I diritti umani in frantumi sotto le macerie di Aleppo

Una nostra fonte siriana, che ci ha chiesto di rimanere anonima, commenta la caduta di Aleppo Est, per più di quattro anni in mano ai ribelli.

I diritti umani in frantumi sotto le macerie di Aleppo

M. K. è uno studente siriano. Per ragioni di sicurezza, ci ha chiesto di rimanere anonimo.


Nel 1937 l’autore libanese Raif al-Khouri tenne stretto il suo manoscritto da Beirut fino alla Siria: sarebbe diventato il primo libro sui diritti umani della storia. Nel 1962 Meafak Al-Kerzbaro fondò la prima associazione per i diritti umani del mondo arabo. Nel 2000, la prima enciclopedia internazionale sui diritti umani fu pubblicata in Siria, malgrado le tante difficoltà.

Oggi, in un paradosso storico assurdo e sanguinoso, i diritti umani sono in frantumi, sotto le macerie di Aleppo e sotto lo sguardo della comunità internazionale — in un silenzio e in un’impotenza che lasciano sconvolti.

Aleppo, la città più grande della Siria, divisa ormai da cinque anni in due parti — ad est e ovest — è ritornata completamente nelle mani del regime siriano, dopo una serie di scontri  devastanti tra le truppe governative — sostenute da milizie settarie iraniane, irachene e libanesi — e i combattenti dell’opposizione islamista.

Assad regime releases footage of its shelling of East Aleppo pic.twitter.com/oDGI4FEpkY

— CJ Werleman (@cjwerleman) December 14, 2016

Prima della resa di Aleppo Est, mentre i cittadini erano intrappolati nelle zone centrali della città, bombardieri siriani e russi hanno condotto attacchi aerei continui e senza pietà — in quei quartieri si suppone vivessero 250mila persone — usando barrel bomb e bombe a grappolo, messe al bando dalla comunità internazionale. Nel mirino c’erano palazzi, ospedali, cliniche e scuole., Interi quartieri sono stati distrutti. Questi, come il continuo assedio e le carestie forzate, possono certamente essere considerati crimini di guerra, e sono stati portati a termine con un solo scopo: svuotare le aree occupate.

Questa strategia si è in effetti dimostrata molto efficace in molti altri fronti durante la guerra, più recentemente a Daraya.

Allo stesso tempo, non si può  esentare l’opposizione da ogni colpa per quello che è successo a Aleppo Est. Si sono arroccati in quartieri densamente popolati, e hanno ripetutamente rifiutato le richieste dell’inviato dell’ONU Stefan De Mistura di gettare le armi quando era abbondantemente chiaro che il mondo aveva abbandonato i siriani, e che il governo stava vincendo la guerra, senza esitare ad usare l’estrema violenza per cui avevano imparato a conoscerlo negli ultimi cinque anni.

Quando iniziò la mobilitazione, nel 2011, la vera scommessa erano Damasco, la capitale, e Aleppo, culle del ceto medio che rappresenta la vera spina dorsale della società siriana.

Sfortunatamente, ora sappiamo che quel ceto medio non è un’intelligencija in grado di assumere la guida e pagare il vero prezzo del cambiamento — per ragioni che non è questo il luogo per approfondire.

Questo, secondo la mia opinione — insieme ad altri fattori — ha spianato la strada per gli islamisti, e naturalmente di conseguenza solo i più poveri hanno pagato il prezzo più alto.

I siriani “democratici,” come me, si trovano ora in una posizione molto difficile, scossi da sentimenti contraddittori.

Da una parte potremmo essere alla fine di questa guerra assurda e sanguinaria, ma dall’altra a vincere è la tirannia. E questa non è che un’altra declinazione dei numerosi dualismi contraddittori con cui abbiamo a che fare nel mondo arabo.