Dall’altro ieri, 20 Gennaio, arrivano le prime notizie relativamente rasserenanti riguardo al terremoto nel Centro Italia: il numero di superstiti supera le previsioni.
Si pensava si celasse un terribile destino dietro ai primi titoli di giornale, per i 35 ospiti nel resort di Farindola colpiti dall’impietosa combinazione di neve e sisma, mentre da ieri gli aggiornamenti si fanno più positivi.
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— GiornaleProCiv (@giornaleprociv) January 20, 2017
A chi contesta che la stampa si concentri eccessivamente sul caso dell’hotel Rigopiano, tralasciando la drammaticità di altre situazioni, si risponde che sicuramente vi è il fatto che si tratta di una vicenda emblematica. Ieri già lo si etichettava come il simbolo delle scosse di questi giorni, il fatto più toccante. Ma è in prima linea solo — e giustamente — a causa della sua centralità in quanto sventura?
Per molti se ne parla anche per altro. È il simbolo di come il fatalismo uccida: l’atteggiamento di leggerezza, rassegnazione e passività di fronte agli eventi, di arrendevolezza ad una presunta incapacità totale dell’uomo a prevenire. Da questa predisposizione, per alcuni insita nel nostro pensiero, deriva il rinvio ed il rifiuto a prendere scelte responsabili e prevenire catastrofi per quanto ci è possibile, per usare la retorica più comune: come se ci si sentisse immuni e capitasse sempre altrove.
Il terremoto è innegabilmente un evento imprevisto, ma la neve? Seppur nevicate di questo tipo siano eccezionali, alle pendici del Gran Sasso in pieno inverno potrebbero essere prese più in considerazione. Soprattutto se i meteorologi avevano avvertito che stesse per arrivare un’ondata violenta di maltempo.
Inoltre l’allerta meteo era stata tradotta in stato di emergenza di tipo B, lanciato dalla giunta abruzzese già dal 13 Gennaio.
Come è palese, nonostante ciò non è stato messo in atto nessun ordine tempestivo di sgombero degli edifici anche se era più che prevedibile che le strade si sarebbero rivelate inagibili di lì a poco, nessuno spazzaneve.
Non si può contestare la prevedibilità e la prevenzione adesso, a posteriori, puntando il dito come al solito sulla costruzione irresponsabile, non è infatti il caso dell’hotel Rigopiano che come ci dicono i geologi non era stato inserito tra zone a rischio nonostante si trovasse in fondo ad un canalone. Non vi erano nemmeno state assegnate particolari precauzioni.
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8 SUPERSTITI di cui DUE BAMBINE !
135 soccorritori sul posto – si è lavorato anche sulla #viabilità #rigopiano pic.twitter.com/MBo64oFo95— GiornaleProCiv (@giornaleprociv) January 20, 2017
Ma andando a monte della questione ci si domanda perché quell’hotel non fosse stato evacuato dopo l’allarme meteorologico, tenendo conto della sua posizione ai piedi degli Appennini e dello stato di emergenza sismica che vige dal 25 Agosto scorso.
I geologi contestano che l’hotel non sia stato chiuso immediatamente dopo il terremoto che coincideva con una nevicata che non si vedeva da cinquant’anni, ma non che vi dovrebbe essere un divieto di costruzione. In realtà gli ospiti erano pronti a lasciare il resort una volta iniziate le scosse, ma l’arrivo dello spazzaneve che avrebbe dovuto portarli via, è stato posticipato dalle 15:00 alle 19:00, due ore decisive.
Alcune critiche in questi giorni riconducono atteggiamenti dannosi di questo tipo ad una tendenza culturale italiana pericolosamente diffusa. Secondo questa visione il pensiero fatalista sta all’origine della scarsa propensione alla precauzione che si cerca poi disperatamente di sopperire con lo stato d’emergenza e la presa di coscienza tardiva.
C’è chi etichetta l’Italia come un paese profondamente fatalista, quasi la passività agli eventi sia insita nel nostro costume. Superando le generalizzazioni e tenendo ben presente che una calamità naturale non ha né colpe né accuse che tengano, qui si tratta della leggerezza con cui non vengano prese le misure richieste in circostanze palesemente disastrose.
Un esempio di imperizia decisiva nel caso dell’hotel di Farindola è dato dalla testimonianza dell’uomo non assecondato dal centro di coordinamento della prefettura, la cui donna che rispose alla chiamata prima di prendere per vero il suo avviso fece trascorrere delle ore. Si faceva riferimento ad un contatto vecchio di due ore, in cui la situazione risultava sotto controllo, come se non ci volesse qualche secondo a travolgere e distruggere.
Al momento la procura di Pescara ha aperto un fascicolo sulla tragedia dell’albergo per disastro colposo ed omicidio plurimo colposo.
Il ritardo notevole nella partenza dei soccorsi ha scatenato una gran polemica, soprattutto perché è in concomitanza con l’impossibilità di percorrere le strade per giungere alle vittime, dovuta anch’essa dalla mancata ottemperanza al dovere di sgombero periodico delle strade con gli spazzaneve, determinante per garantire la viabilità e l’arrivo celere dei soccorsi.
L’emergenza stessa è in emergenza. Da ciò che ci dicono i sismografi, il Centro Italia dovrà ancora convivere a lungo con le scosse, ed è per questo che alcuni atteggiamenti dovrebbero essere rivalutati, bisogna contenere la psicosi, perché vivere in uno stato di emergenza perenne non diventi una sopravvivenza dilazionata, piuttosto che vita, ma per rendere ciò realizzabile è necessario che gli atteggiamenti di superficialità scompaiano in modo che la prevenzione faccia sentire più sicuri.
Da un lato assistiamo all’Italia dell’evitabile, delle precauzioni non prese, dall’altro allo straordinario sforzo dei soccorritori, all’aiuto reciproco, alla solidarietà. Se solo si avesse questo atteggiamento anche prima che le catastrofi avvengano, se la serietà con cui si rimedia fosse la stessa con cui si previene, per quanto possibile, non ci sarebbe critica che tenga sull’Italia fatalista o procrastinatrice.