Come sopravvivere all’Apocalisse, secondo la Silicon Valley

I miliardari statunitensi sono in preda al panico da fine del mondo, e non hanno tutti i torti. Ma la salvezza non è alla portata di tutti.

Come sopravvivere all’Apocalisse, secondo la Silicon Valley

I miliardari statunitensi sono in preda al panico da fine del mondo, e non hanno tutti i torti. Ma la salvezza non è alla portata di tutti.

In un lungo reportage pubblicato pochi giorni fa dal New Yorker, Evan Osnos offre un’interessante panoramica dell’universo dei miliardari survivalisti americani — ossia, super-ricchi contagiati dall’idea che il mondo sia sull’orlo di un collasso imminente, e che quindi sia necessario correre ai ripari, attrezzandosi per il più ampio spettro possibile di catastrofi eventuali: disastri naturali, guerre civili, rivolte sociali, olocausti nucleari.

I prepper — come si chiamano in gergo i nerd della sopravvivenza in condizioni estreme — non sono una novità: da anni formano una vera e propria sottocultura che orbita attorno a forum, siti specializzati e canali YouTube, e che non manca di fare proseliti anche in Italia. Nel 2012 sono stati oggetto di un reality show di successo prodotto da National Geographic — ma la presenza del survivalismo dell’immaginario pop della cultura occidentale è testimoniata anche soltanto dalla fama di personaggi come Bear Grylls.

La novità è l’improvvisa esplosione di popolarità del fenomeno prepper tra i settori più benestanti della popolazione statunitense, e in particolare tra i mogul del tecno-capitalismo della Silicon Valley. Tra loro c’è per esempio Steve Huffman, amministratore delegato di Reddit, che ha deciso di farsi curare chirurgicamente la miopia per evitare di dover dipendere dagli occhiali in caso di fine del mondo, o Marvin Liao, ex dirigente di Yahoo, che ha fatto scorte di acqua e cibo e ha preso lezioni di tiro con l’arco — dato che sulle armi da fuoco non si può fare troppo affidamento.

Potrebbe far parte dell’allegra brigata anche Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, famoso soprattutto per aver fatto fallire Gawker e per aver sostenuto Donald Trump in largo anticipo rispetto ai suoi colleghi. Secondo quanto ha riportato il New Zealand Herald, Thiel avrebbe acquistato una proprietà di 477 acri in Nuova Zelanda, destinazione preferita per i miliardari in fuga dall’apocalisse e interessata ultimamente da una sorta di corsa all’acquisto, per la costruzione di rifugi isolati e resort.

***


Cool water, after shave e linea cosmetica
on line e nei flagship store Erbaflor

[button color=”white” size=”normal” alignment=”none” rel=”follow” openin=”samewindow” url=”http://www.erbaflor.com/it/tobacco-road”]Scopri di più[/button]

***

Anche la febbre della sopravvivenza ha il suo indotto economico: sono tutti occupati gli appartamenti — da tre milioni di dollari ciascuno — del Survival Condo Project, un complesso abitativo extra-lusso a prova di attacco nucleare ricavato da un vecchio deposito missilistico della Guerra fredda, in Kansas. I suoi residenti potranno contare su sorveglianza armata, almeno cinque anni di autonomia energetica e alimentare, piscina interna e finestre LED con panorama personalizzabile.

Perché tutto questo?

Innanzitutto perché è razionale, come spiega a Osnos Yishan Wang, amministratore delegato di Reddit dal 2012 al 2014: “La maggior parte delle persone, semplicemente, assume che gli eventi improbabili non capitino, ma i tecnici tendono a valutare il rischio matematicamente. I preppers dell’universo tech non necessariamente pensano che un collasso generale sia probabile. Lo considerano come un evento remoto, ma con serie conseguenze negative, e quindi, considerata la quantità di soldi che hanno, spendere una frazione del loro capitale netto per premunirsi contro questa eventualità… è una cosa logica da fare.”

Ma non si tratta soltanto di un calcolo delle probabilità: la Silicon Valley, per la sua fisionomia culturale, è un terreno particolarmente fertile per escatologie e millenarismi 2.0. È facile che vi si trovino atteggiamenti di segno opposto: l’incrollabile ottimismo nella facoltà taumaturgiche della tecnologia si combina all’inquietudine per i suoi imprevedibili (o prevedibili) effetti indesiderati. D’altronde la cifra primaria della singolarità tecnologica verso cui l’élite della Bay Area guida gloriosamente il mondo è proprio l’imprevedibilità: potremmo raggiungere l’immortalità sotto forma di coscienze virtuali, ma anche finire sotto la dittatura di una stirpe di macchine intelligenti. Una rivolta potrebbe investire le varie Mountain View e Palo Alto, guidata dalla rabbia contro la sempre più diseguale distribuzione della ricchezza, o contro i responsabili dell’automazione che distruggerà gran parte del mercato del lavoro nei prossimi decenni. O, più prosaicamente, un terremoto potrebbe finalmente affondare mezza California nel Pacifico.

L’ansia della fine del mondo non ha mai abbandonato l’immaginario occidentale dalla Guerra fredda in avanti, e la cultura pop se n’è sempre nutrita, generando un processo di osmosi tra realtà e fantasia: lo stesso Steve Huffman fa risalire la propria “conversione” prepper alla visione di Deep Impact, il film catastrofico del 1998. L’apocalisse è nei nostri occhi com’era già nei nostri occhi l’immagine delle Torri Gemelle in fiamme prima ancora che fosse trasmessa in mondovisione, come ha mostrato recentemente Adam Curtis nel suo HyperNormalisation.

L’abbattimento dei confini tra realtà fattuale e immaginario — non un fenomeno nuovo, ma amplificato dall’esposizione abnorme alle immagini cui siamo sottoposti — è favorito dalla rapidità dell’evoluzione tecnologica, che trasforma la fantascienza in contemporaneità. Non per caso, il genere sta vivendo una nuova primavera, specialmente nelle sue declinazioni distopiche. Negli Stati Uniti di Trump, 1984 di Orwell è tornato ad essere un best seller.

Rapidità significa anche perdita di controllo, così che nemmeno gli alfieri dello sviluppo tecnologico possono pretendere di poter irregimentare o pianificare il futuro — cioè il presente. Il sistema interconnesso che si è venuto a formare nell’ultimo secolo va oltre la comprensione non soltanto dei singoli, ma anche degli esseri umani come specie. Non si capisce appieno come faccia a stare in piedi: è naturale aver paura che possa crollare da un momento all’altro, senza che si sia in grado di prevedere quando né capire perché.

L’umanità, insomma, si muove sul ciglio di un burrone invisibile, in una condizione di instabilità massima e controllo minimo — ma la salvezza non è per tutti, almeno finché non si potrà organizzare un esodo interplanetario di massa, il che non sembra all’orizzonte. Si salveranno i più ricchi — e in larga misura, quindi, si salveranno i colpevoli.