Da diversi mesi a questa parte è evidente il progressivo slittamento a destra del baricentro politico del Movimento 5 Stelle, traghettato verso un abbraccio post elettorale con Salvini che sembra quasi ineluttabile.
Su un articolo di Repubblica uscito ieri, Tommaso Ciriaco fa notare come Davide Casaleggio, subentrato nel Movimento dopo la morte del padre Gianroberto, stia lavorando con energia all’avvicinamento a destra. Con la benedizione di Beppe Grillo e una serie di piccole mosse di apertura progressive. Sempre ieri, Grillo ha rilasciato un’intervista molto interessante al Journal du Dimanche, in cui — tra le altre cose — ha lodato l’asse Trump—Putin e il protezionismo economico.
Il dibattito sull’intervista si è subito impigliato a una polemica sulla traduzione che può sembrare vacua, ma che se confrontato con quello sulle dimensioni della folla all’insediamento di Trump rivela come Grillo non solo sia affine alla nuova destra, quella che in America è chiamata alt—right, ma ne sia addirittura un precursore. Come al solito per Grillo i colpevoli sono i giornalisti che gli avrebbero messo in bocca l’espressione “uomini forti” riferita allo stesso Trump e Vladimir Putin. La citazione che corre sulle pagine dei giornali di oggi è questa:
La politica internazionale ha bisogno di uomini di stato forti come loro. Lo considero un beneficio per l’umanità. Putin è quello che dice le cose più sensate in politica estera
Sul blog di Grillo, per fortuna, si può leggere la traduzione autentica (sic) — poco importa che gli editor del settimanale francese abbiano confermato la versione pubblicata (in cui c’è scritto proprio hommes d’etat forts), specificando Grillo e il suo staff hanno riletto e validato il testo. La traduzione autoproclamatasi autentica dice così:
La politica internazionale ha bisogno di statisti forti come loro. Considero questo un vantaggio per l’umanità. Putin è quello che dice le cose più sensate sulla politica estera
Tra alcune lingue molto distanti una stessa frase o una stessa parola può essere tradotta in modi sostanzialmente diversi — ad esempio, esistono quaranta differenti traduzioni nelle lingue europee del Tao Te Ching, un fondamentale testo sacro cinese. Tra l’italiano e il francese però le differenze sono minime, e sembra assurdo che ci si possa mettere a sindacare su un cavillo di traduzione simile, ed essere anche presi sul serio. Anche perché, come dire, statisti forti e uomini di Stato forti sono sinonimi.
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Qualche giorno fa lo staff di Trump si è messo a sindacare sulle effettive dimensioni della folla accorsa all’inaugurazione del nuovo presidente. Alcune foto mostrano palesemente che ci sarà stata forse la metà delle persone presenti il giorno dell’insediamento di Obama. Ciononostante, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha deciso di negare la veridicità delle foto e della buona fede dei media — e Kellyann Conway, tra i principali consiglieri di Trump, ha sfacciatamente difeso le dichiarazioni del suo collega, definendo le sue bugie “fatti alternativi.”
Non c’è molta differenza tra queste sparate e le presunte rettifiche sulla traduzione di Grillo: entrambe sembrano partire dal presupposto che, tanto, il Paese e la propria base si berranno qualsiasi versione dei fatti, in barba alla verità. E il bello è che questo succede: la colpa, in quest’ottica, è sempre dei media, che danno esclusivamente notizie tendenziose e false — anche quando riportano l’ovvio. È una nuova forma di censura: se le destre del Novecento soffocavano il potere della stampa e dei fatti oggettivi chiudendo testate o prendendone il controllo, adesso sembrano aver capito che è inutile darsi tanta pena — basta far credere a un numero sufficiente di persone che tutti i giornali mentano.
Oltre a questa chicca rivelatoria, anche il resto dell’intervista dà un’indicazione precisa della direzione verso cui sta navigando il Movimento. Già solo il concetto di “statisti forti” — o “uomini di Stato forti” che dir si voglia — dovrebbe far storcere il naso ai militanti del Movimento provenienti da una tradizione di sinistra. È però perfettamente in linea con il versante politico a cui in questo momento guarda Grillo e, a un livello più profondo, con la natura stessa del Movimento, costruito su un impianto verticistico che dà poteri alla base soltanto in apparenza.
Tutte le scelte importanti del partito–azienda sono prese a Milano, da Grillo e da un pugno di uomini della Casaleggio Associati, che si muovono in modo più simile a un reparto marketing di una grande azienda che a quello di un partito.
Vogliamo contare di più in Europa? Proviamo ad allearci coi liberali di Verhofstadt. Vogliamo andare al Governo anche col sistema proporzionale? Ridefiniamo il nostro programma in modo che Salvini, dopo le elezioni, non possa dirci di no.
In questo momento, la destra autodefinitasi “populista” è innegabilmente il cavallo su cui puntare se si vuole arrivare al potere. E così il Movimento, senza alcuna fatica, ha deciso di cavalcarlo anche lui, con uscite sempre più frequenti sulla necessità di regolare l’immigrazione clandestina, elogi a San Vladimiro Putin, eccetera.
Anche al suo interno, sotto il padrone Grillo la dinamica di potere si è sempre più alterata in favore di uomini come Luigi Di Maio, esponente di una destra nuova e dalla faccia pulita ma dai profondi legami di pensiero e anche di pratica con quella tradizionale. Mentre le correnti di sinistra, che pure hanno costituito e costituiscono una base importante nella macchina del Movimento, sono messe in secondo piano — almeno nel dibattito pubblico e nelle strategie per la conquista del potere. Di Maio è il probabile candidato alla Presidenza del Consiglio, l’uomo che potrebbe occupare la poltrona di Palazzo Chigi nel giro di un anno.