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Benvenuti a Eco 

la rassegna stampa settimanale dedicata a energia, ambiente, ecologia e sostenibilità.

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In questo episodio, tanto petrolio: dai disastri dell’economia venezuelana alle continue fuoriuscite in Texas, passando per i robot che lavorano sulle piattaforme off-shore.

1. Il petrolio non salverà il Venezuela

Nell’ultimo anno il Venezuela ha offerto una desolante dimostrazione degli effetti di un’economia che si avvia verso la rovina: da mesi il cibo scarseggia, gli ospedali mancano di garze e antibiotici, e il mercato nero è sempre più florido. Nemmeno l’essere il decimo produttore mondiale di petrolio — anche se negli ultimi dieci anni la produzione è andata calando, complici i pochi investimenti per migliorare l’efficienza — pare avere un qualche effetto: la compagnia petrolifera statale (PDVSA) — oltre ad essere in odor di fallimento, a detta degli analisti è talmente a corto di soldi da non poter garantire gli standard minimi affinché le proprie petroliere possano navigare in acque internazionali, portando il greggio a destinazione. Peccato che, proprio con i soldi derivanti dal commercio del petrolio, il Venezuela finanzi la maggior parte dei servizi pubblici. Inutile sottolineare come i recenti aumenti del prezzo del greggio siano troppo lievi, per poter essere in qualche modo d’aiuto al paese.

2. Una bella mappa

O meglio, una mappa ben fatta di un fenomeno drammatico — le fuoriuscite dalle condutture di petrolio negli USA, dal 2010 ad oggi (P.S: il Texas è messo malissimo) — e delle immagini  (by NASA) che dovrebbero farci riflettere, oltre che spaventarci, su come pochi fenomeni siano tanto distruttivi quanto il cambiamento climatico. E ancora, un’altra cartina dell’EIA che mappa tutto il sistema energetico degli Stati Uniti.

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3. Saudi Aramco vuole investire sulle rinnovabili (davvero)

Considerato che il mondo gronda petrolio, qualcuno alla Saudi Aramco — la compagnia petrolifera nazionale saudita, i cui dati più recenti indicano un fatturato che si aggira sopra i trecento miliardi di dollari — pare aver pensato sia meglio diversificare un poco gli investimenti (anche in Italia, con le dovute differenze, ci si sta muovendo in questa direzione). Bloomberg, infatti, riporta come vi sia la volontà di investire all’incirca 5 miliardi di dollari in compagnie che si occupano di rinnovabili, con l’intenzione di diventare il maggior esportatore non solo di energie rinnovabili, ma anche di tecnologie correlate alle rinnovabili. Se il progetto avesse successo, l’Arabia Saudita riuscirebbe a rafforzare e a mantenere intatta la propria influenza sui mercati dell’energia anche sul lunghissimo periodo — effettivamente fino ad oggi era solo il secondo esportatore mondiale di petrolio, nonché capofila dell’OPEC.

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4. Robot, robot dappertutto

Le piattaforme petrolifere sono luoghi poco sicuri, solitamente in zone remote, in cui le condizioni lavorative sono difficili. Perché non farci lavorare un robot? È quello che numerosi dirigenti, ai piani alti di parecchie compagnie petrolifere, hanno pensato. Bene, dopo averlo pensato, sono passati ai fatti. Tempi duri, quindi, per i lavoratori — umani —  impegnati nell’industria del petrolio che, solo negli USA, dà lavoro a quasi dieci milioni di persone e che, solamente quest’estate, aveva un piccolo problema — ironia della sorte, mancava di lavoratori, dopo una spaventosa serie di licenziamenti.

5. Trump e le rinnovabili, sad!

Il neo-eletto presidente degli Stati Uniti e il mondo dell’energia pulita — per adesso — sembrano viaggiare su binari non comunicanti. Eppure vi sarebbero una serie di buone ragioni per guardare alle rinnovabili con un occhio di riguardo. I posti di lavoro, ad esempio. L’Institute of Electrical and Electronic Engineers (IEEE) riporta come, secondo un report dello U.S Department of Energy, il settore dell’energia solare negli USA abbia impiegato — solamente lo scorso anno —  il doppio dei lavoratori che impiega l’industria del carbone, del gas e del petrolio. Per non farci mancare nulla, ecco una mappa che mostra la percentuale di energia rinnovabile, sul totale prodotta, stato per stato. Chapeau.

6. Big Oil esce da un brutto 2016

Ultimo quadrimestre duro per alcune delle maggiori compagnie petrolifere del mondo. Prima Chevron, poi Exxon/Mobil e ora Royal Dutch/Shell (in attesa di British Petroleum) hanno pubblicato i reports delle loro performance negli ultimi quattro mesi del 2016, confermando le difficoltà che i produttori hanno incontrato nell’anno solare appena concluso. Il prezzo del petrolio, che nel 2016 ha oscillato strettamente tra 50$ e 55$ al barile, ha ristretto i guadagni e costretto le aziende ad indebitarsi per potersi permettere investimenti migliorativi. Ecco perché nessuna delle tre aziende è riuscita a totalizzare dei profitti all’altezza delle aspettative, e la tendenza comune è stata quella di diminuire i costi e alleggerire i debiti.


Eco è a cura di Giovanni Scomparin, Nicolò Florenzio e Tommaso Sansone.

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