La pulizia etnica dei rohingya va avanti da mesi nel silenzio

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International la persecuzione contro i rohingya, minoranza musulmana del Myanmar, è un crimine contro l’umanità. Ma pochi sembrano essersene accorti.

La pulizia etnica dei rohingya va avanti da mesi nel silenzio

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International la persecuzione contro i rohingya, minoranza musulmana del Myanmar, è un crimine contro l’umanità. Ma pochi sembrano essersene accorti.



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Torture, stupri di gruppo e omicidi. È ciò a cui stanno andando in contro i rohingya, minoranza musulmana del Myanmar.

In seguito ad un attacco da parte rohingya che ha ucciso nove ufficiali di polizia nel mese di ottobre, il governo birmano ha lanciato un’operazione militare su larga scala, dove l’esercito ha fatto ricorso a mezzi come elicotteri militari per colpire anche donne, bambini e anziani.

Per cercare di sottrarsi alla pulizia etnica e al massacro, oltre 30.000 rohingya sono fuggiti nel vicino Bangladesh, che dopo questi ingressi ha rafforzato la sua abituale politica di chiusura del confine. Le autorità locali hanno arrestato e respinto migliaia di rohingya, in violazione del principio internazionale di non respingimento che vieta assolutamente i ritorni forzati in luoghi o Paesi dove le persone respinte potrebbero subire gravi violazioni dei diritti umani. I Rohingya vivono in condizioni difficili anche in Australia, un Paese molto chiuso verso ogni genere di immigrazione, dove si trovano in un limbo legale e in difficili condizioni sociali – ieri un uomo rohingya affetto da disturbi mentali ha dato fuoco a un bancomat.

La minaccia di arresti e deportazioni ha costretto i rohingya a nascondersi all’interno dei campi, dei villaggi e delle foreste del Bangladesh Sud-orientale. Attualmente queste persone vivono in condizioni terribili a causa delle forti limitazioni imposte dal governo all’arrivo degli aiuti, considerati un “fattore di attrazione”.

In seguito a questi allarmanti eventi è arrivato il monito di Amnesty International, che nel suo rapporto denuncia la persecuzione birmana verso i rohingya come possibile crimine contro l’umanità.

Basato su lunghe interviste a rohingya in Myanmar e in Bangladesh e sull’analisi di immagini satellitari, video e fotografie, il rapporto denuncia anche decine di arresti arbitrari eseguiti negli ultimi due mesi durante le feroci e sproporzionate operazioni di sicurezza portate a termine nella regione di Rakhine.

“L’esercito del Myanmar ha preso di mira la popolazione civile rohingya con una spietata e sistematica campagna di violenze. Uomini, donne, bambini, famiglie e interi villaggi sono stati attaccati e sottoposti a una punizione collettiva,” ha dichiarato Rafendi Djamin, direttore per l’Asia Sudorientale e il Pacifico di Amnesty International. “Queste deplorevoli azioni dell’esercito potrebbero essere intese come parte di un attacco massiccio e sistematico contro una popolazione civile e dunque costituire crimini contro l’umanità. Temiamo che gli orribili racconti che abbiamo rivelato siano solo la punta dell’iceberg,” ha aggiunto, per concludere con una stoccata alla Consigliera di Stato: “se da un lato l’esercito è direttamente responsabile di queste violazioni, Aung San Suu Kyi è venuta meno alla responsabilità politica e morale di fermare e condannare quanto sta accadendo nella regione di Rakhine”.

A molti sembra paradossale che proprio Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace e con un lungo passato da prigioniera politica, non abbia alzato la sua voce. Purtroppo le poche volte in cui si è pronunciata sulla questione, le sue uscite non sono state esattamente brillanti, come quando ha richiesto che le Nazioni Unite evitassero di utilizzare il termine “rohingya” in quanto controverso.

Va comunque tenuto in considerazione che, pur ricoprendo la carica di Consigliere di Stato, il vero potere resta in mano all’esercito, che ancora controlla le istituzioni-chiave.

Dopo decenni di dittatura militare, infatti, il Myanmar si sta lentamente aprendo alla democrazia e il percorso è naturalmente accidentato. Uno dei fattori di complicazione sta anche nel nazionalismo buddhista, che negli ultimi mesi sembra rafforzarsi sempre di più: secondo un articolo del Guardian tutta la nazione è punteggiata di villaggi dove non è raro trovare cartelli che recitano “No Muslims allowed to stay overnight (Ai musulmani non è concesso soggiornare la notte). No Muslims allowed to rent houses (Ai musulmani non è consentito prendere case in affitto). No marriage with Muslims. (Non sono consentiti matrimoni con musulmani.”

Nonostante basti leggere queste frasi per ricordarsi immediatamente dell’Europa negli anni Trenta, l’Occidente non sembra particolarmente afflitto per la sorte dei rohingya ― che così può vantare il triste primato di essere una delle minoranze più perseguitate, e sole, al mondo.