Cosa significa per l’internet cubano l’accordo con Google
Google potrà ora immagazzinare i propri dati direttamente a Cuba, rendendo in questo modo circa 10 volte più rapido l’accesso ai suoi vari servizi, come YouTube e Gmail.
Lunedì 12 dicembre, a meno di due settimane dalla morte di Fidel Castro, il governo di Cuba — per mano della società nazionale di telecomunicazioni ETECSA — ha annunciato un accordo commerciale con Google per il potenziamento di alcuni servizi informatici.
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In base all’accordo, firmato dal presidente di Alphabet Eric Schmidt, Google potrà ora immagazzinare i propri dati direttamente a Cuba, rendendo in questo modo circa 10 volte più rapido l’accesso ai suoi vari servizi, come YouTube e Gmail. Fino ad ora, prima di raggiungere l’isola i pacchetti di dati erano costretti a transitare dal Venezuela — non esistono infatti connessioni dati dirette tra Cuba e gli Stati Uniti.
L’obiettivo è quello di “migliorare l’esperienza online dei cubani che utilizzano i prodotti Google,” scrivono in un blog post Marian Croak e Brett Perlmutter, rispettivamente responsabile delle strategie di accesso ai mercati emergenti e capo delle operazioni a Cuba dell’azienda di Mountain View.
“Ciò significa che i cubani che hanno già accesso a internet e vogliono utilizzare i nostri servizi vedranno un miglioramento in termini di qualità, e una riduzione della latenza per i contenuti nella cache.”
In quest’ultima affermazione sono già contenute le due precisazioni che è doveroso fare: in primis, l’accordo migliorerà la qualità soltanto dei servizi di Google, e non velocizzerà la connessione a internet in generale. Cuba è ancora uno dei paesi più arretrati da questo punto di vista: infrastrutture antiquate, censura statale e costi proibitivi fanno sì che soltanto una piccola percentuale dei cittadini dell’isola — circa il 4%, secondo dati del 2013 — abbia accesso a internet.
Ma l’accordo di lunedì non è il primo segnale d’apertura del governo cubano in questo senso — nel quadro più ampio di una distensione dei rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti, in atto da diversi anni: un accesso migliore e più libero alle informazioni figurava in cima alla lista di priorità della Casa Bianca per il “nuovo corso” delle relazioni tra Washington e L’Avana, fortemente voluto dall’amministrazione Obama.
Creare l’infrastruttura per un accesso di massa a internet è sempre sembrata una missione impossibile per Cuba: dopo il crollo dell’Unione Sovietica i fondi statali si fecero drasticamente più ridotti, e qualsiasi tipo di intervento per l’espansione della ridottissima infrastruttura nazionale (già di fatto costruita con l’assistenza degli Stati Uniti, anche se era il ’96, in collaborazione con Sprint), avrebbe coinciso inevitabilmente con un influsso enorme di capitale, interessi e influenza stranieri su Cuba.
Oltre ai ragionevolmente giustificati dubbi e sospetti da parte della dittatura cubana, le aziende statunitensi che volendo avrebbero potuto offrire servizi al Paese, erano pesantemente rallentate dal Torricelli Act, firmato da Bush padre, che impediva anche a sussidiarie estere di multinazionali statunitensi di operare a Cuba — e che prevedeva di essere sollevata solo in caso di elezioni democratiche nel paese.
Dal 2009, con l’apertura parziale di Obama, sono stati attivati 35 hotspot all’Havana, tutti a pagamento, e molto cari: il servizio è a tempo e non a dati, e vi si accede comprando tesserine con un codice grattabile, non diverse da quelle con cui si possono ricaricare i cellulari anche qui. Una tessera da 2 CUC di dollari offre un’ora di traffico online, e per fare le dovute proporzioni: il reddito familiare mensile medio nel paese è di 20 euro.
Ma sono tanti — almeno, chi può — ad accettare i prezzi esorbitanti: telefonare negli Stati Uniti costa 2 dollari al minuto.
Nel nuovo contesto reso possibile dalla presidenza Obama — e che è difficile prosegua nei prossimi anni, evidentemente — per tantissime aziende statunitensi il mercato cubano sembra un paradiso: un mercato naturalmente spinto verso strutture monopolistiche, ma completamente deserto. Non c’è nemmeno bisogno di firmare contratti di fornitura particolarmente rigidi. Ad esempio, l’accesso a internet attraverso gli hotspot non supporta programmi di posta elettronica come Outlook e Thunderbird, ma solo web client: per Google, che è proprietario non di uno, ma di due dei client di posta elettronica sul web migliori del mercato, Gmail e Inbox, le limitazioni, tecniche e di mercato, sembrano probabilmente solo occasioni per saturare un mercato tutto nuovo.
Un modello occidentale nato e cresciuto bene attorno alla domanda di accesso a internet a Cuba: lo spaccio. Le schede di accesso a internet sono in qualche modo una risorsa ristretta — lo Stato controlla gli acquirenti e limita artificialmente la quantità di schede che l’ETECSA può stampare — e non sono mai vendute vicino agli Hotspot dove possono essere usate, per evitare resse.
Nascono così fitte reti di spaccio: le schede vengono comprate in grandi quantità — o per lo meno, nel numero maggiore che lo Stato permette — e poi rivendute con un rincaro attorno agli Hotspot. Malgrado la cresta di distributori e spacciatori riescono comunque ad essere “più economiche” di quelle offerte dagli hotel, e spesso si riesce anche a strappare qualche cifra esorbitante da turisti poco informati.
Il governo cubano teme che diventi uno strumento nemico dello stato — e costringe la fatturazione a tempo e non a dati proprio per limitarne l’uso a scopo informativo e non di comunicazione; le aziende statunitensi potrebbero presto dover bloccare i propri sforzi di integrazione sul territorio, ma una sola cosa è certa: in un modo o nell’altro, internet è irresistibile, o inevitabile, o entrambi.