di intraprendere un’azione legale contro il governo per negligenza.
A Mitilene, sull’isola di Lesbo, è prevista una manifestazione per il 3 febbraio. Coordinatori, volontari, attivisti e profughi marceranno in segno di protesta per le recenti morti nell’hotspot di Moria. Alla marcia seguirà un minuto di silenzio, organizzato da Lesvos Solidarity per ricordare chi ha perso la vita sull’isola.
La fragilità dell’accoglienza greca e le scarse condizioni di vita sono confermati anche dal numero dei tentati suicidi che è sempre in aumento.
Solo nelle ultime due settimane nell’hotspot di Samos sette persone hanno cercato di togliersi la vita, per fortuna, senza riuscirci.
Un ragazzo si è arrampicato su un albero minacciando di impiccarsi, un altro si è ferito numerose volte, un altro ancora ha cercato di tagliarsi con un rasoio, mentre altri quattro hanno abusato di medicinali.
Nell’hotspot di Samos, qualche giorno prima della morte di Benjo Massoud, i profughi avevano protestato chiedendo aiuto e denunciando la mancanza di servizi medici nel campo. I dottori non sono abbastanza e non riescono a visitare tutti i malati.
Le proteste sono numerose in tutte le isole e sono presenti da mesi. I profughi protestano anche con scioperi della fame, come quello di Mohamed Abdilgawad. Mohamed viene dall’Egitto e il 13 Dicembre ha iniziato uno sciopero della fame chiedendo l’annullamento del suo rimpatrio. La sua richiesta di asilo è stata respinta e Mohamed si trova agli arresti nella Stazione di Polizia di Moria. Il trentaduesimo giorno di digiuno è stato trasferito nell’ospedale dell’isola. Dieci giorni dopo è stato dimesso, in condizioni fisiche precarie; nonostante questo, Mohamed si trova ancora agli arresti, in attesa del rimpatrio. Il 3 gennaio, Mohamed ha scritto una lettera sulla sua condizione.
“Questa è umanità. Non giudicare le persone per il loro colore o religione. Siamo tutti uguali. Se mi stanno punendo per essere umano, questa è una tortura: una vita senza onore, decenza, giustizia”.
Il 23 gennaio i sindaci di Lesbo, Chios, Samos, Kos e Leros hanno richiesto in un incontro ad Atene con il Primo Ministro Alexis Tsipras delle misure per contrastare il sovraffollamento dei centri sulle isole. Hanno domandato il trasferimento di centinaia di migranti nella parte continentale del Paese, dove i procedimenti per le richieste di asilo sono più veloci. Molti profughi vivono da mesi sulle isole a causa dell’accordo fra l’Unione Europea e la Turchia: in seguito al patto, i migranti non possono viaggiare liberamente dalle isole al continente. Molti di loro non hanno ancora saputo nulla riguardo le loro domande di asilo.
Diverse associazioni che si occupano di diritti umani hanno denunciato le condizioni di vita negli hotspot delle isole. Oltre alle strutture inadatte a ospitare un numero così alto di persone, non ci sono programmi a sostegno delle persone vulnerabili. Donne, minori non accompagnati e altri soggetti a rischio non sono protetti da abusi sessuali, violenze e maltrattamenti anche da parte della polizia. In vari hotspot, infatti, sono stati segnalati casi di abusi.
Molti migranti, inoltre, soffrono di disturbi psicologici, accentuati dalle pessime condizioni di vita.
“È inaccettabile aiutare queste persone in Grecia a curare i traumi causati dalle condizioni di vita nei campi e non dalla guerra,” secondo Loic Jaeger di Medici Senza Frontiere.
Il Ministro greco per le Migrazioni ha richiesto delle indagini in seguito alle morti che mostrano chiaramente la debolezza dell’accoglienza nei campi. Stavros Theodorakis, leader del partito To Potami, domanda “quante morti dovremo aspettare affinché il governo si svegli”. I media greci imputano la morte dei due compagni di tenda a Moria all’inalazione di gas nocivi: secondo la polizia, le vittime prima di andare a dormire hanno portato nella loro tenda una stufetta a carbone per riscaldarsi e la scarsa ventilazione della tenda avrebbe causato l’avvelenamento da monossido di carbonio. Tuttavia, l’autopsia non ha ancora reso note le cause dei decessi. Nel caso in cui l’ipotesi dell’avvelenamento venisse confermata, significherebbe che se i due fossero stati ospitati in strutture idonee e riscaldate, probabilmente non sarebbero morti.