Sette mesi mesi dopo il voto, ormai è chiaro — il Regno Unito sta perdendo il braccio di ferro con l’Unione Europea sui termini della Brexit, e sta perdendo male.
Durante la tradizionale intervista di inizio anno con BBC1, la Prima ministra britannica Theresa May ha annunciato che no, il Regno Unito non può tenersi “dei pezzetti” di partecipazione all’Unione Europea. May ha cercato disperatamente di spinnare la situazione come positiva, ma dopo mesi di contrattazioni progressivamente sempre più disperate, si sta facendo dolorosamente chiaro che lo scontro tra Ue e Regno Unito, che è poi lo spettro del vero scontro tra Berlino e Londra, è stato vinto in toto dalla Germania.
L’opposizione si è scatenata — dopo mesi May non ha niente da offrire ai cittadini britannici sul fronte dei nuovi accordi con l’Europa dopo la Brexit, se non qualche corteggiamento da parte del futuro Presidente degli Stati Uniti. Trump vuole infatti strappare un accordo di partnerariato commerciale con il Regno Unito nei primi mesi della propria presidenza — finché sono disperati, potrebbe dire una malalingua.
Boris Johnson says Trump admin wants "urgent" free trade deal after US visit. "They want to do a free trade deal, and want to do it now."
— Matthew Holehouse (@mattholehouse) January 10, 2017
Al di fuori dal voto — causato principalmente da pulsioni populiste assolutamente non ragionate — è evidente che la classe politica d’Albione si aspettava di poter ragionare con i politici europei dopo il voto. Invece, ha scoperto che dall’altra parte del mare li attendono alleati che da molto tempo non aspettavano altro se non prenderli a calci mentre erano già a terra.
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Pochi si sarebbero aspettati che a terra, si sarebbero buttati gli inglesi da soli.
A Bruxelles, già in molti stanno pensando come sfruttare il vuoto lasciato dal Regno Unito nell’Unione — soprattutto a livello economico. Un esempio su tutti: il Regno Unito era l’unico Paese a prendere dal bilancio comune Ue ben più di quanto versasse. Per ogni due sterline affidate a Francoforte, Londra ne vedeva ritornare ben tre. Questo particolare privilegio era stato concesso ai sudditi della Regina negli anni Ottanta, in seguito a una feroce trattativa condotta dall’allora Prima Ministra Thatcher. È bizzarro pensare che, nonostante questa regalia, i cittadini del Regno Unito siano stati i primi a decidere di abbandonare l’Ue.
Grazie alla fine di questo accordo molti a Bruxelles sostengono che questo sia il momento ideale per ripensare drasticamente a come strutturare il budget dell’Unione. Era stata proprio Thatcher per la prima volta a imporre il concetto di “quando si paga e quanto si guadagna dall’Unione Europea,” e con l’uscita del Regno Unito si potrebbe finalmente provare a cambiare modello. È quanto spera un super gruppo — formato da membri del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europei — di dieci personalità guidato da Mario Monti. Il gruppo ha presentato un documento, che al momento della stesura ha potuto leggere solo il POLITICO europeo, che delinea il futuro del budget europeo — che dovrà, comunque, fare a meno di circa sei miliardi di euro l’anno.
Non è ancora chiaro se questi sei miliardi dovranno essere compensati da un maggiore sforzo dei Paesi rimanenti, o se è prevista una più ampia riformulazione del prossimo budget, che dovrà entrare in vigore dopo il 2020.
L’Unione non può in nessun caso produrre deficit — le spese di ogni anno devono essere coperte dalle contribuzioni degli Stati membri, e devono essere approvate due volte da Parlamento e Consiglio, sotto supervisione di fuoco del Multiannual Financial Framework.
Il report del super gruppo denuncia quanto sia necessario un modello “più semplice, più trasparente, equo e democratico” — in modo da permettere ai progetti dell’Unione di riscuotere più risorse dalle Own Resources senza aumentare il budget totale. Vie potenziali di riscossione diretta sono tasse sulle transazioni fiscali e tasse su elettricità, carbone, o benzina — una vecchia hit di Mario Monti.
Alla luce di tutto questo, potrebbe essere più chiaro l’atteggiamento dei Paesi membri all’indomani della Brexit — forse il Regno Unito si aspettava qualche proposta di compromesso, un’Europa pronta a venire direttamente a Londra per blandire il Primo Ministro di turno come è successo negli scorsi decenni. Invece la reazione è stata un mix tra lo sfregamento di mani e questo:
Al netto dell’ondata populista che ha scosso l’Europa la scorsa estate dopo il voto inglese — e che ancora imperversa — è ormai dolorosamente chiaro, almeno per il Regno Unito, che la possibilità di fughe nazionalistiche e “nazionali” fa parte del regime dell’irrealtà, un gioco pericoloso dove si può solo perdere, scegliendo al massimo — se si è fortunati — come.