Pochi giorni fa, la televisione di Stato egiziana ha trasmesso il video – in seguito consegnato alla Procura italiana – che ritrae alcuni estratti dagli ultimi momenti di Giulio Regeni, torturato e ucciso al Cairo nel febbraio 2016. Era scomparso esattamente un anno fa, il 25 gennaio. Da allora le indagini sono proseguite a rilento, tra depistaggi e messinscene clamorosi — la pantomima infinita delle autorità egiziane e l’impotenza endemica di quelle italiane.
Nel filmato riconosciamo subito Regeni. Parla con Mohammed Abdallah, capo di un’unione non ufficiale di venditori ambulanti. Discutono della richiesta di finanziamento fatta alla fondazione inglese Antipode, che aveva messo a disposizione 10.000 sterline per progetti di inclusione sociale nei Paesi in via di sviluppo.
La versione del video rilasciata pubblicamente dai media italiani, della durata di 4:29, riguarda lo stesso segmento di conversazione del video CCTV diffuso dalla tv di Stato egiziana, che tuttavia dura 3:46. A un attento confronto delle due versioni, è possibile notare tagli e discrepanze lungo la linea temporale. Il differente montaggio e l’omissione di alcune frasi pronunciate da Giulio sono stati operati non solo in modo tendenzioso, ma lasciano addirittura intendere che Regeni collaborasse con i servizi segreti britannici, come scriveva Repubblica nell’edizione di ieri.
“Si potrebbe pensare che io abbia voce in capitolo, ma in realtà non ho potere riguardo il programma in Gran Bretagna, non conosco le persone che operano all’interno dell’istituzione responsabile dei finanziamenti,” spiega Regeni ad Abdallah, quando lui gli chiede di sollecitare e accelerare il più possibile l’arrivo dei fondi inglesi per una “questione personale urgente” — cure mediche per la moglie e figlia.
Continua: “Che cosa dovrei fare? Mandare una mail dicendo che abbiamo bisogno di soldi ora, solo perché mancano due settimane al 25 gennaio [anniversario della rivoluzione egiziana n.d.r]?”
“Sarebbe possibile?” chiede Abdallah. Regeni scuote la testa, agita le braccia: “No, sarebbe poco professionale per me”.
“E se ne fossimo a conoscenza solo noi due, senza che loro lo sappiano?” incalza Abdallah, ma senza successo. Conclude infatti Giulio, con alcune delle parti omesse nella versione per la tv egiziana: “Io non ho alcun potere, sono solo uno straniero che sta conducendo una ricerca in Egitto. Ciò che per me è importante è il mio progetto di ricerca. Voglio che la tua associazione di venditori ottenga quel denaro in modo ufficiale, come disposto dagli inglesi. Non desidero nient’altro.”
Chi conosceva Giulio ed era informato sul suo lavoro non ha mai smesso di difenderlo, ma i media di stato egiziani hanno a lungo suggerito la tesi per cui Regeni stesse in realtà cercando di suscitare disordini all’interno del Paese. Come ricorderete, Abdallah ha ammesso lo scorso dicembre la sua collaborazione con i servizi segreti egiziani. Aveva inoltre denunciato Giulio come spia alle autorità: “Era un ragazzo straniero che poneva strane domande sulla sicurezza nazionale – l’ultima volta che ho parlato con lui al telefono era il 22 gennaio, ho registrato la telefonata e l’ho inviato al Ministero dell’Interno.”
Tre giorni dopo – il 25 gennaio 2016 – Giulio scompare. Il suo corpo senza vita viene ritrovato in una strada fuori dal Cairo il 3 febbraio, con evidenti segni di tortura e sevizie. Da allora, amici familiari e attivisti non hanno mai smesso di chiedere verità riguardo il suo omicidio. E anche ora che la verità sembra più vicina, restano chiarissime e dure le parole dei genitori Claudio e Paola, che a inizio dicembre ribadivano al procuratore egiziano Sadek: “Ci interessa tutta la catena. Non soltanto alcuni anelli. E non ci basta sapere chi: vogliamo capire perché Giulio è stato ucciso.”
Oggi, per commemorare l’anno passato dal giorno della sua scomparsa, molte iniziative avranno luogo in diverse città d’Italia, la principale a Roma, in collaborazione con La Sapienza. Manifestazioni programmate anche a Cambridge e a Bruxelles nel pomeriggio, davanti al Parlamento Europeo.
Domenica 22 gennaio, lo stesso giorno in cui il video è stato pubblicato, l’Egitto ha finalmente accettato la richiesta da parte dell’Italia di inviare esperti per cercare di recuperare i filmati da telecamere di sicurezza in una stazione della metropolitana del Cairo dove Regeni è stato avvistato il giorno in cui è stato rapito, nella speranza di trovare indizi su le circostanze della sua scomparsa.
Il giorno in cui Regeni è scomparso segna anche il quinto anniversario della rivolta che ha portato alla caduta del dittatore Hosni Mubarak. La presenza della polizia pesante sulle strade del Cairo quella notte – così come sei testimoni hanno svelato in un’indagine di Reuters – porta a forti sospetti che le forze di sicurezza egiziane siano effettivamente dietro il rapimento e la morte di Giulio Regeni.